The Trouble with Faking It

Captain Swan ('Once Upon a Time)

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    Modulo Fanfiction

    #dove#la #trama #la #fate #voi;

    Nome Autore/Autrice: nowforruin
    Status: Completa
    Parings: Emma Swan & Killian Jones/Captain Hook
    Tipologia: Romance/Angst/AU
    Piccolo sunto: Killian Jones è un errore alticcio che le serva da lezione per non mettere mai più un piede su un set cinematografico. La manager di Killian, Regina Mills, chiede ad Emma di fingere di essere la sua fidanzata per ripulire la sua immagine.
    Link storia originale: The Trouble with Faking It
    Ringraziamenti & Varie: Ringrazio di cuore l'autrice per avermi concesso la possibilità di tradurre le sue belle storie :D!!

    «role scheme by graphite; - please don't copy or claim as your own»









    The_Trouble_with_Faking_It






    Capitolo 1


    Emma Swan stava passando una giornata piuttosto ottima. Aveva rintracciato un criminale abbastanza importante la sera prima e quel colpo era abbastanza da non sentirsi minimamente in colpa per aver speso più di 5 dollari su una tazzona di caffè che era più cioccolato che altro.

    È una bugia. Si sente comunque in colpa. Ma si dice che non deve e, quindi, va bene così.

    Il sole splende luminoso. Non fa troppo caldo, il cielo è sereno e il vento non è forte. È una giornata quasi perfetta a Los Angeles ed è felice di assaporarla tutta. Di solito, non ha tempo per stare seduta a tavolini di ferro all'esterno di un bar, osservando il traffico scorrere e godendosi un buon caffè, ma oggi può farlo.

    Ed è meraviglioso.

    Esce un libro dalla borsa e lo posa sul tavolino, perdendosi in un altro tempo, un altro luogo, un altro mondo. Le dita giocherellano col bordo del suo caffè mentre legge ed è così sprofondata nella trama che non nota quando una donna le si siede di fronte.

    "Ha mai pensato di recitare?".

    La domanda la fa sobbalzare e quasi fa cadere la tazza. Di fronte a lei c'è una donna abbastanza austera nei lineamenti, vestita bene. La fissa intensamente, le labbra rosse e strette.

    "No" Emma risponde dopo qualche secondo. Non è la prima volta che qualcuno le fa quella domanda. Ha la fortuna di essere bionda, magra e attraente in una città che si vanta di essere tra le più belle - ma a lei non importa un certo tipo di vita. Ritorna al suo libro senza guardare più la donna.

    "Perfetto".

    "Prego?".

    "Sto cercando qualcuno per un ruolo alquanto unico e un'aspirante attrice non sarebbe adatta" la donna sorride, rivelando dei perfetti denti bianchi "Regina Mills" le porge una mano, la pelle liscia e le mani curate.

    Emma osserva la mano, ma non la stringe, incrociando invece le dita attorno alla tazza "Mi scusi, ma io cosa c'entro?".

    La donna ride con un certo gusto "Oh, sarebbe perfetta, signorina...?".

    "Swan" Emma risponde, la curiosità che inizia ad impossessarsi di lei "Emma Swan. Ma non capisco ancora cosa voglia da me".

    "Voglio offrirle un lavoro. Un assegno a 6 zeri e un anno di contratto".

    "Che lavoro?".

    "Subito al dunque, vedo. Non sono più in molti a pensarla così".

    "Io non sono di queste parti".

    "Nessuno lo è, signorina Swan" Regina le passa un biglietto da visita. È uno di quegli orribili bigliettini che non dicono niente, con grosse lettere nere che annunciano un indirizzo e niente più. Con un gesto del polso, guarda l'orologio, i diamanti che brillano al sole. "Se è interessata, la aspetto nel mio ufficio alle due".

    "Non so nemmeno cosa vuole offrirmi".

    "Qualcosa solo per lei" Regina si guarda attorno, cercando nella borsa e prendendo un paio di costosi occhiali da sole "Alle due in punto" ripete, andandosene via su un paio di alti tacchi rossi, senza un capello fuori posto.

    Emma la osserva, tenendo il biglietto in mano con non pochi dubbi. Era un inizio perfetto per un film horror - una sconosciuta che l'avvicina, le offre un lavoro, le dà un biglietto da visita e se ne va via. Ma quella donna, fredda e diretta, non aveva l'aria di essere una serial killer. Qualsiasi cosa facesse, qualsiasi fosse il suo lavoro, non aveva mentito sull'assegno, perchè Emma nota l'auto su cui sale - una Mercedes lussuosa.

    Fissa il bigliettino mentre finisce il caffè ormai freddo. L'indirizzo è a West Hollywood e conosce l'area abbastanza bene da sapere che il quartiere è ricco.

    Ma quasi tutta la città è fatta d'oro.

    Riprende il libro, decidendo di non andare. Ecco come le persone vanno a morire, accettando offerte da sconosciuti dove li si invita ad andare, da soli, ad indirizzi sconosciuti. E lei lo sa bene - un buon numero di criminali a cui dà la caccia hanno attratto le proprie vittime in posti sconosciuti.

    Ma non riesce a concentrarsi. Qual è questo lavoro che richiede un'attrice che non vuole fare l'attrice? E con un assegno a 6 zeri?

    Non farebbe del male a nessuno informarsi, no? Può portarsi dietro la pistola. Se andasse male, potrebbe difendersi. Si è già trovata in situazioni davvero difficili.

    E se così non fosse... tutti quei soldi facevano girare la testa. Avrebbe potuto pagarsi le bollette, una vacanza - sostituito la sua macchina prima che l'abbandonasse definitivamente.

    Con un sospiro, posa il libro in borsa e si dirige verso casa a prendere la pistola. Dibatte dentro di sè se cambiarsi o meno - i jeans attillati e una maglia nera sono a malapena accettabili per un colloquio - ma Regina l'aveva approcciata vestita così, i capelli arruffati e poco trucco.

    “È ridicolo” mormora, mettendosi la pistola addosso e sistemandosi meglio la maglia per nasconderla. Com'è possibile armarsi di pistola mentre si dibatte se andare vestita meglio o no?

    Sebbene non sembri così strano, visto il mondo in cui vive.

    L'indirizzo la porta ad un edificio pieno di uffici, l'entrata fatta quasi interamente di vetro. Un portiere le prende la chiave della macchina quasi con un sospiro esasperato, ma non può parcheggiarla da sola. La grossa porta a vetro annuncia essere di proprietà della "Red Delicious Management", cosa che la incuriosisce ancora di più.

    E la fa sentire un po' stupida per essersi portata la pistola. Tra il portiere e il grande ufficio con la perfetta segretaria all'ingresso, è ovviamente un ufficio che si occupa del management di Hollywood.

    "Um... salve" Emma dice alla ragazza alla reception. La bionda quasi non alza lo sguardo dal suo iPhone, mani perfettamente curate che compongono messaggi mentre Emma inizia ad innervosirsi "Ehi!".

    "Posso aiutarla?" la ragazza guarda Emma con sufficienza, accigliandosi "Se si è persa, non siamo un ufficio informazioni".

    "Ho un appuntamento con Regina Mills".

    "Davvero?".

    "Mi prende in giro? Sì, davvero. Mi ha dato questo biglietto" Emma quasi sbatte il biglietto sul bancone di granito, con la pazienza già al limite "Emma Swan. Due in punto".

    La ragazza non sembra toccata dalla rabbia di Emma. Semplicemente, si alza e si avvia lungo il corridoio, i tacchi che risuonano tra le mura. Emma manda gli occhi al cielo, presumendo di doverla seguire.

    Si ferma quando la segretaria si ferma davanti a delle grosse porte in legno "Signora Mills, il suo appuntamento delle due è qui" annuncia da fuori ed Emma deve fermarsi dal ridere. Ora, la ragazza sembrava un cucciolo di Labrador.

    Emma non sente una risposta, ma deve esserci stata, perchè la iena di segretaria apre la porta e aspetta che entri.

    "Grazie" Emma le dice con pochissima sincerità.

    L'ufficio è splendido. Pavimenti in marmo, mura di vetro che danno su un giardino. C'è un'enorme scrivania contro un muro, due sedie davanti e un divano lungo tutto il muro. Regina è seduta dietro la scrivania - un'altra persona è stesa sul divano, probabilmente addormentata.

    "Ah, signorina Swan" Regina le fa segno di sedersi ed Emma cammina esitante, guardando la persona sul divano di pelle. "Oh, non si preoccupi di lui" il tono di Regina è duro quando segue lo sguardo di Emma, le braccia incrociate al petto "È qui solo per una cortesia".

    "Fanculo" la persona sul divano grugnisce, la voce piena di sonno o di liquore, Emma non ne è sicura. Non riesce a guardarlo in viso, avendo un braccio abbandonato sugli occhi, ma c'è qualcosa di familiare in quella voce.

    "Mi piacerebbe davvero sapere perchè sono qui" Emma si siede, appoggiandosi allo schienale. È sorpresa, per quanto quella donna sembri fredda, l'arredamento del suo ufficio è molto accogliente.

    "Questo è il fatto, signorina Swan. Ho un cliente che si trova in una brutta situazione. Ho bisogno di un individuo unico e capace di assisterlo nel ripulire il caos che combina".

    "Perchè io?".

    "Ha un viso angelico. È carina" Regina si appoggia al tavolo, sorridendo "È brava a trovare le persone. Suppongo che sia capace a non farsi influenzare dagli altri".

    "Ma lei come sa...".

    "Ho fatto un paio di ricerche, ovviamente. Non sarebbe passata nemmeno dal portone centrale se avessi trovato qualcosa di negativo".

    Emma sbuffa, alzandosi "Beh, ovviamente ha trovato la donna sbagliata. Sono stata arrestata...".

    "Ed è andata in galera quando aveva 18 anni per furto. Sì, lo so. So anche che è uscita e da allora è andato tutto bene, a dispetto dell'ovvio sacrificio che ha dovuto fare. Infatti, ora aiuta a trovare i criminali" Regina abbassa la voce, quasi mormorando, ed Emma la fissa scioccata. Nessuno sa di quella parte della sua vita - il suo datore di lavoro sa del suo periodo in prigione, ma l'aveva ammesso lei. Ma tutto il resto... quello è un vero segreto.

    "È davvero strano che abbia trovato tutto questo e non mi abbia ancora detto cosa vuole da me" Emma non si risiede, le mani sulla spalliera della sedia mentre fissa Regina. Non chiederà se Regina sa di suo figlio. Non con qualcun altro nella stanza, qualcuno che Regina non le ha nemmeno presentato "Basta girarci attorno. Qual è il lavoro?".

    "Essere la sua fidanzata per un anno" le dice, indicando la figura sul divano.

    "Prego?".

    “È assurdo!" la protesta arriva dal divano ed Emma si volta a guardare l'uomo, ora seduto. Ha gli occhi iniettati di sangue, il viso barbuto, ma sembra familiare, come se l'avesse già visto.

    "Killian, resta steso. Abbiamo concordato che questo fosse il piano migliore. Almeno, finchè non sei andato a fare festa chissà dove, ieri notte" Regina risponde subito. Emma riesce a sentire il puzzo di liquore da lì ed è davvero difficile contenersi dall'allontanarsi.

    "Vuole che esca con lui"? Emma dice a Regina, ignorando l'uomo. Tra tutte le offerte che aveva ricevuto, questa era la più strana "Non sono una escort! E sa che le persone verranno a sapere del mio passato, no?" quasi bisbiglia, cercando di non farsi sentire dall'uomo alle sue spalle.

    "Non ho detto che deve andarci a letto, signorina Swan..." Regina risponde con lo stesso tono basso, prima di parlare di nuovo a voce alta "Voglio che il mondo creda che lei stia con lui. Andate a pranzo, a cena. Passi la notte a casa sua. Vada alle premiere a braccetto. Le solite cose da fidanzati. Inoltre, lo tenga lontano dai bar e dalle discoteche... e lo fermi dall'aggredire i fotografi".

    "Fotografi?".

    "Non sa nemmeno chi sono!".

    Regina sospira, la sua maschera cade per una frazione di secondo per rivelare una stanchezza che Emma inizia a comprendere. È con quell'uomo da meno di 5 minuti e ne ha già abbastanza.

    "Signorina Swan, le presento Killian Jones".

    "Ecco perchè mi sembrava familiare!" Emma si volta verso di lui, non riuscendo a non fare una smorfia "Sei l'attore di cui tutti parlano. Non ti hanno cacciato da un set di recente?".

    "Non lei" lui risponde, fulminando Emma con lo sguardo. Il fatto che sia ovviamente ubriaco di mattina non lo rende molto minaccioso. Riesce a malapena a mettersi in piedi, avvicinandosi a Regina.

    "Sì, lei" Regina risponde. Si rivolge di nuovo ad Emma "Come ha appena osservato, l'hanno appena cacciato da un film per il suo comportamento. Il produttore ha un altro progetto in cantiere e dovrebbe andare in porto e, se il signor Jones riuscisse a dimostrare di essere affidabile, il ruolo sarà suo. Lui vuole quel ruolo e farà dunque quello che dico io".

    "Non lo so. Non è il mio mondo. Io trovo criminali in fuga. Non faccio da babysitter ad attori" guarda con la coda dell'occhio Killian, di nuovo sul divano e quasi addormentato. Difficile esserne sicuri per com'è stravaccato sui cuscini.

    "Ah, e quindi lei va da questi cittadini e gli chiede semplicemente di comportarsi bene?".

    "No, c'è tanto lavoro sotto copertura".

    "Beh, signorina Swan, sembra che sia abituata ad essere qualcun altro anche nel suo lavoro. Questa cosa non è differente - solo che io la pagherò molto bene" Regina le passa alcuni fogli sulla scrivania "Ho fatto redigere il contratto nel caso in cui volesse accettare. Troverà il suo compenso alla prima pagina".

    Emma la guarda prima di prendere i fogli, gli occhi subito sulla somma "Non può essere seria".

    "Lo sono. Questi sono gli accordi, qualora accettasse".

    "Vuole pagarmi mezzo milione di dollari per fingere di uscire con lui per un anno?" Emma indica dietro di sè, cercando di non crollare sulla sedia. Quella mattina era stata tutta emozionata di godersi il suo costoso caffè. E ora questa donna voleva pagarla in modo indecente per fingere di uscire con un famoso attore - sebbene sia molto più affascinante quando non ha i vestiti del giorno prima e non puzzi di alcool.

    "Beh, signorina Swan, solo noi tre saremo a conoscenza di questa cosa. Per il resto del mondo, lei sta con lui. Nessuno al di fuori di questa stanza saprà mai dei nostri accordi".

    "Non è colpa mia se quel dannato coccodrillo mi sta rovinando la carriera!" Killian interviene, ora sveglio, e quando Emma si gira, lo trova seduto. Sembra un bambino capriccioso, accigliato e combattuto se guardare lei o l'altra donna.

    Emma alza un sopracciglio, guardando Regina e poi di nuovo Killian "Il coccodrillo?".

    Regina manda gli occhi al cielo, fulminandolo "Il tizio è una spina nel fianco. Ha mai sentito il nome di Rumple Gold?".

    "Dannato rompiscatole. È troppo codardo per affrontarmi, manda le sue piccole spie, invece!" Killian dice. È ancora a malapena seduto, con la testa abbandonata sullo schienale.

    Emma sospira, scuotendo la testa alla domanda di Regina "No, non credo".

    "È proprietario di quasi tutte le agenzie di paparazzi e un paio di giornali. Lui e Killian hanno avuto alcuni disaccordi personali, in passato, e ha trovato una valvola di sfogo nel far pubblicare foto che preferiremmo rimanessero sotterrate. Di certo, non aiuta che il signor Jones si comporti in modo costantemente fuori dagli schemi, fornendogli materiale di prima scelta".

    "È un dannato stronzo".

    Emma si gira verso di lui "Perchè lo odia?".

    “È andato a letto con sua moglie" Regina risponde.

    "Non mi aveva mai detto di essere sposata! Quante volte ancora devo dire sempre le stesse cose? Non ho rubato la moglie di nessuno" c'è davvero tanta emozione nel suo tono e, per un secondo, Emma si concentra su quella storia, perchè è chiaro che c'è molto di più sotto.

    "Come dici tu..." Regina lo zittisce con uno sguardo quando lui sembra pronto a continuare, ritornando di nuovo su Emma "Gold è un pericolo. Metà delle sue mansioni saranno quelle di tenere il signor Jones lontano dai guai con i paparazzi" Regina socchiude gli occhi, il suo sguardo di fuoco su Killian "Basta cadere fuori da auto in corsa. Basta essere cacciato dai bar o dai club. Basta fare a pugni con i fotografi o essere filmato mentre li minacci. Sono stata chiara?".

    "Ho diritto di difendermi!".

    Emma sospira mentre Killian e il suo manager discutono. Regina è l'immagine della fredda perfezione, mentre Killian è del tutto fuori luogo, imprecando e arrabbiandosi e reagendo d'istinto. Sarebbe stata una pazza ad accettare, ma lo sarebbe stata di più a rifiutare. La somma che Regina le stava offrendo, con un bonus (se aveva letto correttamente) se avesse ottenuto la parte in quel film, era scioccante... avrebbe potuto lasciare il suo schifoso appartamento e, forse, ne avrebbe potuto comprare uno.

    È la prima volta dopo tanto che avere una casa, una vera casa che le appartiene, sembra a portata di mano – sempre se fosse riuscita a passare un anno con Killian Jones senza ucciderlo.

    "Lo farò" dice alla fine, quasi urlando per farsi sentire dai due litiganti. Lui spalanca gli occhi, sorpreso, e la fissa, mentre Regina sorride soddisfatta.

    "Eccellente, signorina Swan. Dovrà firmare questi fogli. Un contratto per le sue mansioni e la sua riservatezza. Se vuole, può chiamare il suo avvocato per dargli un'occhiata, possiamo chiamarlo noi o lei. Temo di non poterla fare uscire di qui senza aver firmato, però, il patto di confidenzialità".

    "Come se avessi un avvocato a mia disposizione. Ho detto che lo farò. Il contratto non ha qualche clausola strana, vero?" Emma sfoglia alcune pagine, sembrandole tutto apposto. Sembrano un sacco di cose legali in cui le si dice, in breve, di doverlo tenere fuori dai guai - e che non può dirlo a nessuno.

    "Capisce che non potrà dire a nessuno del nostro accordo? Nè ad un amico, o ad un familiare?".

    "Non ho famiglia".

    "Bene, allora. I suoi amici, colleghi, chiunque al di fuori di questa stanza. Per loro, lei è la fidanzata di Killian Jones e siete incredibilmente felici. Quando lui si comporterà male - e stia certa, signorina Swan, non può evitarlo - continuerà con questa pantomima fino alla fine del contratto o se sarò io a dirle che il suo compito è finito. Siamo chiari?".

    Emma esita, riguardando di nuovo l'uomo. È accigliato per le parole di Regina, ma non cerca di difendersi. Invece, quando nota lo sguardo di Emma, prende una fiaschetta dalla tasca e beve, non volendola guardare negli occhi. C'è qualcosa di lui, qualcosa che ha un sapore molto triste, che le fa domandare se ci sia altro sotto quella maschera di cattivo ragazzo.

    Ma non è per quello che ha accettato - è per lei, qualcosa che potrà darle la spinta giusta per uscire da quella vita.

    "Sì, ho capito. Dove devo firmare?".


    Continua...
     
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    Capitolo 2



    "Quindi... come funziona?" Emma chiede mentre firma riga dopo riga il contratto. Parte di lei si chiede se, forse, avrebbe dovuto chiamare un avvocato per dare un'occhiata a tutto, ma agli avvocati piace essere pagati e sarà ancora al verde fino a quando non sarà tutto finito.

    Questo è il punto, dopo tutto.

    "Organizzeremo di scattare alcune foto, appena qualcuno sarà abbastanza sobrio da apparire come stella del cinema più spettinata che ubriaca... ".

    "Sono sempre qui, sai!".

    "Questee foto verranno divulgate a uno dei tanti blog di gossip su Internet. Renderà le persone curiose. All'inizio, sorridi timidamente, chiedi la tua privacy. Killian sarà timido nelle interviste quando gli verrà chiesto di te, ma continueremo a divulgare foto. Immagini sfocate di te insieme a casa sua, tu che te ne vai la mattina dopo con la sua camicia. Immagini che creano una scia di interesse abbastanza semplice anche per il più idiota mentalmente incapace di connettersi".

    Emma ha difficoltà a digerire tutto mentre Regina continua. Lo sapeva, in un certo senso, come sarebbe andata a finire - ha vissuto a Los Angeles abbastanza a lungo da capire come funziona una relazione pubblicitaria. Ma dovrà davvero passare la notte a casa sua? In quale altro modo potrebbe funzionare altrimenti? Lui dovrà andare nel suo appartamento? Nel suo monolocale orribile, minuscolo, angusto dove l'unica stanza con una porta è il bagno delle dimensioni di un armadio? Fa una smorfia, immaginando lo sguardo di disgusto che probabilmente riceverà rispetto alla casa di lui senza dubbio tentacolare, da qualche parte nelle colline.

    "Lo trova di cattivo gusto, signorina Swan?" il tono acuto di Regina mette fine ai suoi pensieri ed Emma scuote la testa per incontrare lo sguardo della donna "La assicuro che, se si sente già scontenta, è meglio che ci fermiamo ora".

    "No. Scusa, stavo pensando a qualcos'altro" Emma fa un debole tentativo di sorridere, scrollando le spalle "È tanto da digerire".

    "In effetti lo è, quindi presti attenzione".

    Emma si siede un po' più dritta, firmando l'ultima pagina del contratto e riposandolo sulla scrivania di Regina. Non osa guardare alle sue spalle Killian, anche se al momento è tranquillo.

    Passano l'ora successiva a ripassare le regole stabilite da Regina. Emma è sorpresa di scoprire che non è l'unica con un ruolo da interpretare, ma vengono date anche a lui delle istruzioni. Annuisce semplicemente insieme a lui e inizia a chiedersi di lui e del perché lo stia facendo, perché improvvisamente si è calmato.

    Un ruolo cinematografico vale davvero il tempo, lo sforzo e il denaro che questa cosa richiederà? Oltre alla quota che Regina prevede di pagare, ha anche scoperto nel corso del pomeriggio che ogni regalo da lui acquistato o qualsiasi cosa richiesta, come abiti per cerimonie, saranno suoi alla fine. E poiché non avrà entrate reali mentre sarà nel ruolo della fidanzata perfetta, il suo affitto e le sue bollette saranno coperti dalla società. Le daranno una carta di credito per coprire qualsiasi altra spesa e i soldi saranno di lui.

    Emma lascia l'ufficio sentendosi un po' nauseata. Non ha intenzione di andare a letto con lui - non fa parte dell’accordo - ma sembra che sia uscita di lì con qualcosa anche peggiore tra le mani. Lui la mostrerà in giro, la vestirà e, alla fine, lei otterrà un grande e cospicuo compenso.

    Pensa di dare forfait durante tutto il viaggio verso casa. C'è traffico - c'è sempre traffico - e osserva il bagliore infinito dei fanali posteriori che serpeggiano attraverso la città davanti a lei. Ne è valsa la pena? Questo accordo che sta facendo, renderà possibili cose che non avrebbe mai potuto raggiungere da sola. Quanto potrebbe essere difficile fingere di essere la ragazza di un attore per un anno?

    Eppure, si è quasi convinta che chiamerà Regina non appena arriverà a destinazione e le dirà che l’accordo è saltato. Non lo farà. Continuerà a fare il suo lavoro che paga quel tanto che basta per cavarsela, ma almeno avrà intatto il suo orgoglio.

    Eppure, quando entra e si guarda intorno in quel buco che chiama casa, i piatti ammucchiati nel lavandino, il letto logoro su cui dorme, il mucchio di biancheria per cui non ha nè tempo nè denaro per occuparsene tutto in una volta, chiude gli occhi e si dice la verità.

    È una pillola amara da ingoiare. Il suo orgoglio le si conficca in gola, le fa venire voglia di ululare nella notte che è meglio di tutto questo, arrampicarsi sul tetto e urlare nel rumore infinito dell'autostrada che starà bene.

    Ma è una bugia. Vuole uscire da quella vita, quella piccola, disordinata, battaglia di una vita. È stanca di lottare, raschiare. Cinquecentomila non le bastano per non dover lavorare ancora, ma è abbastanza denaro da poter avere una casa sua. Emma non ha mai desiderato una casa tutta sua e Killian Jones può dargliela.

    Sospira, allunga una mano nel frigo per una birra e si siede sul divano. Le stecche di legno scricchiolano in segno di protesta, ma le ignora, con la testa appoggiata al magro cuscino. Dovrà incontrare Regina l'indomani in ufficio, per andare a casa di Killian in modo che possano scattare la prima di quelle che saranno senza dubbio molte foto false.

    Prima che sia troppo stanca per affrontarlo, si rialza, scavando nella pila di vestiti per trovare l'unico costume che possiede che non sia rovinato. Regina le aveva detto che avevano intenzione di scattare una foto a bordo piscina, quindi costume da bagno e sandali vengono messi in una borsa insieme a una vecchia bottiglia di crema solare che trova sotto il lavandino del bagno.

    Si fissa allo specchio, il mascara colato, le labbra secche e i capelli sporchi. Chi mai crederà che un attore famoso la voglia? Gli uomini comuni non la vogliono. Ha avuto più appuntamenti pessimi di quanti ne possa contare e, con una manciata di eccezioni (che sono andate tutte in fumo), le sue relazioni romantiche si sono sempre concluse in una sola notte.

    Ma ha firmato il suo nome (ancora e ancora), quindi ora è in ballo. È troppo tardi per ritirarsi.

    Si addormenta senza spogliarsi, il ronzio dell'autostrada è familiare dalle finestre aperte dopo diverse altre birre, svegliandosi poi di soprassalto quando suona la sveglia.

    Non si era ricordata di caricare il telefono, quindi, con diverse maledizioni, inserisce il caricatore mentre corre sotto la doccia per iniziare quella che sarà sicuramente una giornata molto strana.




    La ragazza all'ingresso è leggermente più gentile con lei, ma probabilmente ha a che fare con Regina, la quale è già in macchina, in attesa.

    "È in ritardo" subito dice mentre Emma sale, il morbido sedile in pelle la fa scivolare in posizione seduta mentre la portiera si chiude.

    "Di due minuti!".

    "Esatto, signorina Swan. Questo la rende in ritardo" Regina mette la marcia e parte. Lancia uno sguardo di sbieco ad Emma mentre iniziano a guidare tra le colline.

    "Bene, non è truccata".

    "Il trucco è nella mia borsa. Non ho avuto tempo...".

    "Niente trucco".

    "Ma..." una fitta di insicurezza attanaglia Emma. Le è già stato detto che queste foto saranno viste da molte persone e di solito lei non è così, ma deve davvero essere lanciata in questo mondo mostrando gli occhi di procione?

    "Non stava prestando attenzione ieri? Scatti di bassa qualità fatti a distanza. Nessuno sarà in grado di dire se è truccata o meno. E nella strana occasione che un fotografo che non è dei nostri oggi la veda, sembrerà il più naturale possibile" Regina sorride, facendo una curva abbastanza veloce tanto da sbattere Emma contro la portiera "Non mi sembra il tipo da preoccuparsi di truccarsi solo per il suo ragazzo".

    Emma osserva le labbra rosso vivo della donna e gli occhi fortemente truccati, la sua pelle alabastro liscia. Odia il fatto che abbia ragione: Emma si preoccupa a malapena di mettere un po' di correttore e del mascara se non deve recitare una parte per il suo lavoro.




    Si aspettava un'enorme dimora, ma è sorpresa quando Regina si ferma davanti un cancello che si apre in una casa abbastanza modesta, modesta per gli standard del quartiere.

    È bella, con enormi finestre che devono offrire una vista spettacolare, pareti bianche e pulite e un tentacolare, rigoglioso cortile verde. Per una frazione di secondo, respira il profumo dell'erba e fiori di campo e immagina di sorseggiare un caffè con il fresco dell'alba sulla pelle.

    Ma non è reale. Niente di tutto questo è reale.

    Segue Regina in casa, notando alcuni dei dettagli più piccoli. La porta di ingresso è adornata da vecchie luci di una nave che si apre in un ampio ingresso, con ricchi pavimenti in legno che si allungano per tutta la casa. C'è un tavolino accanto alla porta, una ciotola piena di occhiali da sole dentro, un portachiavi sul muro sopra. Allunga quasi la mano per toccarlo, la fila di chiavi penzola da quelli che sembrano ami da pesca smussati, ma si ferma quando sente una gola che si schiarisce.

    Oggi è sobrio, gli occhi chiari mentre la studia. Non è sicura di cosa si aspettasse di trovare, ma non è abbastanza preparata a quella vista. È scalzo, indossa pantaloncini corti e camicia a maniche corte, ma nessuno dei bottoni è chiuso. La camicia è aperta, rivelando addominali tonici e una scura scia di peli che scende fino all'ombelico.

    "Guarda bene, tesoro" i suoi occhi tornano a quelli di lui al suo tono scherzoso e arrossisce per essere stata sorpresa.

    "Potresti anche abituarti, adesso. Chi lo sa? Potresti persino affezionarti a me" sorride invitante, ma c'è qualcosa nel modo in cui i suoi occhi non si illuminano del tutto che attira la sua attenzione.

    "Ciao. Scusa. È strano".

    "Già".

    "Voi due avrete un sacco di tempo per conoscervi. In questo momento abbiamo un programma a cui attenerci. Emma, vatti a cambiare. Killian, fuori" Regina dà gli ordini come un sergente istruttore, indicando il bagno e l'ingresso.

    Non intende guardarlo di nuovo, ma non riesce a trattenersi, i suoi occhi attratti di suoi. Lui la sta guardando e lei non può fare a meno di pensare a un leone che insegue la preda attraverso l'erba alta.




    Esce fuori e trova solo Regina che la sta aspettando e questo la rende nuovamente autocosciente dell'ispezione di quegli occhi freddi. Incrocia le braccia al petto, non sente esattamente freddo, ma si sente terribilmente esposta in piedi, in quella casa, in bikini.

    Ha fatto molto di peggio a lavoro - ha interpretato una spogliarellista, una prostituta più di una volta. Ma questo è diverso, in qualche modo, non importa quante volte lo dice a se stessa che è solo un lavoro.

    "Sì, andrai benissimo" Regina inizia a camminare per la casa senza dire un'altra parola ed Emma presume di doverla seguire. Si muovono troppo velocemente perché lei se ne accorga davvero, ma la casa è fatta quasi tutta di legno caldo e mobili e pavimenti. Si presta ad una dolcezza che non si aspetterebbe da una casa così grande con un singolo abitante.

    La parte posteriore si apre improvvisamente su un enorme patio. La vista sulla valle è altrettanto impressionante, la collina che scende bruscamente dal bordo della piscina per rivelare una nebulosa vista di Los Angeles. Non è una mattinata chiara, ma sospetta che, se lo fosse, potrebbe essere in grado di vedere l'oceano.

    Killian le sta aspettando sul patio, oziando con le caviglie incrociate su una delle sedie. Si alza in piedi quando Emma esce, camminando sul cemento già riscaldato dal sole, ma questa volta, quando la guarda, c'è un calore nei suoi occhi che non si aspettava.

    "Sei adorabile vestita così, Swan".

    "Grazie" lei mormora, le guance rosa. Si stringe le braccia attorno ai fianchi senza volerlo, provando in qualche modo a coprire parte della pelle che sta esponendo in bikini.

    Sarà più facile una volta che si saranno conosciuti un po', ma in quel momento si sente come in uno di quei suoi sogni dove si presenta a lavoro nuda.

    "Regina, ci dai gentilmente un minuto?".

    "Abbiamo solo...".

    "Solo un minuto" c'è qualcosa nel suo tono che placa la manager, tirando fuori il suo telefono e iniziando ad armeggiarci mentre si ritira in casa, borbottando.

    Sospira, grattandosi dietro l'orecchio prima di strofinarsi il viso con la mano "Swan, sappi che è terribilmente imbarazzante anche per me. Capisco che ti debba sembrare molto strano un accordo come questo. Se ti può essere d'aiuto, non ero d'accordo per le prime quindici volte che Regina me lo ha proposto".

    "Cosa ti ha fatto cambiare idea?".

    "Questo ruolo..." chiude gli occhi e sospira prima di guardarla di nuovo "Ho interpretato ladri e criminali e pirati. Sono stato sempre il cattivo. Questo ruolo è la possibilità di essere l'eroe, di sembrare più intelligente di una o due righe nel momento opportuno. È un'opportunità da prendere sul serio".

    "Penso di capire" lei sorride, un sorriso triste che non raggiunge del tutto i suoi occhi. Si è dimenticata di essere in piedi su un patio in bikini e nient'altro, il tono delle sue parole che la cullano "Anche io ho detto di no la prima volta".

    "Cosa ti ha fatto cambiare idea?" è curioso e capisce dal suo sopracciglio sollevato che non sapeva che l'avesse rifiutato prima di acconsentire.

    "Un'occasione per una vera casa" mormora con gli occhi fissi sulla vista della città sottostante.

    La sua fronte si solleva ancora di più, ma Regina ritorna di nuovo sul patio prima che abbia la possibilità di dire altro.

    "Avete finito?" chiede, gesticolando con il suo telefono "Possiamo, per favore, andare avanti? Solo perché sei il mio cliente più irritante, non significa che sia l’unico".

    "Sì, mia regina cattiva. Qualunque cosa desideri il tuo cuore nero" fa un sorrisetto, sarebbe ridicolo anche senza una camicia aperta con un paio di pantaloncini.

    "Attento" Regina lo fulmina prima di indicare la piscina "Come abbiamo detto. Voi due in piscina per iniziare, poi insieme su uno dei lettini. Pensate di essere felici in una nuova relazione".

    Lui si stringe nelle spalle, tendendo la mano a Emma "Vieni, tesoro. Prometto di non farti annegare".

    Trema mentre prende la sua mano, dita calde e callose che avvolgono le sue. Si era aspettata l'acqua fredda, ma era riscaldata e, nonostante le temperature non fossero alte, era abbastanza piacevole.

    Regina si dilegua nell'ombra mentre si addentrano nella piscina, intorno tutto silenzioso. Lui non lascia andare la sua mano, tirandola in acqua finché non gli arriva quasi alle spalle prima di girarsi e guardarla. Non sono mai stati così vicini da quando è iniziata tutta quella follia. Il giorno prima, l'odore stantio di liquore e fumo di sigaretta sembrava una seconda pelle su di lui, permeando l'ufficio di Regina, ma oggi è sobrio ed è abbastanza vicino da respirare il suo profumo leggermente piccante - un profumo che trova un po' troppo attraente.

    Lo guarda mentre si gira, il suo respiro si blocca per un momento all'intensità della sua espressione. I suoi occhi sono incredibilmente blu, piccole chiazze di grigio visibili così da vicino. Le ricorda l'oceano in una giornata limpida - o, almeno, lo sarebbe se non la stesse fissando come se fosse una tempesta.

    "Metti le mani sulle mie spalle" le dice dolcemente, intrecciando le dita tra i suoi capelli.

    Fa come le ha detto, nervosamente, l'acqua che li spinge più vicini. Fa un altro passo indietro nell'acqua più profonda ed Emma istintivamente stringe la presa su di lui mentre si muovono.

    Lui ridacchia, un rombo basso e gutturale mentre il braccio le circonda la vita sotto l'acqua "Sorridi, Swan, come se ti piacesse. Non ci crederà nessuno se sembri terrorizzata. Non mordo" avvicina la testa al suo orecchio, il suo respiro caldo sulla sua pelle "A meno che tu non me lo chieda" dice pianissimo.

    "Non fa parte dell'accordo" lei ribatte, allungando le labbra in un sorriso, anche se sa che probabilmente sembra più demente che felice.

    "Allora dimmi, Swan, cosa ti piace fare quando non cerchi di salvare il disastro della mia carriera?" chiede mentre galleggiano più in profondità nella piscina, sorprendendola.

    Sorride a dispetto di se stessa, appoggiandosi all'indietro per lasciare che la luce del sole nebbiosa le cada sul viso "Mettermi al sole. Leggere un libro. Bere un caffè".

    "Devo ricordarmelo. Libri, caffè e sole" le lancia un sorriso, quello che ha visto sulla copertina di molte riviste in fila alla cassa del supermercato, con luccicanti denti bianchi e occhi blu abbaglianti. Ma c'è qualcosa di diverso, lì, in quella piscina con lui, conoscendolo sempre più in quei frammenti di vita nascosta... velati da un sentimento quasi di tristezza.

    "Viviamo nella California del sud. Il sole non dovrebbe essere un problema".

    Lui ride, socchiudendo gli occhi nella luce intensa "No, suppongo di no. E anche a me piace un buon caffè".

    "Non dovresti amare il tè?" lo prende in giro, finalmente iniziando a rilassarsi.

    Sa che Regina li sta guardando, ma sta cercando di fingere che non ci sia - sta cercando di fingere di essere solo una ragazza che parla a un uomo attraente nella sua piscina molto costosa in una giornata calda.

    "Oh, capisco. Dovrebbe piacermi il tè e il whisky. Significa che tu ti diverti con birra a buon mercato e pick-up oscenamente grandi?".

    Lei scrolla le spalle "La birra economica ha il suo perchè" come quando è tutto ciò che può permettersi, pensa cupamente, ma mantiene il sorriso. Regina aveva ragione: è un po' come essere sotto copertura. Ha un ruolo da interpretare e la sua vita non dipende dal fatto che fili tutto liscio, ma c'è comunque tanto in ballo. Può essere educata e trovare una buona armonia con lui per mantenere i loro affari piacevoli, ma ha bisogno di ricordare che quest'uomo non è in realtà interessato a lei. Non può confidargli i suoi segreti.

    Lo sguardo di lui si fa pensieroso, come se fosse stato travolto dal cambiamento dell'umore di lei. Ma non può fargli avere ripensamenti, non può permettergli di analizzarla o non sopravviverà mai per un anno intero accanto a lui ed uscirne senza danni.

    Quindi, sposta indietro il braccio e lo schizza in pieno viso.

    Lui sbuffa, vera sorpresa nei suoi occhi spalancati. Lei trattiene il respiro, un sorriso che danza sulle sue labbra mentre lo guarda, aspettandosi delle ritorsioni.

    Sa che la guerra sta per iniziare quando lo vede ghignare maliziosamente "Colpo basso, Swan" è tutto l'avvertimento che riceve prima che si lanci verso di lei, tirandola sotto con lui.

    Per la prima volta dopo tanto tempo, lei ride. Ride davvero. Dimenticandosi di essere guardati. Dimenticandosi che questo è il primo passo di una routine accuratamente coreografata per farle guadagnare un premio alla fine della gara. Dimenticandosi che a malapena lo conosce. Emma ha cercato di dimenticare per così tanto tempo che a malapena riconosce la serenità quando succede davvero.

    Sono così coinvolti nel loro gioco che nessuno nota Regina in piedi sul bordo della piscina, sorridendo.

    "Va bene, abbiamo quello di cui abbiamo bisogno" dice loro, indicando le scale che conducono fuori dalla piscina "Emma, puoi cambiarti. Ti riporto in ufficio".

    Emma annuisce, la realtà la scaraventa di nuovo con i piedi per terra. Tutto quello non è reale. Lui è un attore, ben pagato. Si è lasciata sorprendere dal momento e dovrà stare molto più attenta in futuro.

    Esce dalla piscina senza guardarlo, avvolgendosi in uno degli enormi e soffici asciugamani abbandonati su un lettino. Vagamente, ricorda che Regina aveva detto che avrebbero dovuto scattare altre foto sulle sdraio, ma o si è dimenticata o ha cambiato idea. Emma non chiederà.

    Scivola in casa, il legno freddo sotto i suoi piedi dopo il caldo patio di cemento. La voce seccata di lui la segue e riesce praticamente a vedere il suo cipiglio.

    "Era necessario? Ci stavamo solo divertendo un po'".

    "Vuoi che si affezioni a te?" la risposta di Regina è gelida, tagliando le speranze di Emma come un coltello "Alla fine, vorrai ritornare single. È una pubblicità migliore. Mantieni le distanze, Jones. Ricorda che è stata pagata per fare questo".

    Continua a camminare in casa, non sentendo altre risposte. Non importa quello che dirà: Regina ha ragione. Questo è un lavoro. Non può permettersi di lasciarsi trasportare dal pensiero di qualcos'altro.



    Continua...
     
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    Capitolo 3



    Non dovrebbe essere sorpresa della rapidità con cui le foto iniziano a fioccare, ma è difficile non notarle quando è in fila alla cassa da Ralphs, le braccia cariche di generi alimentari dal momento che non si è disturbata di prendere un cestino e la nuova carta di credito scintillante che sente ancora un po' strana in tasca.
    Non sono ancora il titolo principale (non ancora, pensa con una smorfia) ma tutti i tabloid trash parlano di loro due o della "ragazza misteriosa" con cui Killian Jones ha trascorso la serata a casa sua.

    È impossibile dire che sia lei, ma lei lo sa e le viene difficile guardare (e più difficile non guardare). Le sue braccia sono avvolte intorno al collo di lui, la testa all'indietro, i loro corpi premuti insieme. La qualità della foto è troppo bassa per capirne i lineamenti, ma ricorda come l'aveva fatta ridere, come le sue mani si erano plasmate facilmente ai suoi fianchi mentre la teneva stretta sotto l'acqua.

    Sembrano una coppia che si diverte - quello era il punto di tutto. È il punto, quindi dovrà solo trovare un modo per affrontare l'improvviso desiderio che quel ricordo le provoca - che non comporti innamorarsi di lui.
    È stata accusata da molti uomini di essere fredda quando si è trovata a respingere i tentativi di una relazione, quando ha abbandonato il belloccio di turno nel cuore della notte, quando ha rifiutato qualsiasi cosa oltre due salti in camera. Li ha lasciati credere, perché la verità è che Emma non è fredda
    .
    Sente tutto e questo è il problema. Una vita come la sua non può essere sopravvissuta cedendo ad ogni emozione, così ha imparato a imbottigliarli, a spingerli verso il basso, a tenersi lontana e a costruire alte mura. Più o meno ci è riuscita semplicemente non avvicinandosi a nessuno, senza passare troppo tempo con una sola persona.

    Ha un anno da trascorrere con Killian Jones e lui l'ha turbata in un pomeriggio.

    I suoi pensieri sono confusi mentre torna a casa, chiedendosi come sopravviverà. Se l'è davvero permesso? Si è permessa di sentire? Potrebbe il tutto renderlo un anno più piacevole - ma è abbastanza sicura, sapendo che è tutto falso, che farà male peggio che cercare di mantenere le distanze. No, meglio dare il meglio e mantenere le loro vite il più separate possibile.

    Faranno altre foto quella sera. Emma non sa nemmeno dove andranno, ma Regina le ha detto di andare a casa di Killian per le 19. Praticamente sbuffa al pensiero di dover portare la sua macchina gialla nel vialetto immacolato di lui, non importa quanto le strade tutte attorno erano tortuose e collinari.

    Ma questo è il suo lavoro adesso.

    Riflette su cosa indossare. È una serata calda, ma non ha idea di cosa faranno. Nessuno dei suoi vestiti è davvero appropriato per uscire con una star del cinema, quindi si arrende e decide di prendere semplicemente qualcosa di comodo. Il risultato è una coppia di jeans a pantaloncini forse un po' troppo corti e una canotta bianca. Aggiunge alcune lunghe collane e un paio di sandali in pelle, lasciando i capelli sciolti. Sospira, guardandosi criticamente allo specchio.

    Uno stilista non cadrà magicamente dal suo armadio, quindi deve accontentarsi.

    È nervosa durante il viaggio, le sue cosce attaccate al sedile di pelle del maggiolino per il caldo. Il traffico a Los Angeles non si muove abbastanza velocemente da creare una buona brezza attraverso i finestrini aperti e lei non ricorda l'ultima volta che l'aria condizionata ha funzionato correttamente in quella vecchia macchina. La prega solo che la faccia non sarà rossa e sudata quando arriverà.

    È ancora un po' scioccante quando il cancello si apre al suo arrivo, ammettendola a casa sua senza alcuna domanda.

    Regina apre la porta, i suoi occhi vagano sui suoi vestiti un deciso senso di disapprovazione.

    "Questo non è un parco, signorina Swan" le dice, facendola entrare.

    "Lo so" Emma fa un sorriso smagliante alla donna irritata, notando il ghigno di Killian.

    Nemmeno lui è vestito elegante: ha un paio di jeans consumati e una maglietta aderente aperta sul petto. Niente scarpe.

    "Oh, lasciala stare, Regina. Non importa cosa indossa stasera" Killian entra nell'ingresso, scuotendo un paio di chiavi in ??mano "A nessuno importa dei suoi vestiti".

    "Qualcuno può aggiornarmi?" Emma chiede, ??cercando disperatamente di tenere l'irritazione fuori dalla sua voce.

    È ovvio che quei due sanno qual è il piano per la sera, ma lei no e non può passare un anno intero ad essere l'ultima a sapere tutto. Quasi lo dice a voce alta, ma è ancora sostituibile. Tutti i tabloid possono mettere in copertina una bionda. È Los Angeles. Possono trovare un'altra bionda in un secondo.

    "Scusa, tesoro. Le avevo chiesto di informarti" Killian le sorride con quel sorriso da copertina e lei fa fatica a trattenere la sua irritazione, perché non si innamorerà dei suoi amuleti.

    "E?".

    "E... stiamo andando a fare un giro".

    "Potresti essere più criptico?" finalmente scatta, alzando le mani e fissandolo.

    "Senti, capisco perfettamente che la mia vita non è interamente mia fino a quando non sarà finita questa storia, ma se vogliamo che quest'anno passi senza odiarci a vicenda, quando vi faccio una domanda diretta, per favore, rispondetemi. Andrà meglio anche per te in questo modo".

    Lui solleva un sopracciglio, le dita che si stringono intorno alle chiavi mentre socchiude gli occhi "Ah, è così?".

    "Sì".

    "Basta!" Regina batte le mani come si fa con i cani che si comportano male, accigliata "Smettetela, tutti e due. Andrete a fare un giro romantico e piacevole sulle colline".

    "Un giro in macchina? Mi hai portato qui solo per salire in macchina con lui e andare in giro per la città?".

    Regina sospira, le sue dita a massaggiarsi le tempie per l'irritazione "Signorina Swan, decidere come giocare con i media non è il suo lavoro. È il mio. Se proprio vuole saperlo, sì, deve salire in macchina e guidare per la città. È quello che potrebbe fare una coppia normale e sobria. Questa è la storia che stiamo raccontando. Killian Jones ha una nuova ragazza. Trascorre del tempo con lei nella sua piscina. La porta in giro di sera con la sua macchina. E, al mattino, lascia la sua casa a un'ora ragionevole, senza sgattaiolando fuori all'alba. Tutto normale".

    "Aspetta, cosa?".

    "Non preoccuparti, tesoro. Ci sono quattro camere tra cui scegliere. A meno che, ovviamente, non preferisci condividere il mio letto" le dice ghignando, gli occhi con un guizzo malizioso.

    "Nessuno mi ha detto che sarei rimasta qui, stasera! Non ho altri vestiti o altro!" Emma può sentire il panico crescere, perché una cosa è andare lì aspettandosi una sorta di set fotografico, ma ora sarebbe dovuta restare tutta la notte con lui? E dal momento che Regina ad un certo punto se ne sarebbe andata, sarebbero rimasti soli? Sente il controllo che ha sulla sua vita scivolarle tra le dita e sta diventando più difficile ricordare
    perché è anche lì.

    "Precisamente. Sarai fotografata stasera con questi... vestiti... e quando te ne andrai, l'indomani, sarai vista nello stesso modo" il ghigno di Regina si fa malefico mentre lancia un'occhiata a Killian, che almeno ha la decenza di apparire leggermente a disagio all'ovvio dispiacere di Emma.

    "Dunque, io me ne vado. Confido che voi due possiate gestire questa serata. Killian, ricorda il resto delle mie istruzioni" Regina si gira sui tacchi a spillo, uscendo a grandi passi dalla casa senza guardarsi indietro.

    La casa improvvisamente sembra molto grande e molto vuota. Emma sorride nervosamente a Killian, ricordandosi che in una certa misura anche lui è una pedina così come lei.

    "Hai almeno uno spazzolino in più?" chiede esitante, non del tutto pronta a scherzare a riguardo.

    Sa che passare la notte a casa sua era da prevedere, ad un certo punto. Solo pensava che avrebbe avuto più tempo per abituarsi all'idea o forse per mettere in borsa il suo spazzolino da denti e qualcosa in cui dormire.

    Le dita di lui passano tra i capelli, tirandoli leggermente prima di voltarsi con un sospiro "Swan, so che al momento è un po' una situazione scomoda, ma spero di poter diventare almeno amici o sarà un anno molto lungo. Regina potrebbe non averti detto tutto, e non mi sorprende. C'è uno spazzolino da denti e altri oggetti a tua disposizione in casa. Se non ti piace la stanza che ti ho fatto preparare, sei libera di scegliere qualsiasi tu voglia".

    C'è qualcosa di triste nelle sue parole, qualcosa di già di corda, e non le piace perché le fa provare di nuovo quella cosa, dove le fa male il cuore, dove le dita le fanno male perchè vogliono raggiungerlo e rincuorarlo, ma invece si infila le mani in tasca "Ok. Dove andiamo?".

    Il ghigno ritorna e annuisce, indicando la porta mentre si infila in un paio di scarpe "Prego, mia signora".

    Lei manda gli occhi al cielo e dice a se stessa che non c'è niente di accattivante in un uomo che vale milioni e che indossa un paio di scarpe economiche molto usurate.

    La sua macchina è ridicolmente costosa, ma Emma non riesce a trattenere un sospiro di piacere al morbido sedile in pelle. I sedili del maggiolone sono vecchi e rovinati e talvolta le pizzicano le cosce. Non la macchina di Killian. È una specie di auto sportiva elegante e costosa, vernice color vino all'esterno e pelle nera all'interno.

    Alza la musica (rock classico), abbassa le finestre e guida. Si aspetta che derapi per le vie della città, i tornanti e le curve cieche, ma non lo fa. Guida senza una meta, mentre una mano stringe il volante, cantando insieme a tutto ciò che sta passando la radio.

    "Non sapevo che sapessi cantare" lei dice, guardandolo con curiosità mentre cominciavano a superare le colline, attraversando l'autostrada e salendo ancora.

    Le lancia un'occhiata di traverso mentre fa una curva particolarmente acuta "Sì, un po'. Ho pensato di provarci, ma invece ho ottenuto un ruolo in un film. Sembrava meglio non tentare il destino".

    Annuisce, tenendo il resto dei suoi pensieri per sé. Quando le parla in questo modo, riesce a vedere l'uomo che vuole essere, l'uomo tranquillo che lavora sodo e non vuole deludere le persone. Ha difficoltà a conciliare quest'uomo con l'ubriaco nell'ufficio di Regina quel primo giorno, o il ragazzo delle feste che cade esce dai bar nelle foto dei tabloid, ma sembra che sia uno dei suoi molti segreti.

    Pensare alle foto dei tabloid le ricorda cosa stanno facendo e fissa fuori dal finestrino, chiedendosi dove, lungo il percorso, un fotografo stia aspettando con un teleobiettivo per catturare ancora un'altra immagine sfocata di loro due insieme. Fa del suo meglio per appianare le rughe, per mantenere il suo viso neutro - non è mai stata la persona giusta per tenere a lungo un sorriso falso.

    È sorpresa quando si ferma, accostandosi a una sottile macchia di terra e ghiaia. Sono da qualche parte al largo di Mulholland (pensa) e la città è sparsa sotto di loro in un infinito ingarbugliarsi di luci.

    È bellissimo e non è affatto quello che si aspettava.

    "Dai" lui dice piano, scendendo dall'auto e aprendole la portiera.

    Lei gli prende riluttante la mano, rabbrividendo nella brezza mentre lui salta la sbarra che blocca l'ingresso al belvedere, un cartello che lo indica.

    "Non dovremmo stare fuori dai guai?".

    "Nessuno ci disturberà, Swan. Vengo sempre qui" le prende la mano, aiutandola oltre il cancello e avvolgendole un braccio attorno alle spalle.

    "Freddo?".

    "Sto bene" si guarda intorno, costringendosi a non scrollarsi di dosso il suo braccio "Dove sono i fotografi?".

    "Non ne ho la minima idea. Regina ha organizzato tutto" si stringe nelle spalle, avvicinandola di una frazione mentre il vento sale ancora una volta "Voglio mostrarti la vista".

    "C'è una splendida vista da casa tua".

    "Sì. Ma qui è meglio".

    Ha ragione, ovviamente, il panorama offre loro una chiara vista direttamente nel cuore della città. Riesce a tracciare le autostrade dallo splendore delle luci rosse dei freni, lo splendore giallastro dei fari e gli edifici che rendono questa città così famosa per lo sfondo.

    Ora lui è dietro di lei, le braccia incrociate attorno a lei, tenendola stretta al suo petto, proteggendola dal vento. Dovrebbe mettere una certa distanza tra loro poiché questo non sembra essere parte del set fotografico, ma lui è caldo e solido, e per quanto ne sa, ci sono telecamere in giro.

    Non rimangono a lungo, il vento alla fine la fa rabbrividire. Stanno in silenzio sulla strada per tornare a casa.

    "Perché mi hai portata qui?" chiede all'improvviso, chiedendosi se si sia pentito di averle permesso di entrare in uno suo spazio personale. Ciò che vede sulla sua faccia è tutt'altro che rimpianto. No, invece è una profonda tristezza impressa nei suoi lineamenti, una solitudine che conosce fin troppo bene.

    "Te l'ho detto, tesoro. Questo non deve essere... Volevo che tu vedessi un po' chi sono veramente. Io capisco che non ti ho fatto l'impressione migliore nell'ufficio di Regina quando ci siamo incontrati. Sono molte cose, Swan. Sì, un uomo con un carattere irascibile e con un problema con l'alcool a volte. Ma sono anche un uomo che va nelle colline nelle sere in cui non riesce a dormire e guarda le luci della città sottostante".

    "Io cucino quando non riesco a dormire" lei offre in cambio, tentando di alleggerire l'umore con dolcezza "Anche se dubito che i cupcakes siano sulla dieta?".

    Lui sorride, la malinconia cancellata dai suoi lineamenti "Sono attualmente disoccupato, tesoro. Ho tutto il tempo del mondo per eliminare qualsiasi cura tu voglia creare".

    "Hai una cucina molto più bella della mia" è l'eufemismo del secolo. Emma è sempre scioccata quando riesce a tirare fuori dal forno qualcosa che non sia crudo da un lato e bruciato dall'altro. Scommette che il forno di Killian non gli richieda di ruotare la teglia ogni tre minuti.

    "Allora la vedrò rifornita di tutto ciò che il tuo cuore desidera per i tuoi languorini a tarda notte. Regina ha chiarito che saresti rimasta... un po' più spesso".

    "Potresti darmi una mano" dice dopo un po' di esitazione, i cancelli della sua casa si fanno vedere quando girano una curva "Se sei sveglio, intendo. E non sei fuori di te, perché so che deve essere strano per te avermi in casa all'improvviso e sono sicura che Regina vorrà che sia spesso da te e...".

    "A me sta più che bene, Swan" la interrompe, ma lo fa delicatamente mentre i cancelli si aprono e guida la macchina vicino alla porta. Cerca di ignorare quanto sembri ridicolo il suo malandato maggiolino parcheggiato accanto alla casa e alla sua macchina, deglutendo a fatica e rivolgendo la sua attenzione altrove.

    Killian la guarda mentre scende dall'auto, un'espressione curiosa sul suo volto.

    "Che c'è?" lei chiede.

    Lui apre la bocca per parlare, ma si ferma e lei lo vede nel momento in cui decide di evitare di dire qualcosa. Lui sorride invece, così affascinante, decadente, è così teatrale mentre fa un gesto verso la casa "Dovresti sapere che ho un debole per il cioccolato".


    Continua...
     
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    Capitolo 4



    "Allora, c'è altro nella lista delle richieste di Regina?" lei chiede mentre entrano in casa, l'aria notturna iniziava a farsi fredda unita alla brezza che entrava delle finestre aperte. Passa i palmi delle mani sulle braccia nude, tremando.

    Se solo avesse pensato di portarsi dei vestiti più caldi. Ma poi, di nuovo, nessuno le aveva detto che sarebbe stata lì tutta la dannata notte.

    Lui si acciglia, osservandola. Mentre i suoi occhi indugiano sulle sue gambe scoperte ancora più di quanto dovrebbe, c'è sincera preoccupazione nella sua espressione "Hai freddo, Swan?".

    "Sto bene".

    "Sei una pessima bugiarda" le passa lievemente il dito sul braccio, la pelle d'oca che la smentisce. Ma c'è fuoco nel suo sguardo quando alza gli occhi, un'intensità che non si aspetta "Facciamo un patto, dolcezza. Anche se gran parte di ciò che c'è tra noi è una bugia per il resto del mondo, io
    non ti mentirò. E tu non mi mentirai. È così che andremo avanti tranquillamente".

    Lei annuisce, troppo turbata dalla ferocia di quelle parole per fare altro. Quando le chiede di nuovo se ha freddo, mormora "Un po'".

    Lo segue in casa, oltre un soggiorno con un enorme camino ed enormi finestre aperte alla vista di sotto. Ha ragione: la vista dal belvedere è migliore, ma non c'è niente di sbagliato in quella. Ma lui continua a camminare, quindi si affretta a seguirlo.

    Attraversano una stanza con doppie porte, una aperta solo quanto basta per rivelare una camera da letto - la sua, tira ad indovinare, fatta di legni scuri e colori della terra. Si ferma davanti ad un'altra porta, gesticolando quasi timidamente verso dentro.

    "Questa sarà la tua stanza quando starai qui, se la trovi soddisfacente".

    "Sono sicura che vada bene" gli sorride, inghiottendo il commento che ha sulla punta della lingua - quella camera da letto è probabilmente più grande (e molto più bella) del suo intero appartamento. Ma non gli farà provare pietà verso di sè, ricordandogli quanto fosse disperata tanto da cogliere la possibilità di ricevere denaro da quel lavoro - e non gli ricorderà che è stata pagata per stare lì. La serata era andata troppo bene per rovinarla con una realtà così cinica. No, non sono amanti - non lo saranno mai - ma forse potevano diventare amici.

    Era passato molto tempo da quando Emma aveva avuto qualcuno nella sua vita da poter chiamare amico.

    "Se vuoi, diciamo, assicurarti di avere tutto ciò di cui hai bisogno, ti prenderò semplicemente qualcosa di più caldo da mettere" le sorride, quel sorriso nervoso, timido, e lei si rende conto in quel momento che nonostante tutto il resto intorno a loro, quella situazione lo ha sbilanciato quasi quanto lei. È un particolare conforto, ma comunque un conforto.

    Entra nella stanza mentre lui scompare nel corridoio, spalancando gli occhi. Case come quelle praticamente non potevano che essere organizzate da un architetto, ma è comunque stupita da tutti quei colori crema e verde, il tappeto spesso e morbido sotto i piedi. La stanza è decisamente più grande del suo appartamento.

    Passa le dita sulle superfici mentre si muove, la morbida trapunta e la plastica dura del bordo del televisore a schermo piatto montato alla parete.

    Sembra surreale pensarla come la sua stanza, ma ha realizzato solo nelle ultime ore che trascorrerà molto tempo in quella casa per tutto l'anno.

    Ci sono due porte in una delle pareti, la prima che rivela una piccola cabina armadio; l'altra che conduce ad un bagno bianco e verde pallido, piastrelle di vetro che le ricordano il fondale marino coprono quella che sembra essere una doccia molto lussuosa. Fedele alla sua parola, lui le ha preparato uno spazzolino da denti, dentifricio, collutorio e bottigliette di shampoo e balsamo.

    "Tutto di tuo gradimento?" la sua voce la sorprende e lei quasi si scontra contro il suo petto quando si gira. Il suo viso arrossisce, imbarazzato per essere stata presa così alla sprovvista.

    Lui non può fare a meno di notare il rosa delle sue guance e fa fatica a non esserne colpito, a non lasciare che quello si aggiunga al clamore nella sua testa che pone l'accento sul fatto che tutto quello poteva essere qualcosa di più di un semplice lavoro. Ha visto il tremolio di interesse nei suoi occhi e c'è qualcosa tra di loro - l'aveva sentito nel momento in cui le sue mani avevano toccato le sue spalle nella piscina.

    Ma lei è sfuggente come un gatto e quello è tanto per lei da accettare senza che lui provi a cambiare le regole del gioco, quindi le passa semplicemente le maglie che le ha recuperato, ignorando fermamente il fatto che le stia offrendo una delle sue maglie preferite solo perché vuole vederla su di lei. No, non penserà a come potrebbe apparire con i capelli spettinati dal sonno, le gambe magre esposte sotto quella maglietta.

    Lei nota i vestiti tra le sue mani e sposta lo sguardo, concentrandosi su un'altra finestra che guarda verso la città "Sì, va tutto bene. Riesci a vedere la valle da tutte le stanze?".

    "Quasi" c'è qualcosa di malinconico nel suo tono, ma quando lei si gira di nuovo verso di lui, non c'è più.

    "Ecco" le consegna il groviglio di stoffa, il morbido cotone che scivola sotto le dita "Vorrei accender un fuoco, se vuoi uscire in salotto una volta che ti sarai cambiata. Fa abbastanza freddo quando il sole va via".

    "È un invito o è nella lista di Regina?".

    La scintilla di malizia avvolge la sua espressione, il labbro che si arriccia in un ghigno "Un po' e un po', dolcezza".

    Scivola fuori dalla stanza e lei non può fare a meno di guardarlo allontanarsi, le spalle larghe avvolte nella sua maglietta. Scuote la testa, rivolgendo la sua attenzione agli abiti in mano. Sono di lui. Certo che sono di lui. Non è sicura che la faccia piacere sapere che non tiene una scorta di abbigliamento femminile a casa o se sia strano che le stia consegnando già i suoi vestiti. Ma, di nuovo, dovrebbe essere la sua (falsa) fidanzata, quindi dovrebbe probabilmente abituarsi ad indossare alcune delle sue cose. È quello che fanno le fidanzate, no?

    "Oh, per l'amor del cielo, Emma, sono solo dei vestiti!" borbotta tra sé, tirando la maglietta sopra la testa e afferrando i morbidi pantaloni della tuta. La maglietta è tutt'altro che un pezzo costoso di qualche stilista famoso, ma invece è fatta di un tessuto ben consumato con un "DUBLIN" sbiadito spiegato sul petto.

    E odora di lui.

    Cercando di non leggere troppo in quel fatto, strattona il cordoncino dei pantaloni fino a quando non si adattano ai suoi fianchi, decidendo comunque di non fare movimenti improvvisi, per ogni evenienza.

    Lo trova in soggiorno come promesso, un piccolo fuoco acceso nel camino. È seduto sul divano, i piedi sul tavolino intagliato e una bottiglia di vino accanto.

    La ragazza che ha trascorso molti inverni a Boston giudicherebbe un po' troppo quel fuoco quando fuori ci sono oltre i 35 gradi, ma ha vissuto in California abbastanza a lungo da volerlo ora.

    "Grazie per i vestiti" mormora, sedendosi a buona distanza da lui "Si sta molto meglio adesso".

    Gli occhi di lui scivolano sullo spazio vuoto tra loro, ma non dice nulla, invece prende il vino.

    Lei è di nuovo nervosa, la tranquillità del loro giro in auto svanita di fronte all'essere lì, a casa sua, sola con lui. Indossando i suoi dannati vestiti.

    Le porge un bicchiere di vino e lei lo manda giù senza assaggiarlo, solo per sentire la sua risatina.

    "Piano, tesoro. Un buon vino si deve assaporare".

    I suoi occhi si fissano su di lui sopra il vetro del bicchiere e con uno sguardo acido, buttando giù il resto del vino.

    "Sei testarda" lui scuote la testa, ma le prende comunque il bicchiere, mettendole un altro po' di vino prima di restituirglielo.

    "Non mi piace sentirmi dire cosa fare".

    "Sì, lo sto imparando" si appoggia ai cuscini del divano, un braccio sopra lo schienale mentre l'altra mano tiene il bicchiere di vino. Sorseggia lentamente, guardandola alla luce del fuoco "Temo che abbiamo ancora una cosa da fare nella nostra lista di cose da fare per stasera".

    "Giusto. Quasi dimenticavo. Regina ti ha lasciato le istruzioni?" lei imita il tono brusco della sua manager, provocandogli un'altra risatina.

    "Sì" prende il telefono dalla tasca, facendolo roteare pigramente tra le mani "Devo mettere una foto sufficientemente vaga su Instagram" lo dice come se gli fosse stato detto di attraversare una fossa di vipere.

    "Sufficientemente vaga? Che cosa significa?".

    "Dobbiamo escogitare qualcosa noi, mi ha detto. Qualcosa che suggerisca che sei qui, ma non mostra ancora il tuo bel viso".

    "Sono sorpresa che tu abbia un account Instagram".

    Si stringe nelle spalle, un sorriso che passa sul suo volto prima che il ghigno ritorni "Principalmente, è solo lavoro. Occasionalmente trovo qualcos'altro che valga la pena mostrare al mondo".

    Gli porge il bicchiere di vino con un sospiro "Ecco, scatta una foto del fuoco con i due bicchieri di vino. Problema risolto. Nessuno di noi deve essere nella foto".

    "Ha detto che doveva essere ovvio che ci fossi tu".

    "Ovvio che ci sia io, ma che sia sufficientemente vaga?".

    Lui sorride, annuendo "Sì, questo è il problema".

    "Beh, qual è la tua grande idea?".

    Non avrebbe dovuto chiederlo, perché la sua espressione diventa pensierosa, i suoi occhi che la guardano prima che il suo sorriso diventi decisamente compiaciuto "Stai indossando una delle mie magliette preferite. Ci sono stato fotografato molte volte".

    Lei lo guarda, abbassando lo sguardo sulle grandi lettere maiuscole, ignorando il fatto che le abbia dato una delle sue magliette preferite da indossare "Non pubblicherai una foto delle mie tette perchè la veda tutto il mondo. Te lo puoi scordare".

    "Oh, dai, Swan. È vago, ma abbastanza ovvio. E sono adorabili".

    "Grazie?" fa un altro profondo sorso dal suo bicchiere di vino, chiudendo gli occhi. Perché Regina non poteva essere più diretta nei suoi ordini? Questo doveva essere una specie di strano esercizio di team building, lasciandoli a capire da soli cosa fare? O una specie di test, per vedere se fosse in grado di esercitare un'influenza sufficiente per impedirgli di pubblicare qualcosa di stupido?

    "Se tu fossi disposta a prestarmi i tuoi indumenti intimi, potrei fotografarli sul mio letto" le offre, tutto falsamente innocente nonostante l'audace ghigno che sfoggia quando vede i suoi occhi spalancarsi in allarme "Quello sarebbe abbastanza ovvio".

    "Assolutamente no!" sente il viso riscaldarsi, se per il vino o per il pensiero di lui con i suoi indumenti intimi non è sicura - ma non c'è modo che gli permetta quella specie di foto che tutto il mondo possa vedere.

    "Sentiamo i tuoi suggerimenti, ora. Io ne ho fatti due e tu a malapena uno".

    "Sei incredibile" l'alcool si stava facendo strada nel suo sistema, allentando il tenue controllo che ha su di sè. È difficile ricordare che è lì per lavoro, che dovrebbe mantenere il suo miglior atteggiamento. Ma non sembra lavoro in quel momento.

    Lui solleva il telefono senza preavviso, scattando una foto del suo cipiglio prima che abbia una possibilità di protestare.

    "Ehi!" lei abbandona rapidamente il bicchiere di vino, lanciandosi verso il telefono mentre lui glielo tiene fuori dalla sua portata "Hai detto vaga, Jones! Non spalmare la mia faccia su Internet con i capelli in disordine!".

    "I tuoi, come dici tu, capelli disordinati ti fanno sembrare come se fossi stata completamente soddisfatta" gira lo schermo in modo che possa vederlo, tenendolo lontano abbastanza per non consentirle di eliminare la foto. E, dannazione a lui, i suoi capelli scompigliati dal vento assomigliano molto a qualcos'altro alla luce del fuoco con un bicchiere di vino in mano.

    "Per favore, non pubblicarla".

    "Forniscimi un'altra opzione".

    Sospira, fissando il fuoco. I suoi piedi, ancora racchiusi nelle Chuck consumate, sono appoggiati sul tavolino e oscurano la sua visuale, ma le danno un'idea "Scatta una foto del fuoco con i nostri piedi appena visibili".

    Alza un sopracciglio, guardandola come se gli avesse suggerito di fotografare l'interno del suo orecchio "I piedi?".

    "Sì. Ecco, dammi il tuo telefono" si sposta sul divano, sedendosi accanto a lui e ignorando quanto sia facile lasciare che il suo corpo si modelli al suo, tendendogli la mano.

    Lui esita, ma le passa il telefono con uno sguardo curioso, osservando come, con un colpetto del suo piede, getti una gamba sopra la sua e poi si appoggi indietro per cercare di ottenere l'angolazione corretta.

    Lei finge di non notare come il suo braccio scivoli dalla parte posteriore del divano alle sue spalle, tenendola accucciata contro il fianco mentre lei usa il telefono. Ci vogliono alcuni tentativi, ma poi gli ripassa il telefono, trionfante.

    "Ecco. Riesci a malapena a vedere il mio piede. Chiaramente non un piede da uomo. Metti una didascalia sul godersi una notte tranquilla a casa accanto al fuoco".

    Lui fissa lo schermo del telefono, poi torna a guardarla prima di sospirare "Se Regina non approva, incolperò te, Swan".

    "Fallo e basta".

    Borbotta ancora un po' sottovoce, ma le sue dita si muovono sullo schermo "Abbiamo finito" le dice, gettando il telefono sul cuscino del divano e inclinando la testa all'indietro.

    "La lista delle cose da fare o la foto?".

    "Entrambi".

    "Grande" lei inizia a scivolare via, di nuovo al suo fianco del divano, ma la sua mano sulla sua spalla si stringe leggermente.

    "Puoi restare, Swan. Potremmo anche abituarci a stare vicini. Dovrai baciarmi prima o poi, lo sai. Potremmo esercitarci" quel suo sorriso è tornato, il ghigno è quello che invita a infrangere le regole.

    "Io non ho bisogno di pratica. Mi stai dicendo che le tue capacità di baciatore sono così scadenti?" non può fare a meno di sfidarlo, sperando di colpirlo un po'. È troppo compiaciuto in quel momento e, diavolo se lo è, non può permettergli di avvicinarsi più di quanto non abbia già fatto.

    Non risponde subito e lo sgomento e l'indecisione nei suoi occhi la fanno ridere "Hai difficoltà a decidere se vuoi vantarti ancora un po' o auto-insultarti per voler continuare questa pretesa ridicola di far pratica?".

    Questo lo fa ridere, un suono profondo che riesce a sentire nel suo petto così vicino.

    "Touché, Swan".

    Il suo telefono si illumina e lui lo guarda con un sospiro "Regina" dice.

    Lei coglie l'occasione per scivolare via da sotto la sua stretta, guardando la danza delle fiamme mentre cerca di non ascoltare la sua conversazione - non che stia dicendo molto. Prende un altro sorso di vino, dicendosi che non è nervosa per la chiamata di Regina o la sua vicinanza o per la foto che è stata una sua idea.

    Quando lui finalmente riattacca, lo guarda incuriosita. Ha una strana espressione sul viso, in parte soddisfatto e in parte triste, ma quando la guarda, sorride "Ben fatto, Swan. Ci siamo guadagnati una stellina d'oro".

    "Regina approva?".

    "Sì" le passa il suo telefono, dove i fan di Instagram hanno già iniziato a mettere cuori. Non può fermare la sua curiosità mentre scorre alcuni dei commenti. Vanno dagli insulti ("Chiunque sia, scommetto che sia solo una troia presa da un bar") a cose dolci ("Così carini, buonanotte") e ce ne sono già centinaia.

    "Questa foto è sul web da nemmeno dieci minuti..." lei gli restituisce il telefono, sopraffatta dalla grandezza di ciò in cui si è cacciata. Finora era sembrato tutto abbastanza tranquillo. Era stata fuori con lui nella sua piscina ed era andata a fare un giro in macchina e ora erano seduti a bere vino. In effetti, ci sono momenti in cui semplicemente dimentica che è Killian Jones, mega star del cinema.

    Ora, perfetti sconosciuti pensano che lei sia una troia a causa delle sue dita dei piedi. Sembra una solida indicazione di ciò che avverrà in futuro. Improvvisamente bisognosa di stare sola, posa il suo bicchiere sul tavolino "Sono piuttosto stanca," mormora, alzandosi in piedi e forzando
    un sorriso per il bene di lui "Vorrei andare a letto. A che ora devo pianificare di alzarmi domani mattina?".

    "Quando vuoi, dolcezza. Non c'è un programma di cui io sia a conoscenza".

    "Quindi... andrò a casa appena mi sveglio?".

    Lui si stringe nelle spalle, improvvisamente non volendo incontrare i suoi occhi "Sì, se vuoi. Non allarmarti se vedrai un fotografo fuori".

    C'è qualcosa di amaro nell'ultima parte delle sue parole, ma lei si allontana perché se si sedesse sul divano con lui, continuando a bere il suo vino, non è sicura di riuscire poi a dormire quella notte.

    Confini. Ecco di cosa hanno bisogno. Una linea sulla sabbia per impedire loro di complicare le cose.

    Emma si mette sul letto deliziosamente comodo ancora con su la maglietta di lui, ignorando decisamente come una brezza possa spostare con facilità le sabbie di un'intera spiaggia.


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    Capitolo 5



    All'inizio, lei si trova a girarsi e rigirarsi, ma alla fine cade in un sonno agitato. È troppo tranquillo lassù nelle colline, in quella casa, in una strada senza uscita con una vista che si estende per chilometri. Emma è abituata al rumore della superstrada e dei suoi vicini, all'odore della cena di qualcun altro che cucina o al motore diesel di passaggio.

    Tutto ciò che riesce a sentire adesso è il profumo pulito del detersivo per il bucato mescolato con qualcos'altro, qualcosa di decisamente maschile che proviene dalla camicia presa in prestito.

    I suoi sogni sono lampi di immagini, troppo vaghi per essere ricordati, ma abbastanza chiari per lasciare una sensazione turbata quando si sveglia poco prima dell'alba nella casa silenziosa. Striscia fuori dal letto, strofinando le braccia contro il freddo mattutino e spingendo indietro le tende per rivelare la luce grigia del sole. La giornata è appena iniziata ed è uggiosa, ma ad Emma non importa. Raramente è così, malinconica e grigia, e non le dispiace. Le ricorda Boston, che non è esattamente una passeggiata gioiosa nei ricordi, ma a volte le manca lo stesso.

    Non è colpa della città se la sua vita è sempre stata un caos.

    Si dirige verso il bagno, pensando di fare una doccia prima di tornare a casa. Non dovrebbe indugiare lì, ma, davvero, che male ci sarebbe? Non è che abbia altro da fare quel giorno e lui non è ancora sveglio.

    Dubita che le tubature di quella casa scricchiolino e ululino come un animale morente come da lei. La doccia è totalmente diversa dalla normale piastrellata bianca macchiata e scheggiata a cui è abituata. Il pallido colore delle piastrelle di vetro verde è abilmente combinato con una pietra grigia nebbiosa e, se alla vista sembra bella, il getto d'acqua è ancora meglio. La temperatura dell'acqua non la scotta nè la congela improvvisamente. Non può fare a meno di rimanere semplicemente lì per alcuni lunghi momenti, occhi chiusi, chiedendosi come diavolo potrà rinunciare a tutto quello dopo aver adempiuto ai suoi doveri.

    Si dà uno sguardo lungo e duro allo specchio appannato mentre si passa la spazzola tra i capelli, legandoli subito dopo. Docce fantasiose e asciugamani e lenzuola incredibilmente morbidi sono carini, ma niente di tutto quello è suo. Farà bene a ricordarselo.

    Si riveste, ma fa ancora freddo e, con un'alzata di spalle, si mette la camicia sopra la canotta. Non è che lui non sapesse dove trovarla o come contattarla. Deve andarsene prima che lui si svegli. E se si offrisse di prepararle la colazione? O peggio, se le chiedesse cosa stesse ancora facendo a casa sua?

    Decisa a fuggire rapidamente, Emma scivola nel corridoio, ma non riesce a trattenersi mentre passa davanti alla porta aperta della sua camera da letto. È disteso sul letto, senza camicia e con il braccio sugli occhi. C'è tensione nel suo corpo e, per una frazione di secondo, pensa di svegliarlo, ma il pensiero sparisce altrettanto rapidamente.

    Qualunque cosa lo preoccupi, non è affare suo.

    Sognando una tazza di caffè caldo, si infila le scarpe lasciate vicino alla porta la sera prima, estrae le chiavi dalla borsa e apre la porta d'ingresso. I suoi occhi sono sui gradini, umidi dalla rugiada della notte, e sente lo scatto e il suono di voci davanti a lei prima che il suo cervello realizzi.

    Inorridita, alza gli occhi per scoprire una mezza dozzina di paparazzi accampati fuori dalla porta di Killian, tutti a scattare con impazienza foto di lei. Si congela, le loro urla verso di lei a malapena vengono registrate mentre si rende conto con orrore che, non solo sono a malapena le 7:00, indossa la camicia di Killian ed ha chiaramente appena lavato i capelli.

    Ci vuole un altro infinito, immobile arco di secondi per decidere se farsi largo tra quegli idioti o ritornare in casa. Prova un vero fascino all'idea di entrare nel maggiolino e passargli sopra, ma il problema è che non è interamente una sua decisione.

    Per quel che ne sa, Regina può averli inviati lì.

    Quindi, saluta come un’idiota, camminando verso la sua auto come se fosse uscita per prendere qualcosa, la faccia in fiamme mentre si piega sul sedile posteriore come se stesse cercando qualcosa prima di tornare in casa.

    Killian la sta aspettando, a petto nudo, con le braccia incrociate e un'aria fortemente irritata. Si ferma quando lo vede, una furia fredda sfrigola nel suo sguardo mentre i suoi occhi tempestosi incontrano i suoi.

    "Io..." deglutisce a fatica, i palmi delle mani appiattiti sulla porta dietro di lei, perché non ha paura di lui, ma lo sguardo nei suoi occhi è terrificante "Mi dispiace, io…".

    "Perché ti stai scusando, Swan?" solleva un sopracciglio verso di lei, gesticolando rabbiosamente verso la porta "Hai chiamato tu quel branco di cani rabbiosi alla mia porta?".

    "No, certo che no! Ero solo...".

    "Già, ovvio che no. Regina mi ha avvertito, come ti ho detto ieri sera, poteva esserci un fotografo. Non tutti quanti!".

    Lei sorride debolmente, appoggiando la testa all'indietro contro la porta "Bene, hanno ottenuto quello che volevano. Un sacco di foto di me con i capelli bagnati e senza trucco e..." abbassa lo sguardo, sospirando pesantemente "E indosso la tua camicia".

    Il suo sguardo segue il suo ed emette una risata breve e amara "Meraviglioso, Swan" si passa una mano sul viso, la stanchezza si mostra per una frazione di secondo nei suoi lineamenti prima che si ricomponga "Sono sicuro che presto avremo notizie da Regina. Nel frattempo, dato che siamo svegli... colazione?".

    Esita, lanciando un'occhiata alle sue spalle verso la piccola finestra che si affaccia sul vialetto. Non riesce a vedere il cancello da lì, ma sa che sono ancora lì e una parte di lei vorrebbe entrare nella sua macchina e allontanarsi da quella casa il più velocemente possibile. Ma quella non è davvero un'opzione. Ha detto di sì a tutto quello, sia che l'avesse capito perfettamente al tempo o no.

    "Hai delle gocce di cioccolato?" chiede debolmente, allontanandosi dalla porta dopo aver lasciato cadere la borsa all'ingresso.

    "Andiamo a scoprirlo" indica verso la cucina e lei lo segue, offrendo un altro piccolo sorriso mentre lo supera.

    Non sono andati in cucina la sera prima, ma è il tipo di cucina che Emma ha sempre sognato.

    È spaziosa e ariosa, la luce del primo mattino che passa attraverso le finestre su enormi piani di pietra ed elettrodomestici eleganti. Fa scorrere leggermente le dita sul legno scuro e lucido degli armadietti, i suoi occhi lo seguono mentre apre il frigorifero e inizia a tirare fuori del cibo.

    "Se c'è del cioccolato, lo troverai lì" indica un punto lungo il muro degli armadietti e Emma attraversa la cucina per indagare. È sorpresa di trovare tanti utensili per la cottura - molta farina e zucchero e cioccolato.

    "Pensavo che la tua cucina avrebbe avuto poco più della birra - scusa, rum" dice con un sorriso stuzzicante mentre si gira verso di lui con la farina e le gocce di cioccolato. Lui ha già deposto uova, burro e latte sul bancone e una parte di lei non può fare a meno di vedere come siano sincronizzati, nonostante la tensione causata dai fotografi.

    Nessuno dei due ha parlato di frittelle, ma organizzano tutto per prepararle.

    Lui emerge da dietro la porta del frigorifero, un pacchetto di pancetta in mano "Non dovresti credere a tutto ciò che leggi in una rivista" risponde, i suoi occhi si posano su quelli di lei in un silenzio intenso che va ben oltre le semplici parole.

    Le sue guance si infiammano, perché il commento non proviene da nessun articolo di rivista, ma più dall'impressione che ha avuto di lui negli ultimi giorni. Tuttavia, tiene la bocca chiusa, guardando mentre inizia a tirare fuori le padelle e a mescolare nelle ciotole.

    "Pancakes o pancetta?" chiede, con le mani appoggiate sul bancone mentre la guarda con aria di sfida.

    "Um, entrambi ovviamente".

    "Ottima risposta, Swan. Sapevo che mi saresti piaciuta" il suo sorriso è sfacciato e le fa l'occhiolino, ma fa un gesto verso le loro provviste e pone di nuovo la sua domanda "Quello che volevo dire è se ti piacerebbe preparare le frittelle o la pancetta?".

    "Frittelle" lei risponde automaticamente, prendendo una ciotola "Faccio frittelle eccellenti".

    "Lo vedremo. Le mie capacità di friggere la pancetta non sono seconde a nessuno".

    "È alquanto difficile rovinare la pancetta".

    "Sembra una sfida".

    "Se rovini la pancetta, la devi mangiare anche tu. Ho imparato abbastanza su di te per sapere che hai un buon senso di autoconservazione" gli dà una gomitata giocosa prima di iniziare a misurare gli ingredienti "Suppongo che la tua cucina raffinata abbia una piastra?".

    Lui sorride e scivolano in un ritmo facile, muovendosi l'uno attorno all'altra mentre Emma ribalta pancakes e Killian le sta accanto, girando con cura la pancetta senza schizzare nessuno dei due.

    Sente i suoi occhi su di lei, lotta per non alzare lo sguardo, per non dare troppa importanza a quella scena domestica. Mangeranno insieme, ecco cosa succede quando due persone trascorrono molto tempo insieme. Il fatto che si muovano facilmente nella sua cucina non è qualcosa su cui valga la pena imbastire una storia d'amore - è solo una colazione. Ma è così dannatamente facile stare con lui.

    Ha appena messo l'ultimo dei pancake su un piatto quando il telefono di lui inizia a squillare, si acciglia quando guarda lo schermo "Regina di nuovo" brontola, voltandosi senza rispondere "Può lasciare un messaggio".

    "Forse dovresti…".

    "Swan, in questa casa, mangiamo la pancetta e le frittelle mentre sono calde" le dà una leggera spinta con l'anca verso il patio posteriore, protetta da occhi indiscreti.

    Non può fare a meno di nascondere il sorriso che le tira le labbra, anche se manda gli occhi al cielo. È una danza ben bilanciata mentre spostano i piatti di pancetta e pancake nel patio sul retro con tazze da caffè e posate, ma Emma sospira per il puro piacere della colazione fuori, la vista della città davanti.

    Lui si complimenta per i pancakes e lei insulta il suo bacon, solo per stuzzicarlo anche se gioiosamente. Il suo ghigno le dice che è pienamente consapevole che è una bugiarda e così passano una trentina di pacifici minuti di chiacchiere tranquille che svaniscono in un silenzio confortevole mentre sorseggiano il caffè.

    Geme mentre si alza in piedi, dandosi una pacca sulla pancia piatta e guardandola con affetto "Credo che mi divertirò ad averti in giro, Swan. Ne varrà la pena passare più tempo in palestra".

    Ride, raccoglie i piatti e lo segue in cucina "Non ho mai avuto il tempo di andare in palestra. Suppongo che ora che il mio lavoro è essere la tua ragazza, forse dovrò provare".

    Il suo sorriso svanisce per una frazione di secondo, ma poi torna, solo un po' troppo luminoso. Lei vorrebbe chiedere, ma non lo fa, perché lo sa - hanno passato una bella mattinata insieme e ha appena fatto notare l'elefante nella stanza: è il suo lavoro essere lì.

    "Regina ha chiamato cinque volte" lui dice piano mentre posa i piatti "Suppongo che dovrei richiamarla".

    "Certo. Pulisco io" gli indica di andare con un gesto della mano e lui scompare in corridoio verso la sua camera da letto con il telefono, le spalle già tese.

    Anche la pulizia è più facile nella sua cucina, una grande lavastoviglie a sua disposizione mentre sciacqua i piatti e le posate, versando con cura il grasso della pancetta in una tazza improvvisata di carta stagnola.

    Non è ancora tornato quando ha finito, quindi si versa un'altra tazza di caffè, ascoltando i rumori della macchinetta mentre si appoggia al bancone e fissa le finestre, incapace di scuotere dalla testa un pensiero singolare.

    Quello è solo l'inizio.


    Continua...
     
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    Capitolo 6



    "Tutto ok?" lei chiese quando lui ritornò nel patio, con la faccia contorta in uno cipiglio. Si era assentato per parecchio tempo - abbastanza a lungo che la seconda tazza di caffè di Emma era quasi finita. Aveva pensato di andarsene, sentendosi a disagio nel suo patio senza di lui. Ma, dannazione, i fotografi affollavano ancora il cancello e non era sicura di cosa avrebbe dovuto fare ora - rimanere o andare?

    Il fatto che non era interamente una sua decisione non gli andava ancora giù. Killian la fissò a lungo, ancora in silenzio, e lei si mosse a disagio sotto il suo scrutinio. Si era fatto una doccia, si era vestito con jeans e maglietta e in qualche modo si era spezzata la pace tra loro - come se lei e la sua tazza di caffè fossero lì da troppo tempo.

    "Regina è contenta" lui disse alla fine, poggiando il telefonino sul tavolo del patio mentre scivolava su una sedia accanto a lei, i suoi occhi puntati verso l'orizzonte "Quelle foto che ti hanno fatto prima sono già ovunque online".

    Era ancora teso. Emma aveva trascorso abbastanza tempo a leggere le persone e sapeva che lui stava omettendo qualcosa, che c'era stato dell'altro nella sua lunga conversazione con la sua manager. Ma rimase in silenzio, sorseggiando l'ultimo caffè e guardando un uccellino che fluttuava in aria, si librava in alto prima di precipitare di nuovo in basso. Fargli altre domande non l'avrebbe portata da nessuna parte - aveva capito abbastanza su di lui da sapere che doveva abituarsi ai suoi tempi.

    Alla fine sospirò, appoggiandosi allo schienale e sfregandosi una mano sugli occhi "Ci sarà un evento questo venerdì. Dobbiamo partecipare insieme".

    "Ok" lei concordò abbastanza facilmente, scrollando le spalle "A che ora devo venire?".

    I suoi occhi si aprirono, sfere blu intenso piene di pensieri turbati "Dobbiamo partire per le cinque. Lei ti vuole qui a mezzogiorno".

    "Mezzogiorno?".

    "Maledizione, Emma, è quello che ho detto, no?" lui scattò, le mani sugli occhi e le spalle tese.

    "Qualunque sia il tuo problema, non puoi prendertela con me" disse tranquillamente, ma con un tono tagliente. Emma poggiò delicatamente la sua tazza di caffè sul tavolo del patio, lottando con se stessa per mantenere il controllo in modo da non gettargli il contenuto in faccia.

    Si alzò dalla sedia, si tolse la maglietta e gliela lanciò a dosso nonostante facesse freschetto. Gli finì in grembo, ma lei non gli stava più prestando attenzione mentre si dirigeva verso la porta.

    Le sue dita si chiusero attorno al suo polso all'ultimo momento, il suo sospiro pesante "Scusami".

    Si fermò, chiuse gli occhi, contò fino a dieci e poi si girò di nuovo verso di lui "Guarda, lo so che questa relazione non è reale, ma puoi parlarmi. Abbiamo detto niente bugie, giusto? Cosa ti infastidisce?".

    "Non mi piace usare le persone".

    "Se ti riferisci a me, a malapena mi stai usando quando la tua manager ha insistito per pagarmi una ridicola somma per farlo".

    "Non hai idea in cosa ti sei cacciata, tesoro" quelle parole furono particolarmente amare, ma le sue dita rimasero ancora strette attorno al suo polso, il suo pollice ad accarezzarle leggermente la pelle "La tua vita, Emma... non è più la tua. Capisco che pensi di aver fatto un affare con Regina, ma la tua vita appartiene a lei e a me. Ma non è neanche nostra. È loro" fece un cenno verso il davanti della casa, la sua espressione accigliata.

    "So badare a me stessa, Killian".

    "Sì, suppongo che sia così" lui le lasciò il polso, ma i suoi occhi catturarono i suoi, la preoccupazione evidente nella sua espressione "Promettimi una cosa, tesoro. Non leggere la robaccia che diranno di noi. Ti farà impazzire".

    Quelle parole la fecero scattare e restrinse gli occhi, prendendo dalla tasca il suo telefono "Hanno detto qualcosa, vero? Qualcosa che non ti è piaciuto?".

    "Non farlo" Le sue dita si incurvano attorno alle sue, impedendole di scrivere qualsiasi altra cosa sul telefono "Non riguardava me. Era su di te. Non era gentile e non vero".

    "Quindi ti aspetti che non vada a cercare, qualunque cosa abbiano detto, dopo che ti stai comportando così?".

    "Non farà alcuna differenza. Scriveranno quello che vogliono scrivere. Alcuni scriveranno cose piacevoli. Alcune cose terribilmente terribili. La maggior parte sarà completamente inventata. Per favore. Non farlo a te stessa".

    Sospirò, rimettendosi il telefono in tasca. Sarebbe stato un interessante esercizio di autocontrollo non googlare se stessa dopo quella conversazione, ma suppose che avesse ragione "Va bene, ok. Non guarderò. Dimmi di più su venerdì".

    Il suo cipiglio ritornò, i suoi occhi lasciarono i suoi per concentrarsi sull'orizzonte cupo "Uno dei miei amici ha una prima del suo film. Avevo dimenticato di essere stato invitato. Me l'ha ricordato Regina. Dice che è la perfetta opportunità per noi di farti conoscere al mondo, poiché non è il mio film e non ci saranno aspettative della stampa. Solo foto".

    "Non suona così male" stava cercando di non mostrare il suo nervosismo, perché tra i paparazzi e una prima cinematografica, la realtà la stava rapidamente raggiungendo. Certo, non aveva niente di appropriato da indossare in una prima di un film, ma sarebbe riuscita a trovare qualcosa. C'erano siti web che affittavano abiti firmati: probabilmente ne avrebbe avuto uno entro venerdì.

    Sapeva che Regina le aveva detto che avrebbe pagato lei per tutto ciò di cui avesse bisogno, ma non riusciva a costringersi a entrare in un negozio dove un vestito superava l'affitto di un mese e farsi comprare cose carissime.

    "Dave parla da tempo di questo film. Cavalca cavalli e fa oscillare una spada, adora queste parti" il suo umore cambiò di nuovo e sorrise, pieno di divertimento "Dovremo stare molto attenti con lui, tesoro. Siamo amici da molto tempo. Non sarà facile ingannarlo".

    "Non sono preoccupata" mandò gli occhi al cielo, guardando di nuovo verso la casa "Dovrei andare, però. Ho davvero bisogno di vestiti puliti".

    Annuì, alzandosi in piedi "Ti accompagno fuori".

    Lei sorrise mentre la seguiva in casa, guardandolo con sospetto mentre afferrava la sua borsa da vicino la porta "Sei un gentiluomo o stai per tirare qualcosa alle telecamere?".

    Lui le fece un sorriso, aprendo la porta mentre lei si fece scivolare gli occhiali da sole sul naso "Un po' entrambe le cose, tesoro".

    Temeva che l'avrebbe baciata di fronte a tutti i fotografi, temeva di non riuscire a comportarsi appropriatamente, ma alla fine le aprì solamente la portiera della macchina e la baciò su una guancia, un luccichio di malizia nei suoi occhi con le spalle al cancello.

    "Ci vediamo venerdì, Swan. A mezzogiorno" fece un passo indietro mentre lei chiudeva la portiera, girando la chiave per avviare il motore "Se intralciano il tuo percorso, investili" le disse, indicando il cancello.

    Lei rise, mandando gli occhi al cielo mentre si allontanava. Fu un'esplosione accecante di lampi mentre attraversava il cancello, ma fa una fuga abbastanza veloce con qualche curva ben eseguita.

    Il suo passato si stava dimostrando utile quel giorno.

    Fu un sollievo quando chiuse la porta del suo appartamento dietro di sé, affondando contro la superficie di legno scheggiata, cercando di non sentirsi soffocare in un posto così piccolo dopo la sera con Killian nella sua casa bella e spaziosa.

    Per la prima volta nella sua vita, si ritrovò stranamente grata di non avere una famiglia che le avrebbe chiesto del suo nuovo fidanzato. Aggrottò le sopracciglia, abbassando lo sguardo sulle unghie poco curate e mordicchiate. Come sarebbe stata mai abbastanza presentabile per camminare su un tappeto rosso accanto a quell'uomo?

    La risposta arrivò abbastanza presto.




    Arrivò a casa di Killian venerdì prima di mezzogiorno, più nervosa di quanto non dovesse essere. L'abito che aveva noleggiato era accuratamente ripiegato sul sedile posteriore e non si adattava perfettamente a tutte le sue forme, ma sperava che nessuno se ne sarebbe accorti. Era un semplice vestito nero e non aveva idea del perché dovesse essere lì così presto, ma forse Regina voleva supervisionare il suo trucco o darle una lezione su come comportarsi.

    Emma sapeva già qual era il suo compito: stargli accanto, sorridere e tenere la bocca chiusa.

    C'era più macchine sul vialetto del normale quando si arrivò, ma Emma non si pose alcuna domanda. Chissà qual era la sua routine prima di un grande evento - aveva sentito ogni sorta di storie folli in quella città.

    Almeno il cancello non era fiancheggiato da fotografi quel giorno.

    Emma sospirò, afferrando la borsa e tenendo in mano con cura l'abito. Questa volta ci aveva pensato in anticipo: tutti si sarebbero aspettati di vederle passare lì la notte. Quindi non portò solo i trucchi, ma anche dei vestiti comodi da indossare la mattina, il pigiama e articoli da toeletta.

    Non cambiava il fatto che fosse terribilmente strano portare a casa di lui una borsa piena di roba senza essere stata ancora invitata a rimanere.

    Entrò con la chiave che si sentiva ancora in imbarazzo ad usare, sorpresa di trovare la casa relativamente tranquilla "Killian?" chiamò mentre camminava verso la stanza degli ospiti che le aveva dato - era troppo strano ancora per pensarla come la sua stanza. Non ricevette risposta, quindi posò il vestito con cura sul letto, lasciando cadere la borsa, e andò in cerca di lui.

    Lo trovò fuori nel patio, circondato da un gruppo di persone che Emma non riconobbe come attori, ma che avevano quell'aura di essere nel business. Tutti ridevano e la maggior parte di loro aveva una birra in mano. Perfino Regina sembrava rilassata, un sorriso sulle sue labbra mentre sorseggiava un bicchiere di vino.

    "Emma!" Killian le mostrò un sorriso smagliante quando la vide, facendole segno di uscire nel patio con loro "Sei finalmente arrivata, tesoro. Mi sei mancata" la sua voce era dolce, troppo dolce e Emma si rese rapidamente conto dallo sguardo freddo di Regina che le persone nel patio erano il suo primo test.

    "Ti sono mancata? Sono stata via solo per poche ore" lo prese in giro, andandosi a sedere sul suo grembo e togliendogli la birra dalle mani. Ne fece un sorso profondo, i suoi occhi fissi nei suoi. Rimase sorpresa di vedere un certo divertimento nei suoi occhi, un accenno di sfida mentre beveva la sua birra e si appoggiava contro il suo petto.

    Lui sorrise mentre gli restituiva la bottiglia, il braccio scivolò intorno alla sua vita e la sua mano si fermò sul fianco "Ce n'è ancora in frigo, Swan".

    "Lo so. Mi piace bere la tua, però" gli disse con il sorriso più dolce che riuscisse a fare prima di appoggiare la testa contro la sua spalla. Stava facendo del suo meglio per dare l'apparenza di assoluto conforto, nonostante i suoi pensieri fossero in tilt - stava mettendo troppo peso sulla sua gamba? Era giusto stargli seduta in grembo? E chi erano tutte quelle persone?

    Lui sospirò pesantemente, come un uomo che era abbastanza annoiato, ma la loro pantomima funzionava perché, nel frattempo, le persone intorno a loro continuavano a guardarli in modo curioso, poteva benissimo vedere quello sguardo che di solito era seguito da un 'Awww, che carini'.

    "Beh, se hai finito di rubare la mia birra, tesoro, queste brave persone sono venute ad aiutarti a prepararti per la premiere di stasera" fece un gesto con la bottiglia di birra al gruppo circostante, stringendo leggermente la mano sul suo fianco "Ho pensato che ti avrebbero fatto bene un po' di coccole".

    "Grazie, tesoro" si avvicinò di più, premendogli un bacio sulla guancia, indugiando abbastanza per sibilargli in un orecchio "Ma che cavolo...".

    Le coccole, scoprì, significava che Regina - perché era convinta totalmente che quella non fosse opera di lui - aveva assunto una squadra di tuttofare per farla apparire in modo presentabile. Non avrebbe dovuto preoccuparsi di noleggiare un abito - lo stilista aveva portato con sé dieci diverse opzioni, tutte ugualmente bellissime.

    Fu un momento di profondo imbarazzo da parte sua: a cosa diavolo aveva pensato quando aveva affittato il vestito e comprato il trucco in farmacia per un evento di Hollywood? Ovviamente Regina avrebbe assunto una squadra di persone per darle una forma. Sospirò per il disagio alla realizzazione della sua ingenuità.

    Avevano probabilmente aperto un negozio nella camera da letto di Killian, il che la fece sussultare finché non pensò logicamente - per quanto ne sapevano, quella era anche la sua camera da letto in quella casa. Disse un silenzio grazie all'universo per averle fatto mettere le sue cose nella stanza degli ospiti prima, perché non aveva idea di come avrebbe potuto spiegarlo.

    Lui entrò mentre le stavano stringendo il vestito, un'andatura che le fece domandare quanto avesse davvero bevuto mentre lei veniva vestita e truccata. Le piaceva cosa avevano fatto con i suoi capelli, il modo in cui le scendevano lungo la schiena in morbide onde - ma le ciglia finte e gli strati su strati di trucco la mettevano a disagio. Non che avesse voce in capitolo.

    Le sorrise, un accenno spavaldo nell'espressione, ma il truccatore bloccò il suo incedere.

    "Non toccherai il mio capolavoro" gli disse e, con grande sgomento di Killian mentre il suo sorriso svaniva in un broncio. Perfino Emma non era del tutto sicura di essere sinceramente delusa dal fatto che dovesse stare lontano da lei, o se faceva tutto parte della recita.

    "Sei adorabile, tesoro" le disse Killian, infilandosi le mani in tasca, apparendo in tutto un uomo che faceva fatica a tenere le mani per sé.

    "È fottutamente fantastica".

    Emma non potè fare a meno di ridere alla frase del truccatore. Non ricordava il suo nome - ce ne erano stati quattro o cinque che avevano lavorato su di lei quel pomeriggio e continuava a confondersi, ma decise che era meraviglioso.

    "Tu, d'altra parte, signor Jones... meno rum, più eleganza".

    Killian lo salutò, scomparendo nel suo armadio con un brontolio. Emma scosse la testa, incapace di fermare il piccolo sorriso sulle sue labbra. Aveva visto le foto di quell'uomo tutto vestito per eventi ed era certa che sarebbe stato decisamente peccaminoso di persona. Relazione falsa o no, aveva gli occhi per guardare.

    Non fu delusa, la giacca si adattava perfettamente alle sue spalle. Si permise di ammirarlo - era quello che la stanza piena di persone intorno a loro si aspettava, comunque - i suoi occhi indugiarono sul tessuto color carbone che sfiorava il suo corpo in modo delizioso.

    Regina entrò mentre lui si sedeva sul bordo del suo enorme letto per mettersi le scarpe, la stilista teneva con cura Emma per il braccio mentre faceva scivolare i piedi nelle scarpe che le avevano portato. Si ritrovò nuovamente a ringraziare il suo vecchio lavoro, almeno sapeva camminare con tacchi alti senza mettersi in imbarazzo.

    "Jones, è meglio che tu sia sobrio" Regina scattò, guardandolo criticamente prima di girarsi verso Emma "Signorina Swan, sei bellissima. Sono così grata che ti abbia trovato. Forse si convincerà a bere un po' meno rum in futuro prima di eventi importanti" c'era ovviamente un significato sotteso a quelle parole, una freddezza nel suo sorriso che Emma vide come intenzionale - un avvertimento se mai ce ne fosse stato di bisogno.

    "Oh, smettila, Regina. Sto perfettamente bene" Killian si alzò in piedi, ma Emma riuscì a vederlo, il lieve ondeggiare e si accigliò. Aveva bisogno di lui sobrio per quella sera - non aveva idea di cosa dovesse fare. Non poteva gestire il suo bere e dare una performance convincente in una commedia in cui nessuno conosceva le proprie battute.

    "Va tutto bene, Regina. Ci penso io" attraversò la stanza, facendo scivolare un braccio attorno alla sua vita e stringendogli il fianco "Staremo bene insieme" gli sorrise così ampiamente che le guance iniziarono a farle male, anche quando le sue unghie si conficcarono nel suo bicipite.

    Anche lei poteva dare avvertimenti silenziosi.

    Regina li fissò per un altro lungo momento prima di annuire e voltarsi verso la porta "La macchina è arrivata. Andiamo".

    Emma si aspettava che scivolasse in macchina accanto a loro, ma la porta si chiuse dietro Killian e rimasero soli. Lo guardò nervosamente, lisciandosi la gonna dell'elegante vestito in cui l'avevano messa. Era di seta verde brillante, morbido contro la sua pelle, ma scivolava lungo il suo corpo in un modo quasi scandaloso.

    "Quel vestito è perfetto con i tuoi occhi, Swan" le disse dolcemente, afferrando col pollice il bordo della gonna, sfregandolo quasi distrattamente "Sei davvero meravigliosa".

    "Nessuno sta ascoltando" gli ricordò mentre la macchina iniziava a muoversi, i suoi occhi si spostarono verso il finestrino "Puoi smetterla".

    "Già" sussurrò e lei si girò verso di lui, incapace di impedirsi di chiedere "Perchè hai bevuto tutto il pomeriggio? L'hai fatto mille volte".

    Si strinse nelle spalle, riluttante a guardarla "Non diventa più facile".

    "Allora perché lo fai?".

    "Adoro il cinema. Adoro recitare. Non amo stare davanti a un gruppo di parassiti che rispondono alla stessa sanguinosa domanda ancora e ancora".

    Rimase sorpresa dall'amarezza nella sua voce, dal veleno.

    "Inoltre, non ho alcun desiderio di vederti fatta a pezzi, Swan, e non ho idea di cosa dirà quel parassita stasera quando cammineremo sul tappeto".

    "Sono sicuro che andrà bene".

    E fu così, per così dire. I fotografi li chiamavano, gli chiedevano di lei, ma lui sorrise solo con quel sorriso smagliante e la tenne stretta, nascosta contro il suo fianco. Fu grata per il modo in cui la sua mano le afferrava l'anca, anche se lei strinse i denti quando la sua mano scese verso la parte bassa della schiena in quello che immagina dovesse essere una mossa sottile. Il suo sguardo incontrò un sorrisetto malizioso e lei sorrise, perché ora gli stava dando la sua possibilità... ma se ne sarebbe pentito.

    Posarono insieme per le telecamere ed Emma cercò di non essere rigida e cercò di non farsi innervosire, ma c'erano così tante telecamere puntate su di lei.

    "Sei meravigliosa, Swan, davvero" le sussurrò nell'orecchio, il respiro caldo sulla sua pelle" Questa parte finirà presto. Non dobbiamo neanche guardare il film. Quasi nessuno lo farà".

    Fece un altro sorriso prima di voltarsi verso di lui, sporgendosi tra le sue braccia come se avesse un segreto solo per le sue orecchie "Mi capita di apprezzare i film dei tuoi amici. Mettimi di nuovo la mano sul culo e infilerò il mio tallone col tacco nel tuo piede".

    I loro occhi si incontrano e, molto deliberatamente, la sua mano scivolò di nuovo sulla sua schiena fino a quando non gli mancava solo di afferrarle il culo davanti alle telecamere.

    "La pagherai per questo" lo minacciò attraverso un sorriso, muovendo a malapena le sue labbra, ma potè sentirlo ridacchiare accanto a sè mentre finalmente iniziavano a muoversi all'interno del teatro.

    "Killian!" qualcuno chiamò non appena entrarono ed Emma si girò con lui per non vedere nessuno a parte David Nolan che avanzava nella sala verso di loro.

    "Dave!" I due uomini si abbracciano, tutto cameratismo e affetto. Emma non sapeva cosa fare, così mantenne il suo sorriso stuccato, cercando di non agitarsi nei tacchi che stavano iniziando a farle male i piedi.

    "Dov'è tua moglie?" chiese Killian mentre riprendeva il suo posto accanto a Emma, quella sua dannata mano di nuovo sulla sua vita.

    Odiava il fatto che fosse iper-consapevole del suo tocco, che il suo compito fosse quello di goderselo, perché più contatto aveva con lui, più si chiedeva come sarebbe riuscita a raggiungere il suo letto quella sera, al diavolo il resto del suo contratto. Stava diventando un problema.

    "Non si è sentita tanto bene stasera" David sorrise a Emma, lanciando uno sguardo a Killian, continuando "La gravidanza non è stata facile per lei".

    "Già, amico. Mi dispiace. Mi permetti di presentarti Emma?" Killian le sorrise come facevano i quindicenni alla prima uscita. Non doveva lasciare che accadesse, ma lo sguardo che le diede la riempì di un calore sconosciuto e si ritrovò a sorridere.

    "È bello vedere che hai incontrato qualcuno di ragionevole" David disse, stringendole la mano in segno di saluto e facendo una faccia al suo amico "Ma vedo che anche tu non sei abbastanza tentata di tenerlo lontano dalla sua relazione amorosa con il rum".

    Emma rise, ma fu forzata, non sapendo cos'altro fare. Sinceramente, oltre una traccia di morbidezza in più nei suoi occhi, Killian non era ubriaco. Il rum che aveva bevuto a casa si era per lo più diffuso quando si erano fatti strada fuori dalle colline "Ci sto lavorando" fu tutto ciò che disse, sporgendosi solo un po' più vicino a lui, la sua presa su di lui si strinse solo di una frazione.

    "Beh, sono sicuro che ci vedremo ancora. Non porta mai nessuna donna a queste cose, quindi devi piacergli davvero" David disse, facendo l'occhiolino al suo amico "Ci vediamo all'after party!" e si diresse in mezzo alla folla, Killian lo fissò, il suo viso contratto per un feroce desiderio prima che la maschera della serata tornasse al suo posto.

    Fu silenzioso quando trovarono i loro posti e durante il film, con gli occhi fissi sullo schermo, senza mai vacillare. Emma cercò di ignorare il suo stato d'animo, di godersi il film (che era carino), ma era difficile non notare la sua tensione. Sapeva che non avrebbe dovuto - era buio, nessuno poteva vederli, quello non faceva parte del contratto - ma lei lasciò comunque cadere la sua mano sulla sua coscia, strinse le dita della sua mano poggiata sulla sua gamba.

    Lui si girò verso di lei con sorpresa, ma lei sorrise, dandogli un'altra stretta. Non tirò via la mano, e nemmeno lui, ma si calmò e lei cercò di non leggere troppo in quel gesto.

    "Ti dispiace se saltiamo la festa?" mormorò nel suo orecchio mentre i titoli di coda iniziarono a scorrere e le luci si accesero.

    "Queste scarpe mi stanno uccidendo" sussurrò mentre lui la faceva alzare, afferrandole ancora le mani "Possiamo andare a casa".

    Le uscì involontariamente - a casa. Emma non era il tipo di persona che aveva una casa - lei aveva un appartamento. Ma Killian aveva una casa e suppose che, almeno per quella notte, la stava condividendo con lei.

    Sentì una vampata di calore invaderle le guance e fissò il pavimento, cercando di ignorare quello strano mix di calore e imbarazzo che le scorreva nelle vene. Ma quando finalmente riuscì a guardarlo, trovò dolcezza nel suo sorriso e nel suo braccio avvolto attorno alle sue spalle, premendole un bacio sui capelli. La gente li stava guardando adesso, ma la cosa più incredibile era che fosse abbastanza sicura che lo avrebbero fatto in qualsiasi caso.

    Prese quell'informazione e la tenne stretta a sè. Alcuni pensieri erano troppo pericolosi per rimanere incustoditi.


    Continua...
     
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    Capitolo 7



    Fu un tranquillo viaggio di ritorno a casa di lui e si era aspettata di trovare una legione di persone ad aspettarli per recuperare i gioielli, le scarpe e il vestito presi in prestito, ma oltre alle luci accoglienti della porta d'ingresso, la casa era buia e silenziosa.

    Emma sospirò di sollievo quando l'auto si fermò, raccogliendo i tacchi in mano e camminando a piedi nudi fino alla porta dopo che Killian l'aiutò a uscire. Notando i suoi piedi nudi, alzò un sopracciglio mentre apriva la porta e la faceva passare per prima.

    "Ti dona molto quest'aspetto, Swan. Regina sarebbe molto dispiaciuta se ti vedesse così".

    La prese in giro, ma lei gli sorrise "Indossa queste cose per ore e poi mi dirai se ti piace" alzò le belle, ma dolorose, scarpe e si diresse in fondo al corridoio "Inoltre, anche questo vestito deve levarsi di torno" più precisamente, il reggiseno senza spalline che le stava scavando nelle costole, ma non entrò nei particolari.

    "Avrai bisogno del mio aiuto?".

    Si voltò a metà strada, incontrando il suo ghigno e mandando gli occhi al cielo "Sarà un anno lungo per te se continui così".

    "Davvero, piccola?".

    Lei arrossì, ricordando la sua piccola esibizione nel patio e alzando le mani, girandosi di nuovo verso di lui, quasi affrontandolo "Non sono una ragazza buona per avere una relazione, Killian! Non lo so. Sembrava la cosa giusta da dire. Tu hai l'amore e tutte quelle altre piccole cose affascinanti che dici mentre io ho solo... qualunque cosa mi venga fuori dal culo".

    "È un bel culo, però" la interruppe, il labbro arricciato in quel mezzo sorriso che sapeva che significava che stava per dire qualcosa di particolarmente spiritoso, almeno nella sua mente "Devi renderti conto che hai ammesso che mi trovi affascinante".

    "Sei disgustoso" alzò di nuovo gli occhi al cielo, continuando lungo il corridoio per cambiarsi. Ma quando aprì la porta della camera degli ospiti, non vide più le sue cose "Che diavolo… ?" borbottò tra sé e sé, facendo un rapido inventario della stanza. Anche il suo spazzolino era sparito dal bagno.

    Tornò di nuovo nel corridoio, aprendo la porta della stanza di lui senza pensare. Si era già tolto la giacca del vestito, la cravatta appesa al collo mentre si sbottonava la camicia. Era deliziosamente spettinato. La vista di lui in abito da sera era stata uno spettacolo, ma ora era un'altra cosa e dovette deglutire a vuoto prima di ritrovare la parola.

    "Ehi, le mie cose sono... sparite. Le hai forse messe in un'altra stanza?" rimase in piedi appena dentro la porta, i suoi palmi appoggiati al muro mentre cercava di non invadere il suo spazio personale.

    Sospirando, le indicò il suo armadio "Sì. Beh, è stata Regina" disse con tono amaro e passò un altro lungo momento prima che si girasse per affrontarla "Ha spostato le tue cose nel mio armadio mentre eravamo via. Evidentemente, una delle persone che era qui oggi ha fatto alcune osservazioni su come dovrei stare attento a tenere traccia di te in casa mia e poiché questo non è l'ultimo evento a cui dovremo andare...".

    "Quindi, ogni volta che ho bisogno di una qualsiasi delle mie cose, dovrò venire qui per prenderla?".

    Le fece un sorrisetto, ma non mise tanta forza nella sua abilità da seduttore e lei capì che nemmeno lui era esattamente entusiasta di ciò.

    "Puoi restare qui, con me, le notti che passerai qui. C'è spazio più che sufficiente per entrambi" fece un gesto intorno alla spaziosa camera da letto, all'enorme letto dietro di lui "Ti assicuro, sono capace di essere un gentiluomo".

    "È per questo che hai continuato a toccarmi il culo, oggi?" lei scattò, incrociando le braccia al petto e cercando di elaborare quell'ultimo sviluppo. Avere la sua stanza in casa sua era una cosa: un posto per fuggire, un letto tutto per sé. Era più di semplice privacy, era una linea di demarcazione tra di loro. Condividere una camera da letto, condividere un letto, beh, il confine sbiadiva nettamente.

    "Eri tesa. Volevo prenderti un po' in giro, Swan, niente di più" si strinse nelle spalle, tornando a sbottonarsi la camicia "Inoltre, dovresti volere che ti tocchi" ci fu un certo tono elettrizzante nelle sue parole, un accenno di amarezza che faceva uscire di tanto in tanto, ma Emma lo ignorò perché l'amarezza e il dolore erano compagni di letto. La ferita si apriva quando c'erano di mezzo i sentimenti e in quel momento non poteva permetterlo.

    "Quindi... i miei vestiti sono nel tuo armadio?".

    "Sì".

    "Ok. Devo solo..." fece un gesto verso l'armadio, imbarazzatissima mentre si muoveva attraverso la sua camera da letto. Quel giorno era stato più facile con una stanza piena di gente, ma ora erano solo loro in casa, soli nella sua camera da letto... a spogliarsi. Sembrava troppo intimo.

    Lui annuì, togliendosi la camicia per rivelare una maglietta bianca stretta di sotto che metteva in risalto la muscolatura per cui era famoso. Emma distolse gli occhi, dirigendosi verso l'armadio in cerca delle sue cose.

    Non era stata in quella stanza e aveva saputo che doveva essere spaziosa in base al resto della casa, ma non si aspettava tutto quello spazio. Non era come se fosse piena di cose - forse una dozzina di abiti eleganti appesi per bene nell'armadio, ma un paio di mensole erano completamente vuote.

    Tantissimo spazio per lei.

    Bandì quel pensiero con la stessa rapidità con cui le era entrato in mente, girandosi verso uno degli scaffali bassi, trovando la sua borsa con un biglietto nascosto sotto, notandolo appena la sollevò.

    'Le apparenze sono tutto, signorina Swan. Camere da letto separate sono inaccettabili’.

    Si accigliò al biglietto, accartocciandolo e gettandolo rabbiosamente nella spazzatura. L'interferenza di Regina l'aveva irritata e sapeva che non avrebbe dovuto, perché aveva detto di sì a tutto quello, ma era stanca e con i piedi doloranti e non vedeva l'ora di provare a dormire accanto a lui. Non importava quanto fosse allettante l'idea in superficie, rendeva le cose ancora più scomode di quello che già erano.

    La sua frustrazione non fu aiutata dalla lotta con la cerniera del suo vestito per un paio di minuti. All'improvviso, si sentì troppo stanca per preoccuparsene, troppo stanca per combattere contro qualcos'altro quella sera "Killian?" lo chiamò, chiudendo gli occhi in modo da non piangere per l'incapacità di togliersi quel vestito da sola.

    "Sei decente, Swan?" il tono basso della sua voce appena fuori dalla porta la fece rabbrividire nonostante tutto e si rimproverò silenziosamente prima di rispondere.

    "Sì. Non riesco a far scendere la dannata cerniera di questo vestito. Puoi venire qui e aiutarmi?".

    "Ah, quindi hai bisogno del mio aiuto per spogliarti" scherzò, il divertimento evidente sul suo viso appena prima che si posizionasse dietro di lei, una mano a sfiorarle collo per tenere fermo il vestito e iniziare a strattonare la cerniera.

    "Ci vuole così tanto tempo?" Emma faceva fatica a non agitarsi, a tenere l'irritazione fuori dalla sua voce mentre teneva alzati i capelli. Le nocche di lui sfioravano appena la sua pelle mentre lottava con il vestito, mandandole un brivido lungo la schiena. Con lui così vicino, sembrava impossibile respirare.

    "L'hai bloccata un po'" borbottò sottovoce, imprecando finchè la cerniera finalmente si abbassò.

    Emma dovette afferrare la parte superiore del vestito per evitare che cadesse, girandosi appena mentre lui indietreggiava "Grazie" non riusciva a guardarlo, non voleva vedere se la stessa tensione alimentata dalla lussuria che provava lei si rifletteva nei suoi occhi. Non poteva farlo con lui, adesso, non poteva essere coinvolta con lui fisicamente, perché Emma Swan non aveva una buona esperienza con gli uomini e avevano ancora un anno da passare insieme.

    Se si fosse arresa ora, lui si sarebbe stancato di lei molto prima della fine di un anno e aveva già zittito il suo orgoglio parecchie volte per arrivare fino a lì. Si era impegnata - non ci sarebbe stato alcun ripensamento o fallimento.

    "Prego" lui fece una pausa e lei si chiese se stesse aspettando che lei alzasse lo sguardo, ma non poteva. Alla fine, sentì i suoi passi sul tappeto, l'apertura di un cassetto e il suo ritorno in camera da letto senza un'altra parola.

    Sospirò, lasciando che l'abito si raccogliesse attorno ai suoi piedi mentre lo levava cautela. Lo appese con attenzione, facendo scorrere le dita sulla morbida seta. Emma non era mai stata una fan dei vestiti costosi – il suo lavoro non si prestava a quel tipo di outfit - ma c'era una parte sepolta di lei, una bambina che sognava di essere una principessa come tante altre, che non poteva fare a meno di sospirare dinanzi ad un bel vestito.

    Tuttavia, fu un sollievo rimettersi i suoi abiti. Indossò dei pantaloncini da notte consumati e una vecchia maglietta del liceo, sistemando i gioielli che valevano più di quanto potesse mai realizzare nei portagioie lasciati da Regina accanto alla sua borsa. Qualcuno sarebbe venuto a prenderli in mattinata - l'ennesimo motivo per cui doveva trovarsi lì, a dormire nel suo letto.

    Lo sorpassò nel bagno, ancora sorpresa quando si guardò allo specchio e vide il trucco e le ciglia finte. Non che non fosse carina, in un certo senso - il trucco era di alta qualità e avevano fatto un ottimo lavoro, ma non era lei. Si staccò con cura le ciglia, si strofinò via il trucco dal viso e poi guardò dentro lo specchio, sentendosi più come se stessa, con la sua faccia appena lavata che la guardava. Le sue guance erano rosse per il calore dell'acqua e c'erano macchie di mascara che non era riuscita a lavare via, ma quella era la faccia che conosceva.

    "Sei stata davvero sbalorditiva stasera" disse Killian piano quando lei uscì dal bagno, appollaiato sul bordo del letto ad aspettarla.

    "C'era un esercito di persone il cui compito era accertarsene" disse ironicamente, arrivandogli di fronte. Non era sicura di cos'altro fare: sarebbero andati subito a letto? Lui voleva andarsi a sedere in salotto con il fuoco acceso come l'altra sera? Regina aveva qualche altra missione per loro quella sera di cui non era a conoscenza?

    "Sei bellissima adesso" i suoi occhi si scurirono più di quanto avesse mai visto prima, blu come il crepuscolo estivo mentre la fissava e, per una frazione di secondo, si animarono di desiderio feroce prima che l'espressione ritornasse attentamente neutra "È stata una lunga giornata, Swan. Quale lato del letto preferiresti?".

    "È il tuo letto. Non hai un lato che ti piace?".

    "Preferisco dormire nel bel mezzo di questo dannato materasso" le sorrise, la giocosità di nuovo nel suo tono "Ma posso fare un’eccezione".

    "Sì, ok" lei mandò gli occhi al cielo, ma gliene fu grata, perchè il peso delle sue parole - "Sei bellissima adesso" - le avevano chiuso la gola, facendole desiderare cose che non poteva desiderare "Mi metterò da questo lato".

    Le sue lenzuola erano incredibilmente morbide e avevano il suo odore. Era travolgente mentre si sforzava di mettersi comoda. C'erano a malapena due piedi di spazio tra loro e il suo profumo l'aveva già avvolta, impossibile sfuggirgli.

    Il suo respiro rallentò mentre si addormentava e lo invidiò, perché era stanca ma non assonnata e tutto ciò che poteva fare era fissare il soffitto color crema, ascoltandolo respirare.

    Si arrese al tentativo di dormire dopo un'ora.

    Se fosse stata a casa sua, sarebbe stata una serata perfetta per preparare dei cupcake. Cupcake al cioccolato fondente con glassa densa. Non era a casa sua, ma doveva esserci qualcosa da poter usare. Sgattaiolò in cucina, strofinandosi le braccia mentre la fresca brezza notturna entrava dalle finestre aperte.

    Ci volle un po' prima di trovare le scatole per fare i cupcake, ma fu felice di scoprire che erano pesanti, di buona qualità e sembravano sospettosamente nuove. Un'ulteriore indagine negli armadietti della cucina le fece spalancare gli occhi per lo shock.

    Aveva acquistato ogni tipo di ingrediente per fare dolci, tutti disposti in modo ordinato. C'erano spezie ed estratti, polveri e cacao e fece scorrere leggermente le dita sulle etichette, sbalordita.

    Non fu nemmeno una vera relazione - erano a malapena amici - ma quella era la cosa più bella che qualcuno avesse mai fatto per lei ed era tutto nato da un suo piccolo commento. Pensava che stesse scherzando quando aveva detto che avrebbe rifornito la cucina per lei, ma si stava rendendo conto che, quando si trattava di Killian Jones, le sue battute erano spesso molto più serie di quanto lasciasse credere.

    Stava ancora raccogliendo gli ingredienti per i suoi cupcake preferiti quando lui entrò in cucina, i capelli sparati da ogni parte, socchiudendo gli occhi alla luce. Lui sorrise dolcemente quando vide cosa stava facendo, scivolando su uno degli sgabelli dell'isola e appoggiandosi sugli avambracci.

    "Non riesci a dormire?" la sua voce era assonnata, solo un po' più ruvida di quanto non fosse abituata e cercò di non pensare a come quella voce sarebbe sembrata come prima cosa al mattino, il suo respiro caldo sulla guancia...

    Invece, scrollò le spalle, non fidandosi di parlare. Gli avrebbe detto la verità se l’avesse fatto - che non dormiva con un uomo da molto tempo e qualcosa di così semplice come un'altra persona che respirava accanto a lei avrebbe richiesto altro tempo per abituarsi.

    Tutto quello avrebbe richiesto un po' di tempo per abituarsi.

    La osservò in silenzio, ma fu un silenzio confortevole, i suoi occhi più curiosi di ogni altra cosa "Posso aiutarti?" le chiese infine mentre lei iniziava a misurare la farina in una ciotola, con gli occhi socchiusi in concentrazione.

    "Certo. Prepara del caffè".

    Sollevò un sopracciglio, anche se si mosse comunque “Il caffè non è consigliato per favorire il sonno, Swan" sbadigliò mentre parlava e lei non volle pensare a quanto fosse carino così, assonnato e spiegazzato e in cucina con lei nel cuore della notte, ma la sua mente sembrava non riuscire a zittirsi.

    "Non è per noi. È per i cupcake".

    "Il caffè va nei cupcake" ripetè le sue parole come se lei avesse suggerito di mettere del detersivo per piatti nella pastella.

    "Nei Devil's Food Cupcakes, sì" gli sorrise mentre lui si avvicina, guardando i suoi ingredienti "Ero in vena di cioccolato stasera. Hai detto che ti piaceva il cioccolato".

    “È vero, Swan" era abbastanza vicino tanto che la sua spalla sfiorava contro la sua mentre si allungava sul bancone per la busta di gocce di cioccolato, rubandone alcune e facendole scoppiare in bocca con tutta la gioiosa compiacenza di un ragazzino che ruba con successo un biscotto.

    Lei gli diede una pacca sulla mano, spingendo la busta più lontano "Non puoi mangiare i miei ingredienti se vuoi davvero mangiare un cupcake" lo rimproverò, usando l'anca per allontanarlo mentre versava il contenuto del boccale, felice di vedere il cacao che trasformava la pastella in un colore intenso e scuro. Aveva comprato roba buona "Hai detto che volevi aiutare. Vai a preparare il caffè".

    Sembrò dispiaciuto mentre si girava, armeggiando con la caffettiera prima di sistemarsi di nuovo sul suo sgabello, guardandola.

    Lei sorrise incerta, posando la ciotola e spingendo i pirottini per cupcake verso di lui "Puoi predisporre tutti questi pirottini" gli passò le bustine di carta, non del tutto sicura se dovesse continuare a dargli cose da fare.

    Lui le prese all'istante, separando con cura la carta sottile. Per un secondo, lei si dimenticò di tutto - dimenticò che non era reale, che lui non era suo, che quella quieta intimità nella sua cucina, di notte, non sarebbe stata sua per sempre. Il suo cuore sussultò mentre la realizzazione la colpì e dovette girarsi verso il lavandino con la scusa di sciacquarsi le mani prima che lui notasse.

    Era passata una settimana e sapeva già che avrebbe fatto male quando sarebbe finita.

    Riuscì a ricomporsi quando si voltò e lui la guardò di nuovo mentre finiva con la pastella, allungando la mano verso i pirottini che aveva preparato e riempiendoli, mettendoli poi in forno. I suoi occhi rimasero su di lei anche quando si voltò per puntare il timer, fissandole la maglietta.

    "Sei cresciuta a Boston?".

    "Diciamo" lei scrollò le spalle, guardando in basso "È solo una maglietta comoda".

    "Sei stata lì a lungo? Non hai un accento".

    Alzò di nuovo le spalle, raccogliendo i pirottini e portandoli nel lavandino "Mi sono spostata molto da bambina".

    "Genitori militari?".

    "Nessun genitore" le parole scivolarono via prima che riuscisse a pensare e maledisse se stessa, le spalle lei si irrigidirono mentre calava il silenzio tra di loro. Non avrebbe dovuto dirlo, non avrebbe dovuto rivelare quel pezzo del suo passato nella tranquilla cucina, nel cuore della notte.

    Lo sentì muoversi dietro di lei e si irrigidì quando lo percepì accanto a sè, la sua mano a malapena poggiata sulla sua spalla. Si allungò intorno a lei, il petto contro la sua schiena mentre chiudeva l'acqua, facendola girare delicatamente per guardarsi negli occhi "Mi dispiace" disse semplicemente, allontanando i capelli dai suoi occhi "Non lo sapevo".

    "È ok" si allontanò da lui, lontano dal calore del suo tocco, e iniziò a pulire il bancone, raccogliendo farina e zucchero nel palmo della mano prima di tornare al lavandino "È stato tanto tempo fa".

    Sembrò che volesse dire qualcos'altro, ma rimase in silenzio. Emma riprese a lavare i piatti e fu solo il segnale acustico del timer del forno che ruppe il silenzio tra di loro.

    Tirò fuori i pirottini dal forno con cura, contenta che si fossero gonfiati bene e si fossero cotti in modo uniforme. Non avrebbe dovuto essere sorpresa - il suo forno non era vecchio di trent'anni. Il forno risuonò nella tranquillità della cucina prima che lei lo spegnesse e lanciasse i guanti da forno sul bancone.

    "Dovranno raffreddarsi per un po' prima che possa mettere sopra la glassa" spiegò, spostando il suo peso da un piede all'altro mentre i suoi occhi si posavano da qualche parte sopra la sua spalla "Potrebbe volerci un po'. Puoi tornare a letto, se vuoi".

    "Vuoi liberarti di me, Swan?" ci fu un tono di sfida in quella sua presa in giro, una traccia di dolore dentro il suo ghigno. Odiava la facilità con cui sembrasse trovare i suoi punti dolenti - per tutte le sue abilità recitative nella sua vita professionale, diventava spaventosamente facile per lei leggerlo quando erano soli.

    "Solo perché non riesco a dormire non significa che devi soffrire con me" disse alla fine, raccogliendo una goccia di cioccolata sul braccio.

    "Mi piaci così" disse, crudo e onesto, e si guardarono negli occhi.

    "Da insonne?".

    "Da umana" sospirò, premendo i palmi delle mani sul bancone e allungando la schiena prima di alzarsi "Vieni a sederti con me in salotto. È più comodo. Hai detto che ci vorrà un po' di tempo prima che si freddino". Lei esitò e anche lui doveva aver imparato a leggerla. "Non mordo, Swan" disse piano, come se avesse capito che sarebbe potuta scappare in qualsiasi momento.

    "Va bene" diede un'altra occhiata ai cupcake, seguendolo nel soggiorno e sistemandosi in un angolo del divano. Riusciva a sentire il crepitio e il fruscio delle fronde delle palme mosse dal vento attraverso le finestre aperte. Era rilassante, la tranquillità, e si chiese quanto sarebbe stato strano dormire di nuovo nel suo appartamento invece di lì.

    Lui appoggiò i piedi sul tavolino da caffè, grattandosi appena dietro l'orecchio prima di parlare "Sono in debito con te di una scusa, Swan, per il mio comportamento di prima. Bere... beh, a volte è un problema, o non saresti qui in primo luogo" si rivolse a lei con quell'espressione esposta che aveva ogni volta che le emozioni erano chiaramente visibili sul suo viso "Bevo più di quanto dovrei quando le cose si fanno difficili. Non i miei momenti più belli".

    "Forse non sono affari miei, ma..." esitò, guardandosi le mani. Lui non disse nulla, non cercò di fermarla, quindi lei continuò. "Oggi... voglio dire... so che hai detto che odi rispondere alle loro domande. Cosa c'era di diverso oggi?".

    Sapeva quale sarebbe stata la risposta prima ancora che le parole avessero lasciato completamente le sue labbra dal modo in cui i suoi occhi si scurirono leggermente.

    "Tu" disse, come se fosse la risposta più ovvia, la sua espressione seria "Tu non conosci questo mondo, Emma. Non sarò in grado di proteggerti da tutto, ma per quanto posso...".

    "Non è il tuo lavoro proteggermi. È il mio lavoro aiutarti".

    "Già. Il tuo lavoro".

    L'amarezza ritornò ed Emma fece un respiro profondo, perché non voleva dirlo, non voleva ricordarselo, ma aveva bisogno di una linea di demarcazione tra loro per mantenere la sua sanità mentale "Sì, il mio lavoro. Killian, questo... qualunque cosa accadrà tra di noi... possiamo essere amici. Questo può essere reale. Ma il resto...".

    "Sarebbe così terribile scoprire che potremmo renderci felici a vicenda?" lui chiese dopo molto silenzio, i suoi occhi sulle finestre e sulla città distante.

    "So che tu potresti rendermi felice" lei disse, sorprendendo persino se stessa con quella risposta onesta.

    Si girò verso di lei all'improvviso e la sconvolse vedere la speranza ardente nei suoi occhi e si precipitò a finire il suo pensiero "E potrei probabilmente renderti felice, per un po'. Ma, alla fine, finirebbe. Probabilmente prima di ottenere questo ruolo nel film e questo è il punto di tutta questa pantomima, giusto? Il film. E anche se non finisse..." scrollò le spalle, tornando a studiarsi le unghie "Regina ha ragione. La tua stella sorgerà più velocemente se sei single".

    "E se non mi importasse di quel dannato film?".

    Lei sorrise tristemente, scuotendo la testa "Killian, mi conosci da una settimana. Siamo attratti l'uno dall'altra. Inutile negarlo. Ma non puoi prendere decisioni che cambierebbero la tua vita in base a una settimana. Quindi, concordiamo sul fatto che abbiamo quest'anno e saremo solo amici. Nulla di più e solo per lo spettacolo. Non iniziamo ad attraversare quella linea e complicare tutto. Nessuno di noi ne ha davvero bisogno".

    Sembrò come se fosse pronto a protestare, come se fosse pronto a litigare, ma non lo fece. Invece, la sua espressione si chiuse, la rigidità tornò sulle sue spalle "Come desideri" disse piano, alzandosi in piedi "Mi sento piuttosto stanco, Swan. Non stare sveglia fino a troppo tardi".




    La trovò addormentata, al mattino, sul divano, due dozzine di cupcake perfettamente glassati sul suo bancone della cucina proprio accanto ai cocci di speranza rotti rimasti tra di loro.



    Continua...
     
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    Capitolo 8



    La mattinata fu imbarazzante tra loro - un po' come di nuovo quella prima mattina, ma peggio. Gli aveva fatto del male e lo sapeva, Riusciva a vedere la colpa nella sua espressione quando pensava che non la stesse guardando. Ma non era stupido - sapeva che spingerla le avrebbe fato solo costruire muri più alti, quindi, aveva accettato la sua decisione per ora.

    Erano amici, niente di più. E, lentamente, stava diventando vero. Si stavano sentendo più a loro agio l'uno con l’altra e lei non sussultava più quando la sua mano si poggiava sulla sua schiena. Lo sfiorare delle labbra di lei contro la propria guancia non sembrava così forzato e lei si appoggiava di più su di lui sui tappeti rossi, senza che le venisse chiesto.

    Sembrava essersi abituata al dormire nel suo letto, ma quello era più difficile. Bastava una mattina dove si svegliasse con lui rannicchiato vicino a lei per iniziare a dormire con una fila di cuscini tra di loro. Odiava quando accadeva. Svegliarsi con il suo corpo caldo e morbido premuto sul suo petto nudo, solo il tessuto sottile della sua canotta tra loro, era una piccola fetta di paradiso. Avrebbe odiato abbandonarlo. Ma sapeva bene che era meglio non discutere.

    L'imbarazzo fece un'altra apparizione per alcuni giorni, ma ora era più facile superarlo.

    Lei si svegliava ancora nel cuore della notte, Aveva ancora problemi a dormire. Cominciava a riconoscere i segni dei suoi problemi notturni, iniziava a vederlo nei suoi occhi quando sarebbe stata una brutta nottata. Ci provava a rallegrarla - a volte si sedeva con lei, interpretando il ruolo di assistente cuoco. Qualche volta era così stanco che crollava a letto con una piccola presa in giro di richiesta per un certo tipo di trattamento.

    Solo quando si svegliava con due dozzine di cupcake perfetti allineati sul bancone, il sordo dolore della tristezza si infiammava in una stretta acuta nel petto. I bellissimi dessert erano solo un'altra delle maschere accuratamente composte di Emma e uno di quei giorni l'avrebbe smascherata.

    Ma non quando esisteva una fragile pace tra di loro.

    Trascorrevano lunghi pomeriggi insieme, facendo escursioni sui sentieri vicini - dove Regina si assicurava sempre che qualcuno li fotografasse insieme - o giù in spiaggia, tornando a casa abbronzati e rilassati. Eppure c'era sempre una corrente sotterranea, una scintilla che si accendeva quando lui la toccava, un desiderio che non diminuva con il passare delle settimane e dei mesi.

    Lui aveva cominciato ad allenarsi con David, imparando a duellare con la spada e a fare equitazione, cose che avevano reso celebre il suo amico. Il film che stava cercando di accaparrarsi prevedeva un ruolo da co-protagonista con David e questo avrebbe dovuto avere abbastanza peso da tirarlo dentro, ma i produttori erano nervosi perché le compagnie assicurative erano nervose e, A sua volta, Regina era ansiosa e, quando diventava ansiosa, si sfogava controllando più che mai l'immagine pubblica che Killian ed Emma stavano creando. Non andava più bene andare solo insieme da Starbucks - doveva baciarle la guancia mentre si mettevano in fila. Non era più accettabile andare in spiaggia per rilassarsi a meno che qualcuno non scattasse una foto in acqua, stretti tra le braccia.

    Quindi, lui si era lanciato nell'allenamento e, tra quello e Emma, lentamente, i giornali avevano iniziato a parlare meno delle sue notti selvagge - non che ci fosse stata una sola notte selvaggia da quando Emma era entrata nella sua vita - e di più del suo aspetto adorante quando veniva fotografato con lei.

    Scattavano foto di lui che usciva dalla palestra, grondante di sudore e con i capelli incollati alla fronte, invece di lui dentro un bar, e quasi tutti i giorni Regina era di umore migliore, come mai l'avesse vista prima. era perfino gentile con Emma.

    Emma passava sempre più tempo a casa di Killian. Era solo più facile così che fare costantemente avanti e indietro dal suo appartamento - per non parlare che la sua casa aveva un cancello. Più la loro relazione diventava pubblica, più spesso veniva seguita da almeno una o due persone abbastanza inquietanti con le macchine fotografiche.

    Non era stato l'unico cambiamento nella sua routine. Aveva accettato di evitare di leggere i trafiletti online, ma quando andava al negozio di alimentari e c'era la sua faccia in bella vista sulla copertina di una rivista, con un titolo sgargiante, le dita le pizzicavano per il desiderio di prenderne una copia. Non importava, non avrebbe dovuto importare. Sapeva che non aveva senso preoccuparsi di ciò che veniva detto - era comunque una cosa temporanea. Non che avrebbe dovuto fare i conti con quella situazione per sempre. Quando il suo anno sarebbe giunto al termine, sarebbe ritornata nell'ombra a cui apparteneva. Non importava che ci fosse una data di scadenza nel suo periodo con Killian - o che pensare alla fine dell'anno le provocasse fitte di desiderio sempre più difficili da ignorare.

    Nonostante la sua determinazione a non preoccuparsene, Emma evitava il supermercato quando poteva, frequentando invece i mercati locali. Risolto il problema delle riviste. Irrisolto rimaneva il problema delle persone che la seguivano in giro, avvicinandola nei parcheggi non solo quando girava per negozi, ma anche quando andava nel suo appartamento. L’avevano perfino seguita fino alla sua porta di casa ed era sempre più difficile nascondere quanto si sentisse a disagio sapendo che c'era solo una porta fragile a separarla dal resto del mondo.

    STava raccontando a Killian dell'ultimo inseguimento mentre entrava dalla porta, le braccia piene di generi alimentari, e lui le sorrise, indicando la sua auto giallo brillante "Difficilmente si guida un'appariscente veicolo come quello, Swan" c'era un bagliore di rabbia nei suoi occhi mentre lo diceva, ma il tono da presa in giro coprì tutto e lei lasciò correre.

    Lei socchiuse gli occhi: il Bug era ormai un punto di contesa di lunga data tra di loro. Lui si era offerto di sostituirglielo, ma Emma si era rifiutata per principio, non importava quante volte insistesse che era una cosa amichevole da fare, poiché il costo era insignificante per lui. Ma stava già prendendo così tanto da lui - non poteva anche sostituire la sua dannata macchina.

    "La mia? Quella..." indicò la sua macchina sul vialetto, la stessa Maserati che l'aveva portata in giro tanto tempo prima "Non è meno appariscente".

    "Lo è in questa città" disse di nuovo compiaciuto, prendendo una delle buste dalle sue mani, sbirciando dentro il contenuto. Era una nuova routine settimanale: Emma andava al mercato ortofrutticolo, comprava qualunque cosa sembrasse buona e cucinavano insieme. Era stranamente bravo a preparare cibo messicano e quella settimana aveva comprato tutti gli ingredienti di cui aveva bisogno per preparare le enchiladas.

    "Potresti semplicemente restare qui" dissee con nonchalance mentre entravano in cucina, sistemando le buste sull'isola centrale mentre le svuotavano.

    "Huh?".

    "Ho un cancello. Tiene fuori i parassiti. Il tuo appartamento no" lui scrollò le spalle "Quindi potresti solo rimanere qui sempre".

    "Sono qui sempre" lei rispose, le sue parole scandite nonostante il modo in cui la sua offerta le aveva fatto battere il cuore all'impazzata...

    "No, tesoro, intendo stare qui. Non sarebbe un grande cambiamento. Non è come se volessi rimanere in quell'appartamento anche quando tutto questo sarà finito, comunque. Sai che puoi vivere con me mentre cerchi un altro posto".

    Era troppo vago ed Emma non era abbastanza stupida da caderci - la voleva lì. Ma era pericoloso, calpestando quel confine che avevano - lei - costruito con tanta fatica. Anche se non poteva negare che fare avanti e indietro tra casa sua e di lui stava diventando pesante. A questo punto sarebbe stato più semplice svuotare casa sua.

    "Va bene" il suo assenso fu riluttante, ma glielo diede, anche se lo disse mentre era immersa nel frigorifero.

    Killian riuscì a nascondere il suo sorriso prima che lei si voltasse verso di lui, ma quando lo fece, lui aveva la bottiglia di tequila in mano.

    "Se stasera mangeremo messicano, faremo i margarita?".

    "Ho comprato il lime al mercato. Sarebbe un peccato se non lo usassimo".

    Non parlarono più del suo trasferimento quella sera, mentre Killian canticchiava tra sé e sé mentre passavano il pomeriggio a preparare la salsa enchilada, diventando entrambi lentamente più sciocchi e dalla risata facile mentre la tequila scorreva. Quando cenarono nel patio, Emma sapeva di essere ubriaca, ma semplicemente non le importava.

    Si addormentò su una delle sedie a sdraio nel patio e Killian la portò a letto. Lei si rannicchiò contro il suo petto con un sospiro di contentezza, strofinandosi contro il suo collo. Lei si mosse nel sonno e ogni tocco morbido e senza remore si trasformò in una lotta per lui per non seppellire la sua faccia tra i suoi capelli. Fu una lotta farla stendere sul materasso, districare delicatamente le braccia attorno al collo, perché sapeva che Emma, sobria e sveglia, non sarebbe mai rimasta tra le sue braccia in quel modo, non avrebbe mai voluto quell'intimità di essere portata a letto.

    Beh, non era del tutto esatto, pensò tra sé mentre gettava la camicia nel cesto della lavanderia e si metteva a letto. Emma sobria e sveglia voleva tanto altro. Lo vedeva dentro i suoi occhi quando le era vicino in casa, quando nessuno li guardava. Ma non si sarebbe lasciata andare e questo rendeva tutto peggiore.

    Lei rotolò verso di lui e sapeva che avrebbe dovuto mettere la fila di cuscini che lei era sempre tanto attenta a frapporre tra loro, ma era così stanco di combattere anche su quello. Il suo braccio scivolò attorno alle sue spalle e sospirò, perché lei si rannicchiava perfettamente contro di lui, tra le sue braccia, a casa sua, nella sua vita - e avrebbe voluto che fosse tutto così vero.

    Quando si svegliò al mattino, il letto era freddo ed Emma non era in casa. Non ritornò fino al tardo pomeriggio e non gli offrì alcuna spiegazione. Gli chiese solo quando avrebbe dovuto avere l'appartamento pronto per lasciarlo prima di chiedere cosa voleva per cena.

    Lui non disse nulla.




    Killian Reclutò David per aiutarli a spostare le sue cose con il suo camion. Emma cercò di protestare - asserendo di potercela fare da sola. Affittando solo un U-Haul - ma lui aveva ghignato e detto "Emma, da amico, ti dico che è inaccettabile. Dovrei essere il tuo ragazzo. Non sposterai assolutamente le tue cose da sola".

    "Avresti potuto assumere qualcuno" lei brontolò mentre guidavano verso il suo appartamento, stranamente nervosa. Lui non era mai stato lì - non c'era mai stato motivo per lui di vedere quel posto orribile in cui aveva vissuto per anni. Non avrebbe dovuto disturbarla - lui sapeva che aveva accettato quel lavoro per soldi, che le cose non andavo bene per lei finanziariamente.

    "Sì, avrei potuto, ma preferisco fare queste cose da solo".

    Sapeva che lo avrebbe detto prima ancora che aprisse bocca, perché aveva ragione. Il lunedì il giardiniere puliva il cortile e la piscina e il mercoledì un servizio di pulizie metteva in ordine la casa, ma a parte quello, Killian si cucinava da solo, lavava i piatti, portava fuori la spazzatura. La maggior parte delle settimane faceva il bucato di entrambi. L'ultima volta che lei ci aveva provato, si era verificato un incidente con uno dei suoi maglioni e con l'asciugatrice. Come avrebbe dovuto sapere che non si poteva lanciare tutto quello che c'era nella lavatrice dentro l'asciugatrice? Non aveva mai avuto vestiti che venivano venduti con un ridicolo insieme di istruzioni sull'etichetta.

    "Lo so" le aveva sorriso, quel sorriso compiaciuto a cui lei sbuffava ma che segretamente adorava.

    David si infilò alle loro spalle con il suo camion e i nervi di Emma ritornarono, mentre scendevano dalla macchina di Killian. Negli ultimi mesi, aveva conosciuto un po' di più il suo amico, anche se finora avevano evitato di uscire con lui e sua moglie incinta, soprattutto perchè Killian sapeva che ingannare il suo migliore amico sarebbe stata un'ulteriore pressione di cui entrambi non avevano bisogno.

    Ma David li aveva sentiti mentre parlavano di spostare le cose di Emma e aveva insistito per dare una mano. Aveva sostenuto una eccellente tesi sul fatto che le auto sportive di Killian non fossero adatte per spostare scatole. Emma non aveva avuto il coraggio di spiegare a nessuno dei due che avrebbe potuto spostare le scatole da sola nella sua Bug in due viaggi massimo. Aveva già portato molti dei suoi vestiti da Killian, non che ci fosse molto da dover trasportare, comunque.

    Aveva anche buttato molto o donato ad un rifugio locale. Non c'era motivo di portare le sue ammaccate e arrugginite pentole e padelle nel garage di Killian - quando tutto sarebbe finito, avrebbe potuto comprarne di nuove. E aveva un forno che era più vecchio di lei.

    "È una buona cosa che ti trasferisca da lui" disse David, guardandosi intorno al parcheggio con un cipiglio "Non è un posto sicuro per te qui, Emma".

    Il braccio di Killian si avvolse intorno alle sue spalle prima che potesse dire qualsiasi cosa, la sua mano le strinse la spalla abbastanza da ricordarle che avrebbe dovuto essere felice di trasferirsi a casa sua - non indignata per le sue capacità di prendersi cura di se stessa.

    "Le ho detto questo per settimane, amico".

    Emma gli sorrise, pianificando silenziosamente la sua vendetta per quando sarebbero rimasti soli. Forse avrebbe fatto i cupcake quella sera... e li avrebbe cosparsi di salsa piccante quando lui non le avrebbe prestato attenzione. O lo avrebbe spinto in piscina. O qualsiasi altra cosa. Ma, per ora, gli sfiorò solo un bacio sulla guancia e sorrise al suo amico "Non volevo che pensasse che lo stessi solo sfruttando" disse dolcemente, afferrandogli la mano poggiata sulla sua spalla e intrecciando le dita con quelle di lui.

    David ridacchiò, seguendo Emma su per le scale fino al suo appartamento al terzo piano. Fu una vera lotta conservare un'espressione felice mentre spingeva la chiave nella toppa e apriva con difficoltà la porta, era bloccata ormai da un po'.

    La faccia di Killian si trasformò all'istante. Il sorriso felice e facile diventò duro mentre si guardava intorno alle pareti macchiate e a quello spazio angusto "Emma..." disse il suo nome come se non avesse voluto farlo, un sussurro silenzioso pieno di emozione.

    Era pietà e lei non riusciva a sopportarla. Quella era stata la sua vita per molto tempo - non era stata una vita glamour o confortevole tutto il tempo, ma era la vita che si era creata dal nulla.

    Non che lui sapesse qual era il suo passato, non che avesse intenzione di dirgli della sua permanenza in prigione o qualsiasi altro evento di quel periodo della sua vita. Era stata attenta a tenere tutto lontano da lui, per evitare profonde conversazioni sulle loro famiglie o sulla loro infanzia.

    Questo la aiutava a ricordare che non era per sempre. Era tutto temporaneo.

    "Non prendo molto" disse, quando riuscì a sollevare gli occhi su entrambi, ignorando gli sguardi di orrore silenzioso "Ci sono alcune scatole con vestiti e altre cose. L'arredamento era già qui, quindi rimane qui. Dubito che riempiremo il retro del camion. Il trasferimento più semplice della storia" sorrise allegramente, ma i due la stavano ancora osservando e, alla fine, perse la calma "Sentite, non è quello a cui siete abituati e lo capisco. Ma ho vissuto qui per anni e sono sopravvissuta e non ho bisogno che nessuno di voi mi guardi così. Quindi o andate ad aspettare fuori o mi aiutate con le scatole".

    "Scusa, Emma" David si scusò rapidamente, afferrando una delle scatole che lei aveva indicato "Sono solo davvero felice che tu e Killian vi siate trovati. Meriti di più" disse e scomparve nel corridoio con la scatola, lasciandola sola con Killian.

    Sembrava come se lui volesse dire qualcosa, ma quella dannata pietà era ancora nei suoi occhi e lei non poteva sopportarlo "No" lo avvertì, raccogliendo una scatola "Non parleremo di questo. Non ora. Non mai".

    "Emma, io...".

    "Non ti ho chiesto niente" lo interruppe, lottando per mantenere la voce bassa mentre incontrava i suoi occhi "Ti prego, lascia perdere".

    Lui la fissò anche quando David rientrò. I suoi passi ruppero quell'atmosfera e poi Killian afferrò una scatola e la portò fuori senza dire un'altra parola.

    "Tutto ok?" chiese David, prendendo un'altra scatola mentre Emma si piegava per prenderne una.

    Erano tutte leggere, le aveva confezionate tutte così appositamente, per non dover ammettere che tutti i suoi averi potevano entrare in una mezza dozzina di scatole.

    "Sì. A volte è solo iperprotettivo" fu la migliore scusa che potè inventare e si aspettò che la conversazione finisse lì, ma non era quello il caso.

    "Emma, rilassati con lui. Si prende cura di te. Lui è..." David si accigliò, spostando la scatola sul fianco mentre la guardava come se volesse dire molto di più, ma non era sicuro che avrebbe dovuto "Significhi molto per lui" disse alla fine, girandosi verso la porta.

    Lei sospirò, chiudendo forte gli occhi per un lungo momento, in piedi nell'appartamento vuoto, prima di scendere le scale.

    Ci volle pochissimo tempo per svuotare l'appartamento dai suoi magri possedimenti e cercò di essere più leggera, di scherzare con i ragazzi, ma entrambi continuavano a guardarla in quel modo, come se, se non fossero stati attenti, avrebbero potuto spezzarla.

    Odiava tutto quello.




    Accatastarono le sue cose nel garage, ad eccezione di due scatole di vestiti che entrarono dritte nell'armadio di Killian.

    "Devo sfoltirne un paio" spiegò a David quando lui alzò un sopracciglio alle istruzioni per mettere le sue cose in garage "Non sono sicura di quanto voglia tenere".

    Si strinse nelle spalle ed Emma pensò che sarebbe andato via di lì a breve, ma restò con loro la sera. E fu più difficile in un certo senso - Killian la toccava costantemente, facendo scorrere le dita lungo la schiena, stringendo un braccio intorno alla sua vita, appoggiando la mano sulla sua coscia. Lei stette al gioco, abbandonandosi al suo tocco, baciandogli la guancia, rubandogli la birra, ma era estenuante. Non era sicura di quando avesse iniziato a pensare a quella casa come sua, ma era così - e dover essere qualcun altro oltre che se stessa a casa era difficile.

    L'intera giornata era stata difficile. Ma era anche bello vedere Killian rilassarsi con il suo amico. Era ovvio che i due condividevano una profonda e sincera amicizia, avendo a cuore l'uno dell'altro - non erano solo due attori che avevano fatto un film insieme una decina di anni prima e fingevano di tenersi in contatto. Lo sapeva da un po', ma adesso li osservava mentre si occupavano della griglia nel cortile sul retro - Killian chiedeva della moglie incinta di David con interesse genuino, il modo in cui gli occhi di David la trovavano ogni tanto, un lampo di preoccupazione in agguato che rendeva la loro amicizia molto più reale ai suoi occhi.

    Non era preoccupato per il fatto che lei potesse usare il suo amico, nonostante il suo passato: era preoccupato per lei. Era strano avere persone sinceramente preoccupate per sè.

    Era già buio quando David andò via, un pizzico di colpa nelle sue parole quando ammise che avrebbe dovuto essere a casa già prima. Killian lo accompagnò alla porta mentre Emma restò nel patio, con i piedi appoggiati sul bordo della buca per il fuoco mentre le fiamme danzavano nella brezza leggera.

    "Non farlo" l'avvertimento lasciò le sue labbra quasi involontariamente quando sentì i suoi passi sul pavimento, portando la bottiglia di birra alle labbra e prendendone un lungo sorso "Solo perché se n'è andato, non significa che abbia cambiato idea".

    Lui ignorò le sue parole e scivolò sul posto accanto a lei, avvolgendole un braccio attorno nonostante il suo tentativo di spostarlo con uno scatto delle spalle.

    "Qui non c'è nessuno, Killian. Lo spettacolo è finito".

    "Swan, possiamo non litigare stasera, per favore? Voglio parlarti e voglio..." si fermò, la sua mano libera si strinse attorno al naso prima che il palmo sfregasse contro gli occhi.

    "Non voglio parlare di...".

    "Ho detto che io voglio parlarti. Non ho detto che tu debba parlarmi" la interruppe, guardandola.

    "Non puoi parlarmi dalla tua sedia?" mantenne la voce calma, cercando di non dire le parole in modo duro, ma era troppo dannatamente vicino.

    "Maledizione, Swan" lasciò la presa su di lei, gettandosi con rabbia nella poltrona accanto a lei. Il senso di colpa la investì, ma aveva bisogno che lui mantenesse le distanze, soprattutto quella sera, quando le sue emozioni erano a terra.

    "Posso parlare adesso? O hai altre obiezioni da fare?".

    Lei non rispose, perché non aveva nulla da dire di accettabile. Sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo stare, ma sembrava un po' troppo bello stare rannicchiata accanto a lui, i piedi davanti al fuoco e la quiete della notte che li circondava.

    "Capisco di aver reagito male nel tuo appartamento" lui disse alla fine, quando il silenzio si fece troppo pesante "E capisco che non vuoi parlarne, e non devi, ma volevo che tu sapessi che non è un crimine. Ho vissuto in appartamenti così e anche peggiori, Swan. So cosa significa farsi strada da quella vita".

    "Ovviamente hai fatto un lavoro migliore del mio”.

    "Sto cercando di dirti che ti capisco, Emma" sospirò, spingendo le mani contro le ginocchia e alzandosi in piedi "Vado a farmi una doccia e poi vado a letto, credo. Starai qui fuori a lungo, no?" chiese, ma sapendo già la risposta - sapeva che se quella sera sarebbe venuta a letto, lo avrebbe fatto poco prima dell'alba.

    "Solo un altro po'".

    Indugiò sulla porta del patio, mezzo dentro e mezzo fuori, ma sapeva che tutte quelle esitazioni sulla porta non avrebbero aiutato il suo umore già aspro.




    Al mattino, trovò due dozzine di cupcake al limone perfetti sul bancone della cucina.


    Continua...


    Edited by sweetest thing - 23/11/2020, 01:43
     
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    Capitolo 9



    Era passata appena una settimana e avevano ormai fatto loro una routine di normalità. Lui l'aveva aiutata a preparare dei cupcake al cioccolato la sera prima, e avevano fatto un po' di guerra con la glassa. Lei aveva riso. Riso così forte che le avevano fatto male le guance, specialmente per lo sguardo sul suo viso quando gli aveva spalmato una striscia di glassa di cioccolato lungo il ponte del naso. Lui gliel'aveva fatta pagare, raccogliendo un po' di glassa col dito per spalmargliela sul suo viso, tocco che era durato più a lungo del normale.

    Fu solo quando dichiararono una tregua, la cucina trasformata rapidamente in un disastro cioccolattoso, che il suo respiro si era bloccato, i suoi occhi sulle sue labbra, i loro corpi vicini. Lei lo aveva previsto, il momento in cui stava per pronunciare il suo nome in quel suo mormorio sommesso, e si voltò per allontanarsi, spostandosi verso il lavandino per pulire.

    "Ora devo fare più glassa" lo rimproverò, sorridendo a pochi passi di distanza.

    Lui esitò, un accenno di desiderio negli occhi, ma poi sparì "Ne è valsa la pena" fu tutto ciò che disse prima di raggiungerla al lavandino.

    Ma quella sera ci sarebbe stata uno recita da mettere in scena. C'era un'altra prima di un film e non era una a cui dovevano necessariamente partecipare, ma Killian era stato invitato e Regina aveva detto che sarebbe stato ottimo per lui essere visto ad eventi del settore, comportandosi bene con Emma al braccio. Inoltre, il regista a cui doveva fare una buona impressione sarebbe stato all'after-party e Regina aveva insistito fermamente che facessero un'apparizione.

    Il film era stato oscuro e spigoloso e aveva generato un sacco di chiacchiericcio a riguardo. Emma, in realtà, non vedeva l'ora di vederlo e rimase sorpresa dalla selezione di vestiti neri sexy e attillati che Regina le aveva mandato con lo stilista. Erano in contrasto con il più dolce, più sano - semmai Hollywood potesse essere definita salutare - degli stili che aveva indossato prima.

    Non c'era niente di dolce nelle scelte di quella sera.

    La stilista - Tink, che non era assolutamente il suo vero nome, ma le stava bene - rise allo shock di Emma "È un film dark, Emma. Stasera sarai un po' una cattiva ragazza" strinse le labbra, gli occhi che scivolarono verso la porta "Penso che a Killian piacerà qualunque cosa tu scelga".

    Emma rabbrividì suo malgrado, perché Killian non aveva bisogno di apprezzare di più nulla di lei di quanto già non facesse. Era stato rispettoso dei suoi limiti, ma questo non gli avrebbe impedito di volere di più. Lo poteva vedere nei suoi occhi e, ogni tanto, era abbastanza forte da essere quasi tentata di cedere.

    Non poteva.

    Alla fine, l'abito che scelse era corto e senza spalline. Dal davanti sembrava abbastanza semplice, ma la parte posteriore aveva un'allacciatura a corsetto elaborata. Tink lo abbinò ad un paio di altissimi tacchi di vernice nera e la mandò a farsi fare i capelli e il trucco.

    Killian arrivò mentre le stavano sistemando i capelli con la lacca. La vide nello specchio e, anche se ancora aveva visto l'effetto completo, i suoi occhi l'avrebbero potuto bruciare con la loro intensità.

    Non che lui avesse un aspetto troppo trasandato in jeans neri attillati e una giacca di pelle su misura per le sue spalle. L'aveva già visto in giacca e cravatta un centinaio di volte, ed era abituata ai suoi jeans strappati e alle vecchie magliette, ma questa era nuova.

    Le labbra di lui si incurvarono leggermente quando i loro occhi si incontrarono e lei distolse lo sguardo, le guance arrossate sotto gli strati di trucco.

    "Giù le mani fino a dopo aver parlato con la stampa" ricordò loro Regina dalla porta, ma sembrava piuttosto compiaciuta di se stessa quella sera. Di solito li guardava accigliata sulla soglia prima di questi eventi, occhi socchiusi alle loro rispettive persone.

    Controllò l'orologio, indicandoli "Bisogna andare".

    Killian sorrise a Emma nonostante Regina gli facesse cenno verso la porta, offrendole la mano quando si alzò dalla sedia su cui era stata per quasi un'ora e, spalancò gli occhi quando il suo sguardo vagò sulle sue gambe esposte. Non potè fare a meno di prenderlo in giro, offrendogli un sorriso sfacciato.

    "Risparmiati quello sguardo per le telecamere, Jones" gli sussurrò all'orecchio, troppo piano per essere sentita.

    I suoi occhi si socchiusero e lei sapeva che gliel'avrebbe fatta pagare.




    Percorsero l'intera fila di giornalisti con la mano di lui saldamente posata sul suo sedere e non c'era niente che potesse fare a riguardo se non sorridere per le telecamere. Il fatto era che quella sera non le importava. L'aveva fatto così tante volte che ci era abituata.

    Si diceva quella bugia ogni volta che un brivido le correva lungo la schiena al suo tocco, il calore le si sprigionava nel ventre mentre la sua mano scivolava sul suo corpo.

    Fu contenta quando conclusero con la stampa, ma dovettero ancora socializzare dentro il teatro prima di prendere posto, il suo braccio intorno a lei per tutto il tempo. La sua acqua di colonia era nuova quella sera e, qualunque cosa fosse, aveva un profumo incredibile.

    Emma cercò di non essere ovvia al riguardo, restandogli vicina e inspirando, ma potè notare il suo sorrisetto sulle labbra.

    "Ti stai divertendo, Swan?" chiese a bassa voce mentre si sedevano, la sua mano poggiata all'istante sulla sua coscia nuda, trascinando il pollice sulla pelle morbida.

    "Smettila" sibilò con la scusa di baciargli la guancia, le sue dita che passarono tra i suoi capelli così da potersi avvicinare abbastanza.

    "Le luci sono ancora accese" lui mormorò di rimando, il sorrisetto sempre sulle labbra.

    Cominciò a pentirsi di aver indossato quel vestito. Quella sera la stava portando al limite, sempre più vicini a quel confine nebbioso tra di loro. Non era un segreto che lei lo desiderasse - gliel'aveva detto apertamente - ma lui di solito non cercava di tirarglielo fuori, non flirtava e stuzzicava e cercava intenzionalmente di farle ribollire il sangue mentre combatteva l'impulso di stringere le cosce.

    Nell'istante in cui le luci si spensero, lei gli afferrò il polso e gli riportò la mano sulla sua gamba.

    Il suo sorriso si allargò e lei lo odiò un po' in quel momento, perché lui aveva fatto centro e quel maledetto sorriso le diceva che era stato il suo piano fin dall'inizio.

    Ma si comportò bene per tutta la durata del film, tenendo le mani a posto. Il film era carino, anche se sarebbe stato meglio non rivederlo mai più. Riconobbe vagamente il cattivo principale: Graham qualcosa - e rimase impressionata da quanto potesse essere terrificante come serial killer che dava la caccia alle persone nei boschi.

    Nel momento in cui si accesero le luci, Killian la toccò di nuovo. Lei sospirò, lanciandogli un'occhiataccia mentre le avvolgeva un braccio intorno alla vita e uscivano dal teatro. L'after party era alla porta accanto ed era l'intera ragione per cui erano lì quella sera, quindi non c'era modo di uscirne.

    Fu quasi un sollievo quando lui vide il regista, baciandole la guancia e lasciandola a socializzare mentre lui andava a parlare di affari. Non era una novità: negli ultimi tempi si era abituata a quella scena, l'esperienza surreale di partecipare a feste circondata da persone che vedeva sulle copertine delle riviste.

    Prese un drink al bar, i suoi occhi esplorarono la stanza in cerca di un posto dove aspettarlo fuori dai piedi. David aveva saltato l'evento per restare a casa con sua moglie, la cui data di imminente nascita era passata già da due giorni. C'erano alcune facce amichevoli, persone con cui aveva chiacchierato prima, ma non aveva voglia di socializzare. Tra l'orrore del film e quello di Killian insolitamente aggressivo affettivamente, si sentiva turbata. Non era sicura di cosa gli fosse preso quella sera, ma non era il momento di chiederselo.

    Voleva tornare a casa e canalizzare la sua frustrazione con Killian nella sua cucina.

    "Ehi, tu devi essere Emma Swan. Sei con Killian".

    Emma si girò verso la voce, nientemeno che Graham qualcosa. Sorrise, i suoi occhi che trovano automaticamente Killian tra la folla “In persona. Sei stato fantastico nel film. Molto raccapricciante".

    "Grazie" prese il suo drink dopo un cenno al barista, tendendole il braccio "Non posso credere che ti abbia lasciata da sola".

    Si costrinse a ridere, perché davvero non le andava di chiacchierare. Lei non poggiò la mano sul suo braccio, avvolgendo invece le dita intorno al suo bicchiere "Sta parlando con un regista. Affari. Sto bene da sola per cinque minuti".

    "Se tu fossi mia, non ti lascerei sola nemmeno un minuto".

    Sorrise nervosamente, perché c'era qualcosa nella sua espressione un po' troppo intensa per il suo gradimento. Ma aveva appena visto quell'uomo uccidere delle persone per un'ora e mezza, quindi spinse quel sentimento da parte e gli chiese se gli fosse piaciuto fare il film. Fu abbastanza per farlo parlare e lei potè sorseggiare il suo drink e annuire ogni tot di secondi senza dire molto.

    Percepì la presenza di Killian dietro di sè prima che le sue dita si piegassero possessivamente attorno al suo fianco.

    "Ehi, Killian" lei disse, facendo un passo indietro nel suo abbraccio e appoggiandosi a lui, perplessa dalla tensione della sua presa su di sè. Gli premette un bacio sulla guancia come avrebbe fatto qualsiasi brava ragazza, provando a non leggere troppo nella freddezza dei suoi occhi mentre fissava Graham "Hai fatto una bella chiacchierata?".

    "Sì. Hunter, con permesso" non aspettò una risposta, trascinandola con sé, la tensione che si irradiava dal suo corpo mentre la trascinava in una piccola alcova formata da una mezza parete e da una palma da interni.

    "Ehi, ma cosa...".

    Il resto delle sue parole cadde nel vuoto mentre Killian la trascinava contro di sè, le sue labbra divorarono le sue in un bacio brutale. Pensò di allontanarsi per una frazione di secondo, ma nonostante fossero moderatamente appartati, c'erano molte persone che avrebbero potuto vederli se semplicemente avessero guardato nella loro direzione.

    Si disse che quella era la sua ragione, che non aveva nulla a che fare con una curiosità ardente di vedere come le cose avrebbero potuto essere tra loro, se fossero state reali - come avrebbe potuto essere se avesse smesso di combattere l'impeto di desiderio a cui non poteva sempre impedire di inondarle le vene.

    Così Emma si arrese, si arrese a lui per quei pochi secondi mentre le sue braccia si avvolgevano intorno al suo collo, il suo corpo premuto contro quello di lui mentre le loro labbra si muovevano insieme. Non fu come gli altri baci: veloci baci sulla guancia e sulle labbra, tutto per le telecamere. Questo fu un inferno di lussuria tramutato in fiamme vive. Era troppo e non abbastanza allo stesso tempo. Avrebbe potuto bruciarla viva.

    Ma baciare davvero Killian... il movimento insistente delle sue labbra contro le sue, la sua lingua che accarezzava la propria, una mano tra i capelli, quello era diverso. Era come se fosse determinato a possederla e questo avrebbe dovuto farla arrabbiare, ma non era così. Quel bacio fece scorrere il calore nelle sue vene e il suo cuore iniziò a battere all'impazzata.

    Avrebbe dovuto respingerlo, avrebbe dovuto davvero respingerlo, ma era riluttante a rinunciare a quella tregua che si era concessa, le sue dita che si infilavano nella morbidezza dei suoi capelli proprio mentre l'altra mano gli stringeva la nuca per mantenersi in posizione eretta. Non che volesse andare da nessuna parte - le dita di lui erano aperte sulla parte bassa della sua schiena, il suo palmo che la teneva stretta contro di sè.

    Quando sarebbero ritornati a casa, gli avrebbe detto tutte le ragioni per cui non avrebbe potuto farlo di nuovo, ma, in quel momento, lasciò che i suoi fianchi si premessero contro quelli di lui, lasciò che il suo corpo prendesse il sopravvento in toto.

    Furono entrambi senza fiato quando finalmente la lasciò andare.

    La accarezzò lungo il labbro con il pollice, sistemandole il rossetto, lei si rese conto quando vide il rosso ciliegia del suo rossetto sulle sue labbra. Fu impossibile non sorridergli, c'era qualcosa di sciocco nell'oscuro Killian Jones con un rossetto rosso acceso spalmato sulla bocca.

    Ma mentre si strofinava via il trucco, i loro occhi si incatenarono in qualcosa di primordiale e pericoloso. Fece un respiro profondo, il suo divertimento svanì mentre riprendeva la sua espressione seria e capiva la realtà di ciò che era appena accaduto.

    "Qualunque cosa fosse, è stata la cosa di una volta, capito?" sibilò lei, tutto il pensiero di mantenere quella conversazione per dopo svanì sulla scia dello sguardo nei suoi occhi.

    Aveva bisogno che lui capisse che quel momento non sarebbe successo di nuovo, che qualunque cosa lo avesse provocato, non era accettabile. Lo ripetè silenziosamente a se stessa. Era una cosa di una volta, quel bacio era stato un gesto per dimostrare qualcosa - un gesto che sospettava avesse qualcosa a che fare con Graham Hunter e i suoi occhi vaganti - Ma lei glielo aveva permesso, perché erano in pubblico, e quello era il suo lavoro.

    Le fece scorrere una mano lungo il fianco, sistemandola lì mentre si avvicinava, la sua voce bassa "Swan, tu continua a ripetertelo. Ma hai ricambiato" disse trionfante, una profonda soddisfazione nei suoi occhi e fu quello che alla fine la fece irrigidire contro di lui.

    Lui pensava di aver vinto una partita - lei stava cercando disperatamente di proteggere il suo cuore.

    "Cosa di una volta sola" lei ripetè mentre la rabbia prendeva vita, allontanandosi dall'alcova che li proteggeva.

    Quando lui la raggiunse, lei aveva un sorriso già stampato sul viso. C'erano troppe telecamere per mostrare la sua rabbia.




    Non restarono molto a lungo e il viaggio in macchina fu teso e pieno di ostilità. Emma non sapeva quale fosse il suo problema: aveva il diritto di essere arrabbiata. Non lui. Quel bacio andava bene fuori dai confini di qualsiasi tipo di esigenza per mantenere le apparenze - e pensare che lei aveva pensato di lasciarsi andare se non avesse fatto il bastardo compiaciuto.

    Gli si avventò contro nell'istante in cui la porta si chiuse dietro di loro "Che cazzo è successo? Per tutta la dannata serata... e poi quella scenata!" aveva le scarpe in mano e aveva una mezza idea di lanciargliene una contro "Non ce n'era assolutamente bisogno. Non posso credere che tu...".

    Lui era livido quando si girò verso di lei e le urlò contro come mai "Hai costruito questo muro tra di noi e poi te ne stai lì a flirtare con Graham fottuto Hunter davanti a un'intera sala piena di persone che pensano che tu sia mia!” si fermò, il suo respiro tremante e le sue mani chiuse a pugno "E mi hai baciato, quindi smettila di comportarti come se ti avessi fatto un torto!".

    "Certo che ho risposto al bacio! Sapevi che avrei dovuto ricambiare il bacio! Eravamo di fronte a una sala piena di persone che avevano l’impressione che io sia apparentemente tua!".

    "Comprata e pagata, tesoro".

    "Vaffanculo!".




    Quella notte lei non dormì nel suo letto. Non cucinò. Stette seduta fuori vicino al fuoco, avvolta in una coperta di una delle stanze degli ospiti, bevendo vino direttamente dalla bottiglia in quel dannato vestito che non poteva togliersi senza aiuto.

    Le lacrime le scendevano a ondate sulle guance, perché lo odiava. Lo odiava nonostante ogni sforzo per mantenere le cose senza complicazioni tra di loro: loro erano complicati. Non aveva voluto farsi del male, ma eccola lì, a piangere nel patio al buio perché non solo aveva urlato contro di lei, ma era stato cattivo. Non era mai stato cattivo. Aveva visto l'intenzione nei suoi occhi, il proverbiale coltello dalla parte del manico mentre cercava le parole che sicuramente l'avrebbero ferita di più.

    Lui apparve poco prima dell'alba. Stava uno schifo e questo in qualche modo la fece sentire meglio per il mascara che sapeva essere spalmato sul suo viso - non era stata l'unica che aveva passato la notte in bianco. Si era strappata le ciglia finte ore prima e le aveva gettate nel fuoco, ma il il resto del suo trucco era imbrattato sul suo volto.

    "Mi dispiace" la sua voce era roca, densa di emozione, ma mantenendo le distanze, indugiando sulla porta, chiaramente incerto se le sue scuse sarebbero state accettate.

    "Dovresti esserlo" voleva essere fredda e distaccata, ma la sua voce era troppo graffiante per le lacrime.

    "Non me la rendi facile, Emma".

    "Tutto quello che ho fatto è stato cercare di rendertela facile" prese un respiro tremante, finalmente trovando il coraggio di portare il suo sguardo su di lui. L'alba stava appena iniziando a spuntare, solo una debole luce che impallidiva il cielo, ma la luce del fuoco mostrava tutta la sua anima messa a nudo. Aveva visto molte versioni diverse di lui nei quattro mesi in cui erano stati insieme, ma quella sera era la prima
    volta che lo guardava negli occhi e ne vedeva i rottami.

    "Ci siamo promessi di non mentire fin dall'inizio" disse dolcemente, scivolando su una sedia di fronte a lei "Dimmi perché - perché non possiamo provarci, tesoro? Quel bacio..." la vide irrigidirsi e sospirò, strofinandosi le mani sugli occhi "Non sono stato l'unico a sentirlo, Swan. Potremmo non esserci incontrati nelle circostanze più opportune, ma c'è qualcosa tra di noi. Non puoi onestamente stare lì e dirmi che non è la verità".

    "Lo so" sussurrò e deglutì a fatica contro le lacrime che le salirono agli occhi di nuovo. Era esausta ed emotivamente a zero e non voleva ammetterlo, ma non era sicura che lui avrebbe accettato la sua risposta in altro modo "Se io... se ti dessi questo pezzo di me, questo pezzo che è ancora tutto mio, tu mi distruggerai, Killian. E io non sopravviverei".

    "Perché sei così sicura? Io... cosa ti rende così certa che ti porterò alla distruzione?" disse con le mani chiuse a pugno sulle gambe e lei poteva vedere di nuovo la tensione nelle sue spalle.

    "Non posso correre il rischio che mi sbagli su di te" sorrise tristemente, fissando lo sguardo sulle fiamme.

    Rimasero in silenzio per molto tempo, ma quando finalmente lei alzò lo sguardo, lui la stava guardando.

    "Ho intenzione di dimostrarti che hai torto" lui disse piano, alzandosi dalla sedia e offrendole la mano "Ma intanto, prometto di non comportarmi più come stasera. Vieni a letto, Emma. So che hai bisogno di aiuto con il tuo vestito".

    Lei esitò, fissando la sua mano tesa, ma alla fine si chinò per spegnere il gas del fuoco e lasciò che le sue dita scivolassero nelle sue.

    Ci fu un pesante silenzio tra di loro, ma non era esattamente spiacevole, mentre lui la conduceva attraverso la casa, le dita intrecciate. Avrebbe dovuto lasciargli andare la mano, ma non lo fece, le sue dita gelate si strinsero intorno alle sue calde. Fu solo quando entrarono nella camera da letto, e lei si spostò i capelli sulla spalla, che lui la lasciò andare, le sue mani invece indugiarono sulla sua schiena mentre le slacciava il vestito. La sua pelle era ancora fredda dalla notte all'aperto e ogni carezza sulla sua pelle calda era come un tizzone ardente contro la sua carne, ma lei era determinata a non cedere di nuovo.

    Lui era già a letto quando lei uscì dall'armadio in pantaloncini e canotta ed esitò, combattuta tra il voler chiedere scusa e il voler dimenticare l'intera notte. Ma era già stato tutto troppo - troppa verità, troppo dolore, troppe dannate cose - quindi rimase in silenzio mentre scivolava sotto la trapunta.

    Non si aspettava di dormire, non con le sue emozioni in un nodo e il ricordo delle sue labbra sulle sue così fresco, ma era esausta e il sonno arrivò rapidamente.


    Continua...


    Edited by sweetest thing - 23/11/2020, 01:58
     
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    Capitolo 10



    Si girarono attorno tutto il mattino. Emma vedeva riflesse le proprie intricate emozioni negli occhi di lui: la crudezza, l'esitazione nei suoi sguardi. Aveva l'impressione che lui pensasse di aver detto più di quanto avrebbe dovuto, il modo in cui i suoi occhi saettavano sul suo viso con una traccia di incertezza mentre sorseggiava il suo caffè accanto a lei, nel patio.

    Eppure c'era qualcosa che bruciava, nascosta ordinatamente accanto ai suoi evidenti rimpianti, il suo sguardo che cadeva sulle sue labbra quasi inavvertitamente. Lui era troppo facile da leggere adesso e lei lo capiva dallo sguardo nei suoi occhi che stava ricordando il loro bacio.

    E non solo lui.

    I ricordi non cambiavano il fatto che la loro discussione aveva lasciato Emma profondamente turbata, incapace di dimenticare la sua voce profonda o la sua promessa: "Ho intenzione di dimostrarti che hai torto".

    La terrorizzava che una parte di sé sperasse che ce la facesse a dimostrarglielo.

    "Vado a correre" lei annunciò bruscamente, posando la sua tazza di caffè e alzandosi "Farà troppo caldo più tardi".

    "Io..." lui si bloccò, i suoi occhi spalancati con un accenno di speranza che la confuse "Se tu potessi tollerare la mia compagnia, vorrei unirmi a te".

    Voleva dire di no. Voleva davvero dire di no: quella corsa non aveva nulla a che fare con il fitness e aveva invece a che fare con lo schiarirsi la mente, mettere un po' di spazio tra di loro - ma tutto non avrebbe avuto più senso se lo avesse spinto via in quel modo. Quello era chiaro anche solo dal modo in cui lui aveva espresso la sua richiesta e, dopo la notte che avevano passato, Emma non poteva più vedere quello sguardo nei suoi occhi. Aveva fatto male abbastanza la prima volta, il senso di colpa per averlo ferito, per avergli mentito, tutto avvolto nella rabbia.

    "Certo" disse alla fine a bassa voce, facendo un piccolo sorriso "Pensavo di fare un giro qui intorno, a meno che tu non voglia andare nel canyon...".

    "Qui andrà bene".

    Si avviarono a passo tranquillo, senza parlare. Di solito Emma ascoltava della musica, ma le strade erano troppo strette, troppo ventose, per rischiare di non riuscire a sentire un'auto che si avvicinava, così invece si mise ad ascoltare il ritmo delle loro scarpe da ginnastica sul marciapiede. Non guardava Killian, ma era iperconsapevole della sua presenza accanto a sè, i suoi passi che si allontanavano leggermente dal ritmo dei suoi.

    La mattina era già calda, ma la velocità di Emma aumentava sempre di più, spingendosi in un luogo in cui tutto ciò a cui riusciva a pensare era la cadenza del suo respiro e dei suoi piedi. Non voleva pensare a lui accanto, al modo in cui la sua maglietta sudata si attaccava al petto, il vento che gli scompigliava i capelli. Non voleva pensare a come ci si sentiva ad essere premuta contro di lui, avvolta tra le sue braccia, il sapore di lui sulle labbra - rendeva tutto molto più difficile ricordare dove fosse il confine tra loro, perchè c'era un confine, che a lui piacesse o meno.

    Quindi si mise a correre più velocemente.

    Quando superarono l'ultima curva, fu uno sprint a tutto campo verso il cancello, una gara silenziosa fino al traguardo. Il palmo di Emma sbattè contro di esso con fragore un secondo prima di quello di lui, ma il suo senso di trionfo svanì quando entrambi collassarono contro il freddo metallo, ansimando pesantemente.

    "Maledizione, Swan. Che cavolo era quello?" le sue parole si susseguirono tra i singhiozzi, un accenno di irritazione nei suoi occhi. Correva regolarmente con David, ma lei era più leggera, più veloce e, lo sapeva ma non l'avrebbe mai ammesso, aveva fatto fatica a starle dietro.

    Lei alzò le spalle, evitando il suo sguardo "Ho solo voglia di correre".

    "Ho corso un sacco di tempo con te, tesoro. Non è mai stato come se un branco famelico di lupi ci fosse alle calcagna".

    Cominciò a inventare una scusa, ad alzare di nuovo le spalle, ma si ricordò delle loro promesse di non dire bugie e optò per qualcosa di più vicino alla verità "A volte mi piace andare veloce, stancarmi" disse alla fine mentre lui digitava il codice per il cancello.

    "Emma, ieri sera...".

    "Non ne dobbiamo più parlare" intervenne lei, guardando il cancello che si apriva lentamente. Aspettò a malapena che si aprisse abbastanza da permetterle di scivolare attraverso, avviandosi per il vialetto. Il suo battito cardiaco non si era ancora ripreso dalla corsa, ma poteva sentirlo aumentare mentre i ricordi della notte precedente turbinavano nei suoi pensieri. Non voleva ritornare a pensare alla loro notte, voleva solo dimenticarla.

    "Non succederà più, quindi lasciamo perdere" non sapeva nemmeno lei a cosa volesse riferirsi: il bacio, la lite, le conseguenze sul patio alla debole luce dell'alba, ma non importava. Niente di tutto ciò sarebbe accaduto di nuovo.

    "Emma" le dita di lui si piegarono attorno al suo bicipite, la sua pelle umida di sudore contro il suo palmo caldo.

    Lei si voltò con riluttanza a guardarlo, ma i suoi occhi si concentrarono sopra la sua spalla, guardando le fronde delle palme danzare nella brezza.

    "Ho bisogno di spiegarti che...".

    Il suo telefono iniziò a squillare, interrompendo la quiete del mattino. Pensava che lo avrebbe ignorato - c'era una determinazione nei suoi occhi come non l'aveva mai vista prima. Ma lui frugò nella tasca con una imprecazione, guardando lo schermo prima di rispondere.

    "Dave, tutto bene?".

    Emma cercò di non mostrare il suo sollievo mentre le rilasciava il braccio, aggrottando la fronte mentre ascoltava. Con Mary Margaret oltre la data di scadenza del parto, il suo primo istinto le disse che qualcosa fosse andato storto. Ma il sorriso improvviso di Killian alleviò la sua preoccupazione e le sue parole ne furono una conferma.

    "Fantastico. Congratulazioni, amico!" sorrise ad Emma e lei non potè fare a meno di sorridere di rimando, la sua felicità contagiosa "Certo che verremo a breve. Posso portarti qualcosa?" ridacchiò ed Emma trovò impossibile staccargli gli occhi di dosso, il suo viso pieno di felicità quando era stato una maschera di dolore e confusione pochi istanti prima "Sì, se vuole un hamburger, gliene porterò uno. Ci vediamo tra un po'".

    "Mary Margaret ha avuto il bambino?".

    "Sì" la sua voce era dolce, un tocco di malinconia che la mise a disagio per il modo in cui i suoi occhi si misero a studiarla "Non devi venire con me, ma io...".

    "Certo che verrò con te. David mi piace. E Mary Margaret è stata gentile quelle poche volte che l'ho vista".

    Emma non aveva passato molto tempo con Mary Margaret - una difficile gravidanza, con gli ultimi i mesi di riposo a letto, avevano reso scarse le visite a casa Nolan.

    "Ho sentito che dobbiamo fermarci da "In'N'Out'?".

    "Sì. Dave dice che da ore Mary Margaret gli dice che deve portarle un hamburger, ma non sono aperti ancora".

    Emma rise, la tensione spezzata tra di loro mentre lui la aggirava per aprire la porta.

    "Allora, immagino che faremo meglio ad assicurarci di essere lì quando apriranno".

    "Sospetto che lui ne sarebbe molto grato. Non vuole lasciarla sola".

    "No, immagino di no" l'improvvisa ondata di rimpianto e desiderio la colpì inaspettatamente alle sue parole, perché anche se lei non aveva avuto esattamente la possibilità di lasciare la sua stanza d'ospedale, aveva permesso che suo figlio venisse portati via senza nemmeno una parola di protesta "Adesso vado a fare la doccia, così possiamo uscire presto" disse da sopra la spalla mentre correva lungo il corridoio, evitando i suoi occhi troppo perspicaci.

    Rimase sotto l'acqua e contò fino a dieci più e più volte finché il suo petto non sembrò più così costretto. Sapeva che non avrebbe dovuto metterci così tanto - anche Killian aveva bisogno di fare la doccia, ma era agitata per pensare di portare le sue cose in uno degli altri bagni, aveva bisogno di tempo per riprendere il controllo su se stessa.




    Se Killian si era accorto che qualcosa non andava, non disse niente. Si sentiva ancora a disagio intorno a lui, ma era più facile prenderlo in giro per le sue insistenti soste per un biglietto, dei fiori e un ridicolo orso gigante, che stare in silenzio. Quando arrivarono in ospedale, Emma si era quasi convinta che le cose fossero tornate alla normalità. Ma non era pronta per le montagne russe emotive di entrare nel reparto maternità.

    Non riuscì a trattenersi, i suoi pensieri vagarono per un sentiero che era meglio non intraprendere. Aveva partorito in un reparto medico della prigione - e se non l'avesse fatto? E se fosse stata lì, in un ospedale carino e pulito, con fiori e un futuro padre felice?

    Con il peso del braccio di Killian attorno alle sue spalle, non si potè impedire di alzare lo sguardo su di lui, chiedendosi 'E se...'.

    Basta. Si diede una forte scossa mentale, i suoi occhi si spostarono di nuovo sulle pareti e sul pavimento, ovunque tranne sul sorriso tenero sul viso di lui. Il giorno prima era stata arrabbiata con lui per averla baciata - arrabbiata con se stessa per aver ceduto al suo desiderio per lui.

    Come poteva pensare a lui come un padre ora?

    Si costrinse a sorridere quando entrarono nella stanza di Mary Margaret e Killian lasciò la presa su di lei per posare l'orso impagliato e il cibo.

    Si girò per salutare David in un abbraccio affettuoso di congratulazioni, i due uomini si sorrisero l'un l'altro prima che Killian si rivolgesse di nuovo a Mary Margaret "Mia signora" disse, raccogliendo il cibo e presentando il sacchetto bianco, giallo e rosso "La vostra colazione".

    "Grazie, Killian" Mary Margaret lanciò un'occhiataccia a suo marito, ma sorrise.

    Emma non voleva essere gelosa, non voleva invidiare quella famiglia felice, ma il mostro verde fece comunque le giravolte nella sua gabbia mentre sistemava i fiori che Killian aveva comprato sul piccolo comodino. Mary Margaret era raggiante di gioia nonostante la sua evidente stanchezza, suo figlio cullato tra le braccia in modo protettivo e tutto ciò che Emma voleva fare era andarsene.

    "Emma, è così bello vederti. Speriamo di poterci vedere di più ora che non sono sempre intrappolata in un letto!".

    "Sarebbe grandioso!" Emma mise tutta la sua più falsa allegria nelle parole, chinandosi ad abbracciare goffamente la neo mamma, attenta al bambino. Sapeva che David e Mary Margaret avrebbero avuto un maschietto, ma fece più male di quanto avesse pensato, vedendo la morbida coperta blu stretta attorno alle delicate dita delle manine e dei piedini. Lei non aveva mai tenuto in braccio suo figlio - non l'aveva mai guardato dall'alto in basso tra le sue braccia con stupore e orgoglio come stava facendo adesso Mary Margaret. Non aveva mai avuto un padre orgoglioso e raggiante accanto a sè come David, la sua gioia così ovvia che praticamente illuminava tutta la stanza.

    "Ed ecco il signorino" il braccio di Killian le scivolò intorno alla vita, la sua voce dolce e timorosa e lei si disse che il suo tocco era per fare scena, che non c'era niente di particolarmente tenero nel modo in cui la strinse a sè, il pollice a sfiorarle il fianco.

    "Ti piacerebbe tenerlo in braccio?" Mary Margaret propose a Killian, il suo sguardo che guizzava verso l'unto sacchetto di carta sul vassoio dell'ospedale "Ho davvero bisogno di mangiare quell'hamburger".

    Killian rise ed Emma fece un passo indietro, grata che avesse bisogno di due braccia per accogliere con attenzione il figlio di un amico in grembo. Si aspettò di sentirsi più calma senza Killian nel suo spazio, ma non era preparata alla vista di lui con un bambino in braccio, il suo viso illuminato, raggiante al suo migliore amico come uno zio orgoglioso. La sua gola si strinse e il petto le iniziò a far male e, dannazione, non poteva sentirsi così.

    Quello era un lavoro. Poteva essere suo amico adesso, poteva anche prendersi cura di lei, ma tra altri otto mesi e lui se ne sarebbe andato sul set di un film e lei sarebbe andata avanti con la sua vita. Non poteva guardarlo tenere in braccio un bambino con i suoi amici che erano praticamente una famiglia e chiedersi cosa sarebbe successo se...

    E se ciò avesse significato dirgli cose che non voleva ricordare, senza contare il riviverle nel raccontarle, la sua reazione al suo appartamento era già stata abbastanza brutta. Cosa avrebbe detto se avesse saputo del suo periodo in prigione? Come avrebbe mai potuto capire la decisione che aveva preso di rinunciare a suo figlio? Dal modo in cui lui guardava il bambino di David, pieno di stupore e meraviglia, non credeva che avrebbe potuto.

    Nonostante l'immagine che i media avevano dipinto di lui, Emma aveva avuto modo di conoscere il vero uomo negli ultimi mesi. Era premuroso e le sue emozioni erano profonde. Era ancora arrabbiata per le sue parole dure della scorsa notte, ma tutto quello non cambiava con quell'unica eccezione, non era stato altro che gentile con lei.

    Killian non avrebbe mai capito come una madre poteva pensare di rinunciare a suo figlio.

    "Emma?".

    Si rese conto troppo tardi che aveva pronunciato il suo nome più volte, un accenno di preoccupazione nella sua espressione mentre la guardava

    "Scusa" disse debolmente, afferrando qualsiasi cosa per spiegarsi "Quella corsa di prima mi ha davvero stancato. Cosa hai detto?".

    "Mary Margaret ha chiesto se ti piacerebbe tenere in braccio Leo?".

    Gli occhi di Emma si posarono sulla donna in questione, il sorriso di Mary Margaret luminoso mentre mangiava felicemente le sue patatine fritte "Ehm, ho davvero bisogno di usare il bagno" Emma disse, sforzandosi di sorridere di nuovo mentre il panico le artigliava la gola "Devo solo... torno subito".

    Praticamente corse fuori dalla stanza, lottando per mantenere il respiro basso. Era passato molto tempo da quando si era trovata in quel posto, mezza intrappolata in ricordi vecchi di dieci anni, dubitando delle sue decisioni e delle sue scelte di vita. Doveva solo trovare un bagno in cui chiudersi, trovare un po' di silenzio e tranquillità per costringere quei sentimenti a tornare nella loro scatola e affrontare le felici, luminose persone in quella stanza d'ospedale.

    Aveva bisogno che le sue braccia smettessero di tremare così dannatamente prima ancora che pensasse di tenere un bambino in braccio.

    Il bagno era quasi alla sua portata, la sua mano sulla maniglia della porta per aprirla, quando si trovò Killian dietro di sè, le sopracciglia aggrottate e la mascella tesa. Non ebbe tempo per protestare ed entrambi entrarono nel bagno, chiudendo la porta col chiavistello.

    "Cosa c'è che non va?" lui chiese senza preamboli, i suoi occhi fissi sul suo viso.

    "Io sono…".

    "Non mentirmi, Swan. Non ti ho mai vista così. Che succede?".

    Alzò le spalle impotente, mordendosi l'interno della guancia per evitare che le lacrime scendessero sul viso. Non poteva piangere, non avrebbe pianto, non ora con lui che la guardava come se avesse voluto proteggerla e interrogarla al contempo. Non con i ricordi della notte scorsa ancora freschi nella sua mente - quel bacio e la loro litigata e il modo in cui l'aveva guardata nel patio - era tutto troppo in quel momento.

    "Emma...".

    "Sono stati dei giorni lunghi...".

    "Abbiamo fatto una promessa, tesoro" le parole furono dette in modo gentile, ma la determinazione non aveva abbandonato il suo sguardo.

    "Va bene, vuoi parlare di verità? Qual era il tuo problema ieri sera?" finalmente scattò, la rabbia che tornava in vita. Come osava tirare in ballo quella promessa? Quella promessa che era sembrata così giusta allora, una dimostrazione di fiducia in una situazione imbarazzante, ma che ora sembrava solo complicare sempre di più le cose. Si attaccò alla sua rabbia, si lasciò guidare lungo un sentiero meno pericoloso della verità dietro al motivo per cui era fuggita dalla stanza d'ospedale "Lo so che ho detto che era finita allora, ma devo sapere perché sei stato così...".

    "Sono stato fuori luogo" prese un respiro profondo, strofinando le mani sul viso e appoggiandosi all'indietro contro la porta "Lo ammetto, la vista di te con quel vestito ha avuto un po' a che fare con tutto questo, ma Hunter e quel film..." si fermò di nuovo, come se stesse soppesando attentamente le sue parole, prima di continuare "Non ti ho raccontato l'intera storia della moglie di Gold, Milah, e questo non è il momento. Ma ti basti sapere che Graham è stato coinvolto con lei dopo, forse durante il mio periodo con lei. E quando ti ho vista lì, con lui, il modo in cui ti guardava..." alzò le spalle, alzando le mani quasi impotente "Ti chiedo scusa, Emma, sinceramente. Ho lasciato che il mio carattere avesse la meglio su di me e non avrei dovuto dire quelle cose".

    "E quel bacio?".

    Qualcosa brillò nei suoi occhi, un tizzone che avrebbe potuto divampare in fiamme da un momento all'altro "Mi rincresce come l'ho gestita, ma non riesco a provare rimorso per averti baciata" disse piano, fissandola "Non lo farò più senza il tuo permesso" aggiunse velocemente, ma ciò non fece nulla per rallentare il suo cuore improvvisamente accelerato "Se Regina... richiedesse... qualcosa del genere, ne discuteremo prima. Non... non ti prenderò più alla sprovvista".

    "Non puoi".

    "Sì, ho capito".

    "Va bene".

    La guardò, le spalle tese e la mascella serrata. Lei si sforzò di rimanere ferma sotto il suo esame - vedeva troppo, la vedeva attraverso e, anche se lei avesse cambiato argomento, sospettava che lui avrebbe capito che la scorsa notte non era stato il motivo per cui era praticamente fuggita dalla stanza d'ospedale di Mary Margaret.

    "C'è qualcos'altro" non fu una domanda ed Emma odiava che avesse ragione - lui la conosceva meglio di quanto volesse ammettere.

    Distolse lo sguardo, fissando piuttosto il muro che il suo sguardo troppo perspicace "Emma. Parla con me. Mary Margaret è preoccupata, anche lei ha detto che vede che c'è qualcosa che ti turba".

    "Non ho mai avuto una famiglia" Emma disse alla fine, scegliendo il pezzo di verità meno doloroso, una volta che fu chiaro che non ne sarebbe potuta venire fuori "I miei genitori mi hanno abbandonato sul ciglio dell'autostrada quando avevo pochi giorni. Non ho idea di chi siano o perché lo abbiano fatto, ma nessuno mi ha mai voluta. Quel bambino ha poche ore di vita e tante persone che già lo amano. È solo un promemoria di tutto quello e immagino che non fossi preparata a quanto ciò mi avrebbe riportato indietro con la memoria".

    "Io ti voglio, Emma. Devi saperlo, anche con il mio cattivo comportamento di ieri sera" la sua voce fu una supplica e una promessa, cosa che lei non voleva sentire.

    "Mi vuoi adesso, quando mi sono resa indisponibile. Sono un mezzo per un fine" lei a malapena credeva a quelle parole, ma ammettere qualsiasi altra cosa sarebbe stato un passo oltre il confine.

    "Mi stai dicendo che sono un bugiardo, allora? Credi sinceramente che non fossi serio l'ultima volta che ti ho baciata?" la sua voce tremò ed Emma non riuscì a capire se era a causa dell'emozione o della rabbia - non osò guardarlo negli occhi per scoprirlo. Conosceva il motivo per cui era esploso la scorsa notte, era stata la sua bugia - "Certo che ho risposto al bacio! Sapevi che avrei dovuto ricambiare il bacio! Eravamo di fronte a una sala piena di persone che avevano l’impressione che io sia apparentemente tua!" - quello lo aveva fatto esplodere.

    Le bugie erano un argomento delicato con lui. Emma sospirò, costringendosi a incontrare il suo sguardo turbato "No, credo che pensi di volerlo far vedere - e tu stesso hai detto che hai lasciato che il tuo carattere avesse la meglio su di te ieri sera. Quel bacio parlava di gelosia tanto quanto qualsiasi altra cosa".

    La fissò in silenzio, una guerra in corso nei suoi occhi "Stai distorcendo quello che ho detto. Non do la mia parola alla leggera, Emma" disse alla fine, la sua espressione seria "Anche a me hanno mentito molte volte per arrivare ad altro".

    "Non sto mentendo",

    "Non è quello che ho detto, tesoro. Ma non mi stai nemmeno dicendo tutto. Non mi hai baciato ieri per le apparenze. Avresti potuto fermarci molto prima. Ma non l'hai fatto. Eri proprio lì con me in quel momento. E c'è qualcosa di più che non stai dicendo ora".

    Non si preoccupò di negarlo - la verità stava diventando una cosa abbastanza confusa tra loro "Ci vorrebbero giorni per raccontarti tutto" disse invece, chiudendo gli occhi stancamente perché non riusciva a guardarlo, preoccupata e turbata dal fatto se gli importasse davvero.

    "Ho perso i miei genitori quando ero un bambino. Prima mia madre, poi mio padre. Mio fratello si è occupato di me da quando avevo undici anni, ma ho perso anche lui quando ne avevo diciassette. Quindi sono venuto qui per ricominciare... a Los Angeles, a causa di una scommessa da ubriaco. Regina ha visto qualcosa in me che valeva la pena salvare e il resto, come si suol dire, è storia".

    Sconcertata dai fatti raccontati con la freddezza di un giornalista, aveva centrato il suo punto - poteva dirgli cosa era successo nella sua vita in una versione condensata, se avesse voluto.

    "Mi dispiace" lei disse invece di dirgli quello che lui voleva sentire, spostandosi sul posto. Stava ritardando l'inevitabile e lo sapeva, ma il suo passato era qualcosa a cui si era aggrappata per così tanto tempo, un modo per tenerlo da parte dalla sua vita. Dirglielo avrebbe cambiato le cose e non era pronta.

    "Non voglio la tua pietà. Siamo molto più simili di quanto tu non voglia ammettere, tesoro. Questo è quello che stavo cercando di raccontarti nel patio, nel tuo vecchio appartamento. Capisco molto più di quanto tu possa pensare. Prova a fidarti di me. Io non vado da nessuna parte".

    "Non ancora".

    "Emma...".

    Fu l'ultima goccia e qualcosa dentro di lei scattò "Sono stata arrestata quando avevo diciassette anni. Il mio ex aveva rubato degli orologi e mi incastrò, ma sapevo che erano stati rubati quando mi mandò a prenderli, quindi quando sono stata arrestata non ho fiatato. Non che qualcuno mi avrebbe mai creduto, comunque. Ne avevo rubato un sacco prima di allora. Ho passato undici mesi in prigione. Ero una ladra. Me lo meritavo" lo disse lentamente, recitando i fatti come se fosse la vita di qualcun altro. Non gli stava dicendo quello tanto per condividere - voleva che si facesse da parte, voleva che la guardasse con qualcosa di diverso da quella sua dannata preoccupazione.

    "Non vado da nessuna parte" Killian ripetè, un accenno di testardaggine nelle sue parole. Si spostò dalla porta, raggiungendola.

    Lei si preparò al suo tocco, a mantenere il resto dei suoi segreti sepolti, perché c'era una parte di lei che voleva solo dirgli tutta la verità ora che aveva iniziato, voleva ammettere tutto e vedere se lui l'avrebbe guardata ancora come adesso.

    "Killian...".

    Un colpo alla porta spaventò entrambi e spezzò il momento. Lei indicò verso la porta prima che lui potesse toccarla, sorridendo "Dovremmo tornare indietro. Si chiederanno dove siamo finiti".

    Sembrava come se lui volesse opporsi, ma il colpo fu più insistente la seconda volta. Si passò una mano tra i capelli per la frustrazione, ma fece un gesto verso la porta "Ok, dopo di te".




    L'intero pomeriggio fu una lotta. Le guance di Emma facevano male per la quantità di finti sorrisi che aveva fatto e le spalle le facevano male per la tensione. Non aiutò quando Regina scrisse a Killian di aspettarsi la stampa fuori dall'ospedale e ci fu un altro giro di falsi sorrisi e finte pose e tutta quella dannata vita finta che a volte sembrava un po' troppo reale.

    La distanza di Emma non migliorò una volta lasciato l'ospedale. Lui non cercò di parlarle in macchina, non quando le sue spalle erano rigide e la sua fronte era corrugata da pensieri oscuri.

    Sapeva che c'era dell'altro, un segreto che non era ancora disposta a rivelare, ma resistette all'impulso di interrogala ancora sull'argomento.

    Aveva spinto fino a dove aveva potuto, era diventato chiaro che se avesse insistito sulla questione, sarebbe finito per spingerla oltre il limite.

    Glielo avrebbe detto quando - e se - si fosse sentita abbastanza a suo agio. In parte era colpa sua se lei non voleva esporsi - poteva anche essersi spiegato prima, le ragioni del suo comportamento la sera, ma non era una scusa. Aveva ancora molto da dimostrare.

    Quando tornarono a casa, lei uscì nel patio con un libro, persa nei suoi pensieri. Lui stette attento a non opprimerla, prendendo per sé un'altra poltrona con una sceneggiatura che Regina aveva mandato la settimana prima e che lui aveva rimandato di aprire.

    Era tutto molto pacifico. Il sole pomeridiano stava tramontando e quando Killian suggerì di cenare, Emma non si oppose. Semplicemente annuì e lo seguì in casa. Ma fu tutto quello che fece - seguì le sue istruzioni per tagliare a dadini, sminuzzare e mangiare, i suoi pensieri ovviamente altrove.

    Le prese la mano mentre lei lo superava con i loro piatti, prendendole la pila di mano e appoggiando tutto sul bancone.

    "Killian, non voglio parlare...".

    "Lo so" la interruppe, scostandole i capelli dagli occhi e facendo scorrere il pollice lungo la sua guancia. Voleva baciarla così disperatamente in quel momento, voleva farglielo capire che quello aveva smesso di essere un lavoro per lui già da tempo, ma vide la paura nei suoi occhi - e le aveva fatto una promessa. Quindi, invece, l'avvicinò a sè, tenendo la presa debole nel caso in cui lei desiderasse indietreggiare. Fu una piacevole sorpresa quando non lo fece e il suo abbraccio si fece più stretto quando lei chiuse un pugno intorno alla sua maglietta, la sua guancia premuta contro la spalla. La sentì rabbrividire, il suo corpo modellarsi al suo. Assaporò il momento in cui il suo corpo si rilassò, chiudendo gli occhi per il sollievo a quel piccolo segno che forse, solo forse, stava iniziando a fidarsi di lui.

    Non era sicuro di quanto tempo fossero rimasti in mezzo alla cucina, ma la sua camicia si inumidì leggermente e sentì le sue spalle tremare.

    Emma era una delle persone più forti che avesse mai incontrato e gli si spezzò il cuore nel sentire le sue lacrime sulla sua maglietta. Il suo cadere a pezzi ora tra le sue braccia portò un senso di impotenza a cui non era abituato.

    Le passò le dita tra i capelli, lungo la schiena, cercò di proteggerla dai suoi demoni come meglio potè. Non voleva mai più vederla come quel pomeriggio - perseguitata e terrorizzata e triste, le lacrime agli occhi che si rifiutava di versare.

    Alla fine, lei si allontanò da lui, asciugandosi gli occhi e mormorando delle scuse.

    "Emma" la tirò indietro, inclinandole delicatamente il mento per guardarla negli occhi vitrei "Sono qui, ok?".

    "Va bene".

    Pulirono insieme, ma lei rimase ancora in silenzio, sulle sue. Rimase sorpreso quando lo seguì a letto, ma non la trovò già più quando si svegliò un'ora dopo e sospirò nel cuscino, rotolandosi sulla schiena, fissando il soffitto.

    Non era uno shock che lei non fosse lì e il suo cuore soffrì ancora di più per quello. La casa era silenziosa, ma se ascoltava attentamente, poteva sentire il ronzio basso del mixer in cucina. Voleva andare da lei, per farla sorridere con della cioccolata rubata o dei suggerimenti di ricette stravaganti, ma non quella sera, non era il momento.

    Stava iniziando a riprendere possesso di sè, lentamente - si era lasciata cullare in cucina prima, non aveva protestato. Ma ora aveva bisogno di stare da sola e, per quanto lui odiasse sapere di non essere la soluzione a tutti i suoi problemi, doveva darle spazio, soprattutto dopo le ultime ventiquattr'ore. Aveva imparato nel modo più duro che Emma non se la cavava bene quando si sentiva rinchiusa.




    Fu un sonno agitato senza di lei nel letto, ma si svegliò di soprassalto al suo nome sussurrato nel buio.

    "Sei sveglio?" gli chiese, la sua voce dolce, tanto che si chiese se fosse un sogno.

    "Sì".

    Lei esitò, ma lui percepì lo spostamento del suo peso sul materasso, lo sbattere delle palpebre nell'oscurità, intravedendo le sue mani sul muro di cuscini tra di loro. Un frammento di speranza si insinuò nel suo cuore mentre lei ne lanciava uno, poi un altro sul pavimento.

    "Solo per stanotte" lei disse mentre si sistemava a letto "Ho solo bisogno di...".

    "Non devi spiegarmi nulla" la sua pelle era fresca per l'aria condizionata e il profumo di zucchero si era aggrappato a lei mentre la tirava contro il suo petto, respirandole nei capelli mentre il suo braccio si stringeva intorno alla sua vita "Mmm, hai un profumo delizioso. Qual è stata la scelta di stasera?".

    "Hmmm?" era tardi e doveva essere stanca, ma fu sorpreso da quanto sembrasse assonnata mentre si sistemava meglio. Di solito si agitava molto prima di sistemarsi per la notte, irrequieta, ma quella note il suo corpo si rilassò contro il suo, quasi come sollevato.

    "Stavi cucinando i cupcake, no?" chiese piano, temendo di disturbare l'intimità tra loro nell'oscurità, il suo pollice quasi inconsciamente le accarezzava la pelle esposta dell'anca. Non sapeva bene perché glielo stesse chiedendo, ma i cupcake erano sempre stati un argomento sicuro.

    Averla lì, rannicchiata contro di lui, avrebbe dovuto bastare, ma aveva bisogno di una conferma.

    "Oh. Red Velvet. Glassa di formaggio cremoso" lei borbottò, premendo le spalle contro di lui. La sua voce era già roca mentre sistemava meglio il lenzuolo su entrambi.

    Le sorrise tra i capelli, chiudendo gli occhi "Dormi, tesoro" mormorò, stringendola a sè e respirando profondamente finché il sonno non tornò.




    Lei rimise a posto i cuscini la notte successiva, ma questa volta non gli importava. Aveva intravisto oltre le sue mura e, uno di quei giorni, se la fortuna fosse stata dalla sua, li avrebbe fatti crollare tutti.



    Continua...
     
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    Capitolo 11



    La loro routine era tornata alla normalità, un flusso costante di eventi mediatici, eventi di premiazione e compiti assegnati da Regina per mantenere incuriosita la macchina della stampa, ma con il passare delle settimane, c'era un cambiamento che Emma non poteva ignorare.

    Era cominciato quel pomeriggio in ospedale. Non aveva voluto dire tutto quello che aveva detto, ma una volta che l'aveva fatto, una volta che la sua storia era stata svelata, era stato impossibile tornare indietro, fingendo che non avesse importanza.Lui era importante. Forse troppo, ma lei aveva cercato di ignorare quel dubbio fastidioso e di godere del conforto della sua amicizia, del tempo che trascorrevano insieme. Era il suo primo vero amico da molto tempo e quella era una cosa che valeva la pena apprezzare.Ma era più di quello: aveva mantenuto la sua parola, non spingendola per avere di più e, lentamente ma inesorabilmente, lei si era rilassata intorno a lui, aveva accettato di far parte della sua vita. Almeno per i prossimi sei mesi. Dopo... beh, cercava di non pensare al futuro.

    Si trovava di nuovo in cucina con lei, un'altra sessione di dolci a tarda notte, quando si mise in testa di voler imparare a usare la glassa "Sembra abbastanza semplice quando lo fai" lui insistette, indicando la sac à poche mentre usava una glassa alla vaniglia sull'ultima partita di cupcakes.

    "Non è così difficile. Guarda" Emma sorrise in segno di invito, mettendo un cupcake non glassato sul bancone davanti a sè.

    Mettendosi accanto a lei, i loro fianchi quasi premuti insieme mentre lei avvolgeva le dita attorno al sac à poch, cercando di mostrargli come tenerla bene. Trovando troppo imbarazzante usare la sua mano opposta, si mosse dietro di lui, la sua mano destra a coprire la sua mentre si appoggiava a lui. Lei cercò di non pensare al calore del suo corpo contro il suo, a come quasi ogni centimetro fosse premuto contro di lui. Quella era una lezione sulla glassa, si ripetè severamente. Niente di più.

    "Rilassati" ogni muscolo della sua schiena era teso, evidente sotto il palmo della sua mano "Devo tenerlo in modo che la glassa esca in modo uniforme. Se stringi troppo, farai solo casino".

    Lui ridacchiò, facendola rabbrividire "Così, Swan?" lui la guardò di rimando, il calore evidente nel suo sguardo.

    Le sue guance bruciarono alle sue parole, rendendola grata di essergli alle spalle e dunque difficile da vedere "Spremi leggermente di più" disse, ignorando il doppio senso - solo per vedere la glassa essere sparata per la cucina.

    La comica, genuina sorpresa negli occhi spalancati di lui sarebbe stata da incorniciare.

    "Oh cazzo!".

    Lei sollevò un sopracciglio, allungando la mano verso il rotolo di carta assorbente mentre lui continuava a imprecare a bassa voce.

    "A quanto pare devi lavorare sulla tua tecnica".

    Il suo sorriso divenne predatorio mentre i suoi occhi la seguivano per la cucina "Te lo assicuro, tesoro, non c'è niente di sbagliato nella mia tecnica".

    Emma scoppiò a ridere, perché era tardi, lui era ridicolo ed era abbastanza sicura che qualche modo ci fosse della glassa nei suoi capelli. La sua risata spezzò la tensione tra loro, l'aria elettrica ritornò in un territorio meno pericoloso mentre ripulivano insieme.

    Ma quando finalmente chiuse gli occhi per dormire, tutto ciò che riuscì a vedere era il modo in cui il suo sguardo l'aveva seguita per la cucina, affamato e inesorabile.




    Il giorno successivo ci sarebbe stato un altro evento. Stavano passando sul tappeto rosso per un evento di premi. Killian era stato nominato come miglior cattivo, non che lui ne fosse molto soddisfatto, data la maschera su cui stava lavorando così duramente per scrollarsi di dosso. Ma un premio era sempre un premio e, anche se avesse voluto evitare, Regina non sarebbe mai stata d'accordo. La sua manager era una forza della natura quando voleva. Anche sei mesi dopo, Emma faceva del suo meglio per tenersi alla larga da quella donna.

    Era una di quelle belle notti a Los Angeles, dove il sole al tramonto dipingeva il cielo di rosa, c'era una leggera brezza dall'oceano e l'aria era calda senza essere bollente. Il vestito di Tink che aveva quella sera era stupendo - in raso rosa pallido che le lasciava le spalle scoperte, mettendo in mostra i riccioli biondi. Non capitava spesso che si sentisse carina ed elegante.

    Rimase scioccata quando un giornalista le fece direttamente una domanda che non sia " Cosa indossi?" o "Quanto tempo ti ci è voluto per prepararti stasera?". Parte della vita di Killian o no, era la prima volta che la stampa sembrasse prenderla in considerazione come qualcosa di diverso da un accessorio.

    "Allora, Emma, dacci qualche scoop su Killian. Dicci una cosa che fa che i suoi fan non si aspetterebbero mai" la giornalista sorrise, con tutti i suoi denti bianchi e lucenti e il lucidalabbra, ed Emma si bloccò per un secondo, i suoi occhi fissi sui suoi.

    Lui ridacchiò, stringendo la mano poggiata sul suo fianco e sporgendosi in avanti per sussurrarle nell'orecchio "Di' loro quello che vuoi, tesoro".

    Lei annuì e i loro occhi si incontrarono per un battito più lungo del necessario. C'era qualcosa di diverso in lui quella sera, quasi tenero, e lei voleva davvero respingerlo, voleva essere abbastanza forte per entrambi, ma era quasi impossibile.

    Quindi, si voltò di nuovo verso la giornalista con un sorriso. Se volevano una storia, aveva una scena di coppia perfetta per loro. Il fatto che non ci fosse una parola inventata - o che non avesse dovuto pensarci un secondo in più - era un pensiero per un altro momento.

    "Sono una persona che va a letto molto tardi e mi piace fare dolci. Lui mi tiene compagnia. Penso che segretamente gli piaccia star seduto in cucina a guardarmi di notte" Emma sorrise alla telecamera, ma i suoi occhi ritornarono su di lui. Non era solo la dolcezza nei suoi occhi - c'era anche un tocco di qualcos'altro, qualcosa di più che non le permise di spostare lo sguardo.

    "Do una mano!" lui disse, intervenendo mentre si sporgeva in avanti per parlare nel microfono. Le sorrise mentre si rimetteva dritto.

    "A volte dà una mano" ammise Emma, sforzandosi di riportare gli occhi sulla giornalista. Ma semplicemente non riusciva a trattenersi, il suo sorriso si trasformò in un sorrisetto mentre i suoi occhi volavano di nuovo verso di lui "Per lo più ruba pezzi di cioccolato. O combatte battaglie perse in partenza con la glassa".

    La giornalista praticamente si mise a strillare nel microfono. Il corpo di Killian si premette leggermente contro il suo e stava per far voltare entrambi con un sorriso educato, quando il microfono tornò sulle loro facce.

    "Qual è il vostro dolce preferito da fare insieme?".

    "Cupcakes con glassa di cioccolato" Killian rispose immediatamente, i suoi occhi in quelli di lei invece che nella camera. Si perse all'istante nel ricordo di quella prima notte a casa sua. Scivolando su uno sgabello, tenendole compagnia durante la sua insonnia come se fosse la cosa più naturale del mondo.

    Ancora estranei, ma aveva già allora fatto di tutto per renderla felice nonostante tutto.

    Dalla tenerezza nei suoi occhi, non era l'unica a rivivere quella notte. Era troppo facile entrare nel ruolo della ragazza di Killian.

    Quando lo guardava, non doveva fingere l'affetto o il calore. In momenti come quello, quando ricordava le loro notti in cucina, una sorta di piacevole piacere la inondava. Non era un incarico in quei preziosi momenti - era solo un uomo che la faceva ridere, soprattutto quando pensava all'ultima lezione di glassa notturna.

    Rise di nuovo a pensarci in quel momento, realizzando tardivamente che il giornalista non le aveva staccato gli occhi di dosso, un'espressione sognante sul viso. Ciò rese Emma nervosa, ma Killian li fece allontanare un educato "Buona serata", spostando la mano sulla parte bassa della sua schiena.

    "Tutto quello a cui riuscirò a pensare ora sono i cupcakes al cioccolato, Swan" le mormorò in un orecchio mentre si muovevano davanti ai fotografi, il suo braccio che ad avvolgerle i fianchi per attirarla contro il suo petto. Si inclinò più vicino, il suo busto stretto contro il suo e la sua mano facilmente sulla sua spalla. Erano diventati bravi in quella parte, posando insieme. Era più facile di quanto avrebbe dovuto essere, il suo corpo avvolto contro il suo.

    Avrebbe dovuto sentirsi spaventata, il modo in cui i campanelli d'allarme era diventati silenziosi, più facili da ignorare. Era più difficile capire cosa ci fosse di reale tra loro e cosa no - la stava tenendo così stretta adesso per le telecamere? O stava approfittando delle telecamere per toccarla per il puro piacere di farlo? È una domanda con cui si ritrovava a lottare il più delle volte.

    Si stavano muovendo di nuovo prima che lei potesse pensarci troppo. Alcune persone si avvicinarono a Killian, alcune le aveva incontrate già, altre no. Ci furono molte frasi di in bocca al lupo per la sua nomination e lei non potè non sorridere ogni volta che i loro occhi si incontravano. Voleva che vincesse - per ottenere quella conferma che lui desiderava ardentemente, perchè la sua recitazione fosse ritenuta abbastanza buona, che fosse abbastanza bravo. Avrebbe voluto convincerlo che fosse già abbastanza bravo.

    Quando arrivarono alla sua categoria, le gli strinse la mano, le loro dita già intrecciate. Gli sorrise mentre veniva chiamato il suo nome, una clip riprodotta dal film, ma i suoi occhi rimasero fissi su di lui. Senza volerlo, senza pensare che sarebbe stato bello per le
    telecamere - aveva avuto solo bisogno di supportarlo in quello.

    Gli strinse la mano più forte mentre il presentatore apriva la busta con il nome del vincitore e, quando il suo nome venne annunciato, lei lo abbracciò, dandogli un veloce bacio. Lui rimase così sbalordito - se dal suo affetto o dalla vittoria, non potè dirlo - che dovette scuotergli delicatamente la spalla.

    "Hai vinto" gli sussurrò all'orecchio, tirandogli la mano per farlo alzare "Vai!".

    Lui le sorrise mentre si alzava, rubandole un altro bacio veloce prima di correre su per i gradini del palco. Ci volle un momento prima che la folla si zittisse ed Emma si appoggiò allo schienale della sua poltrona, sorridendo come un idiota a vederlo così felice.

    Lui ringraziò i produttori, i registi, i suoi co-protagonisti. Ringraziò la sua manager per averlo convinto ad accettare quel ruolo.

    "E, infine, voglio ringraziare la donna bellissima e straordinaria che ha scelto di credere in me in qualsiasi caso. Ti amo, Emma.

    Grazie!" fece un passo indietro dal podio e venne accompagnato nel backstage prima che Emma potesse persino elaborare le sue parole.

    Era consapevole delle telecamere - troppo consapevole - mentre manteneva il sorriso sul suo viso, un dolore acuto che la trafiggeva mentre si sforzava di non lasciare che la sua espressione si trasformasse in una di orrore. Il suo discorso le avevano fatto venire le lacrime agli occhi, squarciandola profondamente nel cuore, lasciandola nuda ed esposta in quel teatro pieno di persone.

    Perché non poteva averlo detto davvero - non erano innamorati. Sapeva che lui la voleva, la desiderava, accettando il fatto che lui volesse prendersi cura di lei. Ma stare di fronte a tutte quelle persone e dire che la amava... era troppo... dannatamente troppo.

    Dietro la sua espressione calma, le sue emozioni era una violenta tempesta, pensieri che infuriavano l'uno contro l'altro. Perché l'aveva fatto? Perché aveva dovuto ricordarglielo quel giorno - quando lei si era lasciata andare e si era sentita al sicuro nel suo tra le sue braccia, quando si erano trovati dinanzi le telecamere e aveva condiviso un pezzo della loro vita reale - che lui non la amava, che non avrebbe mai potuta amarla. Tutto quello non era reale - Emma non credeva nelle favole col principe e il lieto fine. Non era quella la sua vita, non sarebbe mai stata la sua vita. Aveva elaborato la cosa, l'aveva accettata, e poi lui aveva dovuto dire di amarla come se fosse davvero una possibilità, come se davvero il finale della sua storia potesse essere riscritto.

    Era furiosa che avesse ancora una volta oltrepassato la linea che avevano stabilito senza avvertimento. Quello era stato peggio del bacio. Il bacio era stata gelosia e orgoglio maschile: quello era un tradimento della fiducia, come se avesse preso il calore tra loro e lo avesse trasformato in un'acrobazia da pubbliche relazioni. Fu un altro promemoria che aveva perso tutto il controllo sulla sua vita e sulle sue emozioni, grazie ad alcuni schemi che lui aveva indubbiamente elaborato con Regina ma di cui non le aveva parlato.

    Il cuore le iniziò a far male, perché per una frazione di secondo, gli aveva quasi creduto, aveva voluto credere in lui.

    Rimase al suo posto il più a lungo possibile prima di fuggire in bagno. Aveva considerato di fuggire via letteralmente, ma sapeva che non poteva - una delle centinaia di telecamere l'avrebbe beccata e poi sarebbe finita su tutti i tabloid.

    Inoltre, avrebbe solo ritardato l'inevitabile: viveva a casa sua dopotutto.

    Per fortuna, le premiazioni si conclusero prima del ritorno di Killian. Alla fine la trovò in attesa su una poltroncina nell'atrio del teatro. Era stato in sala stampa e teneva il premio in mano con una profonda contentezza negli occhi che lei avrebbe voluto condividere - ma era ancora ferita e terrorizzata da quello che aveva detto su quel palco.

    "Pronta andare, tesoro?" le chiese allegramente, facendole scorrere il braccio intorno alle spalle "Ho pensato che potremmo preparare qualcosa di cioccolattoso per festeggiare".

    Lei si limitò ad annuire.

    Le sopracciglia di Killian si alzarono e, per un momento, la preoccupazione sostituì la sua felicità "Tutto bene?".

    "Sì. Queste scarpe mi stanno solo uccidendo" non era una bugia: la sua fuga in bagno aveva fatto in modo che il suo mignolo si sentisse a pezzi, ma non era esattamente tutta la verità.

    Lui ridacchiò, lasciandole un bacio sulla tempia "Puoi toglierli non appena saliamo in macchina".

    Fu un viaggio tranquillo verso casa, ma lui aveva tenuto il telefono in mano per rispondere alle chiamate e ai messaggi degli amici
    e dei sostenitori. Il premio si trovava sul sedile accanto a loro ed Emma fece del suo meglio per non fissarlo.

    Le cose stavano andando così bene. Era a suo agio con lui, con la loro amicizia, con l'avere qualcuno a cui appoggiarsi, ma lui aveva rovinato tutto. Qualunque fiducia fosse riuscita a riporre in lui era andata in frantumi di fronte al suo comportamento di quella sera.

    Non stavano insieme, non importava cosa lui dicesse. Quella sera era stato un doloroso ricordo di come stavano le cose.




    Si sollevò i capelli per permettergli di aprirle la zip del vestito mentre entravano nella sua camera da letto, in silenzio. Lo stava facendo di nuovo, le sue mani indugiarono su di lei, ma lei si allontanò senza guardarlo.

    "Vado a farmi una doccia, se non ti dispiace" disse al muro "Hanno messo un sacco di lacca nei miei capelli".

    "Certo, tesoro" la sua voce faceva trasparire un accenno di confusione, ma lei non restò abbastanza a lungo per permettergli di porle domande sulle sue spalle rigide.

    Pensò che la doccia l'avrebbe calmata, ma non fu così. Si mise a riflettere mentre l'acqua calda le scorreva a dosso, il dolore e la frustrazione si trasformarono in una rabbia ardente. Come aveva potuto? E senza nemmeno darle una spiegazione dopo averlo fatto?

    Nessun preavviso? Non avrebbe potuto semplicemente dirle "Regina dice che dobbiamo alzare la posta in gioco. Dirò al mondo intero che ti amo, stasera. Sii pronta".

    Quando chiuse l'acqua, Emma decise che lo avrebbe affrontato. Lui non poteva permettersi di complicare ulteriormente le cose tra di loro. Rimanevano altri sei mesi prima di arrivare alla loro data di scadenza e lei non poteva passare così tanto tempo a fingere di essere innamorata di lui. Una cosa era sviluppare un'amicizia, stare accanto a lui davanti alla telecamera, sorridere, baciargli la
    guancia - ma non poteva fingere l'amore. Non lo avrebbe fatto.

    Si diresse verso l'armadio, avvolta in un soffice asciugamano, evitandolo finché non fu vestita.

    Lui era sdraiato sul letto, il braccio abbandonato sugli occhi e il telefono appoggiato sul petto. La voce di Regina in sottofondo mentre lei scivolava nell'armadio e non potè fare a meno di contrarre le labbra quando si rese conto ce era in vivavoce.

    Quell'uomo poteva lavorare duramente a volte - ed essere così pigro altre.

    "Era davvero necessario?" la voce di Regina disse in modo tagliente, facilmente udibile dall'armadio, ed Emma non seppe se quelle parole fossero un sollievo o un altro chiodo nella sua bara "Qualunque siano i tuoi sentimenti verso quella donna, devi inquadrarti.

    Tieni d'occhio l'obiettivo, Jones".

    Emma sussultò, perché quello sigillava la cosa - Regina non gli aveva detto di dire le cose che aveva detto. Aveva fatto tutto da solo, non era stato necessario spingerlo o suggerirglielo.

    "I miei occhi sono puntati sul premio, Regina. Non preoccuparti per la tua graziosa testolina, tesoro. Non parlavo seriamente" la sua voce era casuale, come se le parole non significassero nulla. Il dolore la colpì in pieno ed Emma si portò una mano sulla bocca per attutire il suo respiro affannoso. Non sapeva nemmeno perché si sentisse così sconvolta, perché quella era solo una conferma - aveva già capito quella parte, no? Lei non aveva mai pensato che avesse parlato sul serio... no?

    Ma non era solo quello. Aveva passato l'intera doccia a pensare a come parlargli, a esprimere senza mezzi termini che non poteva fare progetti con Regina e tirarla dentro alla fine. Era sicura che Regina avesse organizzato tutto, che non sarebbe stata farina del suo sacco, ma le sue parole raccontavano una storia diversa.

    Lui aveva preso quella decisione. Lui era salito sul palco e aveva dichiarato di amarla, il tutto senza riferirsi mai a lei come la sua fidanzata.

    Non che lei volesse che lui fosse innamorato di lei. Aveva resistito a qualsiasi tentativo da parte sua di spingersi al di là di un'amicizia, al di là della loro volontà. Le aveva detto che gli importava di lei e lei lo aveva accettato - anche lei teneva a lui. Ma c'era un abisso tra i due termine "tenerci" e "amare". Fingere il contrario significava essere disattenti con le proprie emozioni e

    Killian era un sacco di cose, ma non aveva mai pensato che fosse dal cuore freddo.

    Non sapeva per quanto tempo fosse rimasta in mezzo all'armadio avvolta in un asciugamano, a fissare il vuoto, cercando di controllare la sua reazione alle parole che non avrebbe dovuto sentire. Non era nemmeno consapevole delle lacrime che le erano scese lungo le guance finché non sentì qualche goccia sul petto.

    Lui stava ancora parlando, ma Emma non riuscì a sentire le parole oltre il basso brontolio della sua voce. Si era persa nei suoi pensieri - non aveva diritto di essere turbata. Fingere era il loro lavoro. Lui era un attore. Niente di tutto quello è reale.

    Ma non cambiava il fatto che lei stesse soffrendo, come se il suo cuore le fosse stato strappato dal petto e fatto a pezzi davanti ai suoi occhi - che era l'esatta sensazione per cui aveva lottato così duramente per evitarla.

    Non lo sentì entrare nell'armadio, non sapeva nemmeno che fosse lì finché non sentì le punte delle sue dita cadere sulla sua spalla.

    "Emma? Stai bene, tesoro?".

    "Sto bene" non si girò verso di lui, si strinse solo di più l'asciugamano e si scostò leggermente "Ho solo bisogno di vestirmi".

    Lui non si mosse, ma lei potè sentire lo spostamento del suo peso sul tappeto.

    "Sei... sei qui da molto?".

    "Vuoi dire se ho sentito la tua conversazione con Regina?" riuscì a dire in modo piatto e freddo. Tirò fuori i vestiti dai cassetti, assemblando inconsapevolmente qualche forma di vestito per poter uscire fuori da quella stanza e lontano da lui.

    "Hai frainteso. Io...".

    "Capisco benissimo" chiuse il cassetto, afferrando dei vestiti e cercando di scansarlo "Mi vesto in bagno visto che sei ancora qui".

    "Emma!" Killian la prese per il braccio mentre lo superava e fu il puro istinto che la fece girare per guardarlo.

    Non avrebbe voluto farlo, perché nel momento in cui i loro occhi si incontrarono, non ci fu modo di nascondere che avesse pianto. Lui imprecò sottovoce, allungando la mano per tirarla più vicina, ma lei lo scostò.

    "Non c'è che mi tocchi, Killian. Non ci sono telecamere qui".

    "Non era una bugia" le disse, la voce roca, le parole che suonavano un filo disperate.

    Lei si fermò sulla soglia, la schiena dritta e le dita strette attorno allo stipite "Il vero problema è che non ho idea di cosa parli".

    "Quello che ho detto sul palco" si mise di nuovo dietro di lei, il suo palmo appoggiato delicatamente sul suo braccio. Le parole appena sussurrate e lei avrebbe voluto voltarsi, affrontarlo, guardarlo negli occhi e vedere la verità, ma lui era un attore dannatamente bravo e lei non si fidava di se stessa.

    "Non avevo intenzione di dire quelle cose. Io... sono salito su quel palco e ho guardato il pubblico e ti ho vista così felice per me. Ho capito la differenza di quando fingi per una macchina fotografica. Sei stata davvero felice questa sera. Per me. Quindi, quando ho iniziato a parlare, non ho pensato a quali parole avrei dovuto o non avrei dovuto dire. Non ho pensato alle telecamere, a Regina o a quel dannato ruolo da film. Ho solo detto cosa provavo".

    "Che mi ami".

    La sua mano scivolò lungo il suo braccio, tirandole il gomito finché non gli fu di fronte "Sono innamorato da un po' di te, Emma.

    Sicuramente lo avrai capito".

    "Hai detto a Regina che era una bugia" lei ignorò completamente la sua confessione, la sua mente incapace di fermarsi al suono di quelle parole.

    "Sì. Perché non ho avuto la possibilità di parlare con te e, francamente, non sono più affari suoi di cosa succede tra te e me in privato.

    Può dirci come comportarci ad un evento, ma che io sia maledetto se ci dice cosa fare a casa nostra".

    "Casa tua" lei sussurrò, chiudendo gli occhi mentre deglutiva a fatica, combattendo altre lacrime.

    "Emma...".

    "Non ti credo" Emma lo interruppe, lottando per tenersi sotto controllo "Questa cosa è transitoria. Lo è sempre stato. Penso che l'abbiamo dimenticato entrambi. Vado a dormire nell'altra stanza stasera, prenditi un po' di spazio. Nessuno sarà qui domani per vedere la differenza".

    Le mani di Killian si infilarono tra i suoi capelli prima che lei sapesse cosa stesse succedendo, con le spalle allo stipite della porta mentre invadeva il suo spazio, l'altra mano appoggiata sopra la sua testa. Si chinò, quasi con le labbra contro le sue mentre il calore umido del suo respiro le sfiorava la pelle.

    "A te sembra una dannata cosa di transizione questa?" la sua richiesta fu detta con un tono rauco, i suoi fianchi che la ancoravano allo stipite della porta.

    Era così vicino che lei poteva vedere ognuna delle sue folte ciglia sfiorargli le guance quando le sbatteva, le macchie di grigio nei suoi occhi. E quegli occhi... quegli occhi la stavano implorando di rispondere, ma era congelata sul posto, stringendo l'asciugamano che non faceva nulla per impedirle di sentire ogni centimetro di lui premuto contro di sè.

    "Davvero?".

    Non poteva rispondergli - non quando ogni osso del suo corpo stava urlando una risposta che non voleva riconoscere. Ma il suo autocontrollo era molto debole e il suo cuore era già accelerato per la sua vicinanza, per il pensiero che lui potesse baciarla e che lei lo voleva.

    Ma non lo fece. Si limitò a fissarla, in attesa.

    Tutto ciò che servì, fu un'inclinazione della testa e le sue labbra furono sulle sue, sguinzagliando un desiderio represso che viaggiò
    lungo la sua spina dorsale e si depositò nella parte bassa del ventre. Lui rispose in modo gentile, con un bacio aggressivo e bisognoso
    che le fece desiderare molto di più di quanto possa avere.

    Lei lo baciò, perché, dio, voleva credere a tutto quel che le aveva detto negli ultimi cinque minuti - voleva credere di poter essere più di una transazione commerciale - ma non poteva. Così, invece, si godette il sapore di lui, i muscoli sodi sotto le sue mani, il fuoco che scintillava la vita ogni volta che la toccava. Quella era la parte reale tra loro - e non si trattava di amore.

    Lo spinse via con un gemito sommesso, il cuore stretto dolorosamente in una morsa. Non poteva farlo. Non riusciva a guardarlo adesso, sapendo che ogni emozione, ogni speranza, era a nudo sul suo viso. Senza pensare a quel bacio: anche quel bacio aveva molte cose da dire, ma non riusciva a sentirlo parlare per il fragore dei suoi pensieri.

    "Non avrei dovuto... non posso..." riuscì a balbettare, allontanandosi da lui prima che potesse toccarla - se lo avesse baciato di nuovo, la sua determinazione sarebbe crollata. Aveva commesso l'errore di guardarlo negli occhi per un solo secondo e questo era già stato abbastanza grave.

    "Emma, io..." erano due semplici parole, ma lei sentì ogni supplica agonizzante, soprattutto sul suo viso: frustrazione, dolore, desiderio e la stessa dannata tenerezza che aveva visto prima, sul tappeto rosso.

    Si allontanò da lui e scivolò fuori dalla stanza, lungo il corridoio e in un'altra stanza dove passa la notte a fissare il soffitto, incapace di decidere se sperare che lui la raggiungesse o no.

    Alla fine non importava. Arrivò l'alba.

    Non la raggiunse.


    Continua...
     
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    Capitolo 12 (1° parte)



    Emma fece del suo meglio per stargli alla larga nei giorni successivi. Era strano vivere con Killian, ma senza vederlo. Conosceva il suo programma di allenamento con David. Faceva in modo intenzionalmente di uscire di casa presto e tornare solo quando sapeva che sarebbe stata altrove.

    A correre sulla spiaggia. A lezione di yoga. A leggere libri nei bar, nascondendosi dietro gli occhiali da sole con un cappello stipato sui capelli. A percorrere Runyon e i sentieri intorno Griffith Park. A cercare di esaurirsi, pregando forse che quella sera fosse abbastanza stanca da non restare sveglia a lungo, ad ascoltarlo fuori dalla sua porta nonostante si dicesse che non lo volesse lì.

    Lo stava evitando. Ma non poteva continuare così per sempre.

    Ora doveva essere con David a migliorare le sue abilità a cavallo in un ranch ad un'ora fuori città, ma lo sentì sul retro mentre entravano in casa. Le loro risate si diffondevano attraverso le finestre aperte per il caldo pomeriggio e lei ne era come attratta.

    Le mancava la risata di Killian.

    Era sudata e stanca dopo un'altra corsa sui sentieri del Griffith Park. I suoi vestiti fradici che le aderivano al corpo e probabilmente i suoi capelli erano appiccicati al viso, ma lasciò comunque cadere la borsa in cucina mentre si faceva strada verso il patio. David si sarebbe aspettato una sua apparizione, quindi era meglio levarsi il dente in quel momento. Inoltre, poteva sentire l'odore del sudore sui suoi vestiti e doveva sembrare un relitto. Poteva scappare in doccia abbastanza velocemente.

    O forse lei e Killian potevano semplicemente fare una tregua. Era estenuante evitarlo. Estenuante e difficile. Le mancava la loro vicinanza, la facilità del silenzio tra di loro, la morbidezza dei suoi occhi nel mezzo della notte.

    Le dispiaceva ammetterlo, ma le manca averlo dall'altra parte del letto, la stabilità del suo respiro mentre dormiva.

    Li trovò sulle sdraio a bordo piscina e il primo segno che notò fu la quantità di bottiglie di birra vuote sparse sul patio. David la vide per primo, offrendole un sorriso stupido e un saluto con la mano.

    "Ehi, Emma!" disse un po' troppo entusiasta e quello fu il secondo segno che le disse che non sarebbe stato un incontro simpatico.

    "Pensavo che doveste andare al ranch, oggi" disse lentamente mentre guardava Killian.

    C'era una bottiglia di rum quasi vuota accanto alla sua sedia oltre alla birra. Non era stato più ubriaco da quel primo giorno nell'ufficio di Regina, ma aveva il sospetto che quella situazione fosse cambiata.

    "'Non fidarti, Swan" le parole di Killian furono dette in modo biascicato, balbettando mentre si voltava pigramente verso di lei "Le mie più profonde scuse per aver rovinato il tuo attento programma di evitarmi" sorrise, una risata autoironica gli sfuggì mentre si appoggiava alla sedia, la testa penzoloni, gli occhi sono fissi su di lei "Anche se, visto che sei qui..." accarezzò il bordo della poltrona, come se volesse che lei si rannicchiasse con lui mentre era fradicia di sudore e lui ubriaco di rum "Forse potremmo lasciarci questa faccenda alle spalle?" la guardò maliziosamente, ma c'era qualcosa di malinconico nei suoi occhi, come se sapesse bene che non aveva alcuna possibilità che la sua richiesta venisse accettata.

    Emma lo fissò, in cerca di cosa dire. Era arrabbiata più di ogni altra cosa, arrabbiata con lui perchè la loro discussione era stata usata come una scusa per strisciare di nuovo su una bottiglia, soprattutto perché il sui primo pensiero quando aveva sentito la sua risata era stato di lasciarsi tutto alle spalle. Ma era anche così dannatamente stanca - stanca di sgattaiolare fuori casa all'alba, stanca di nascondersi nella sua camera da letto tutta la notte, troppo ostinata persino per trovare rifugio nella sua cucina per timore che lui la stesse aspettando.

    Era stanca di sentire la sua mancanza e di combattere contro quel fatto.

    "L’istruttore ha subito una brutta caduta e ha preso qualche giorno di riposo" disse David quando il silenzio divenne insopportabile, aggrottando la fronte verso Killian prima di voltarsi verso Emma "La madre di Mary Margaret è in città e ha Leo per il pomeriggio, quindi... ma posso andarmene se...".

    "No" lo interruppe Emma, senza preoccuparsi di nascondere la stanchezza nella sua voce. Le sue speranze di una tregua erano già svanite e non erano nemmeno più arrabbiate - solo delusa "Resta. Gli hai permesso di ridursi così. Ora te lo gestisci tu. Io non ne ho intenzione oggi".

    David sussultò, offrendole un mezzo sorriso di scuse "Stava già bevendo rum quando mi ha chiamato. La questione era unirsi a lui o lasciarlo solo davanti ad una piscina in cui annegare. Mi è sembrato meglio tenerlo d'occhio".

    "Non ho bisogno di una badante, Dave" il fatto che per poco non avesse lasciato cadere la bottiglia di rum era in netto contrasto con la sua protesta biascicata ed Emma non potè fare a meno di sospirare "Sto beeeeeeene".

    Ovviamente stava tutt'altro che bene, ma Emma non poteva gestirlo in quel modo. Se aveva intenzione di parlare con lei di quello che era successo, se lei avesse avuto intenzione di discutere di sentimenti, sarebbe stato dannatamente meglio che lui fosse stato sobrio.

    Il sopracciglio alzato di David sembrò un'accusa e quella fi l'ultima goccia. Non poteva restare su quel patio con loro ancora un altro momento. Il suo cuore si stava già addolcendo verso Killian, qualcosa innegabilmente triste nelle sue spalle curve e negli occhi vitrei.

    Girò sui tacchi, scappando in casa e afferrando il borsone dal bancone. Non poteva restare in casa, sapendo che loro erano fuori - una doccia veloce e poi sarebbe uscita di nuovo. Non era nemmeno sicura di dove andare, ma anche se quella notte avesse dormito in macchina, era una soluzione migliore di sottoporsi a quello.

    Le parole di Regina echeggiarono nella sua mente mentre si precipitava sotto la doccia, quasi come una inquietante prefigurazione: ”Quando lui si comporterà male - e stia certa, signorina Swan, non può evitarlo”.

    Ma il fatto era che non si era comportato male. Era stato affascinante e dolce e premuroso. I loro problemi erano di un altro tipo, il suo comportamento non era male, ma non era quello che avevano concordato. Un'altra donna, molte altre donne, sarebbero state più che felici del comportamento di Killian fino al festival del drink di quel pomeriggio.

    ’Ha detto che mi ama e me ne sono andata’.

    Emma gemette di frustrazione, sbattendo il pugno contro il muro piastrellato mentre l'acqua scorreva su di lei. Aveva anche il diritto di essere arrabbiata con lui? Non era colpa sua, in un certo senso? Era innegabile che lui riuscisse a gestire il liquore senza problemi da quando avevano iniziato quella farsa, ma qualcosa era cambiato in lui quando lei si era allontanata l'altra notte.

    L'uomo nel patio era distrutto - ed era stata lei a ridurlo così.

    Ma non era solo colpa di lei, era anche sua. Questo non era ciò che avevano concordato. Emma non aveva firmato per innamorarsi di qualcuno. Lei non amava più, non dopo come era finita l'ultima volta. Non che lui lo sapesse. Non che lui lo avrebbe mai saputo.




    Con la quantità di rum e birra che aveva dovuto bere quel pomeriggio, non sapeva molto tranne che era più innamorato di lei che mai.

    "Di che diavolo parlavi?" chiese David mentre Emma scompariva di nuovo in casa, Killian incapace di impedire a se stesso di fissarla.

    Killian alzò le spalle alla domanda di David, allungando ancora una volta la mano alla cieca per prendere la bottiglia di rum. Le sue dita goffe mentre la individuavano, quasi facendola cadere prima che fosse in grado di stabilizzare la presa e portare la bottiglia alle sue labbra.

    Quella dannata donna non aveva lasciato i suoi pensieri per un solo momento da quando si era allontanata da lui. Lo perseguitava nelle sue ore di veglia, il ricordo del suo corpo caldo modellato al suo, il guardarla negli occhi proprio prima che le sue labbra sfiorassero così dolcemente le proprie. Era stato così sicuro in quei secondi preziosi di aver avuto ragione - che alla fine l'aveva convinta a cedere.

    Ma non poteva dimenticare il gemito torturato che aveva emesso mentre lo respingeva, il terrore dentro i suoi occhi mentre scappava. Era il motivo per cui non l'aveva pressata; aveva imparato gli stati d'animo di Emma. Lei sarebbe ritornata da sola - qualsiasi tentativo di costringerla probabilmente avrebbe fatto più male che bene.

    Quindi si era rivolto ad un vecchio amico, sperando di intorpidire la solitudine finché le paure di Emma non si fossero placate abbastanza per farle ricordare che lui non era il nemico.

    "Non ho idea di cosa fare con quella donna. È la più testarda... ma mi piace così. Amo lei, i suoi maledetti cupcakes e il modo in cui mi guarda quando si è appena svegliata. Ha iniziato a dormire in un'altra stanza, sai. Si rinchiude per la notte e non fa niente da giorni e non so nemmeno se sta mangiando bene, ma quando la spingi… lei respinge… e io..." si fermò, la sua mente riprese lentamente il suo divagare ubriaco.

    David sorseggiava la sua birra, osservando Killian con uno sguardo che aveva usato troppe volte. "Siete...? Io pensavo che le cose andassero bene tra voi. L'altra notte…".

    La risata di Killian era priva di senso dell'umorismo. L'altra notte. L'altra notte era il motivo per cui si trovavano in quel casino, perché era seduto nel suo patio con David che beveva fino ad uno stato di torpore piuttosto che fare gli stupidi cupcakes con Emma. Voleva solo esserle vicino, vederla sorridere, cogliere il profumo del suo shampoo.

    Guardando verso la casa, chiedendosi se lei fosse ancora dentro o se fosse uscita di nuovo. Gli venne mezza idea di alzarsi dalla poltrona e andare a scoprirlo, ma l'irritazione nei suoi occhi era stato un segno sicuro che avrebbe solo peggiorato le cose nel suo stato attuale.

    Era andata via molte volte da quella notte dopo la premiazione. Aveva pensato alla sua vita prima come vuota - ora era un deserto desolato e una vastità di solitudine.

    "È tutto un gran casino. Non ho idea di come ripararlo e lei n nemmeno mi parla. La conversazione di oggi è stata più di quanto avessimo mai avuto in giorni" fece un altro sorso dalla bottiglia, appoggiandosi allo schienale della sedia e chiudendo gli occhi. Il sole era caldo sul suo viso e sulle braccia e aveva bevuto abbastanza da potersi addormentare anche così.

    A Emma sarebbe sembrato divertente, trovarlo nel patio all'alba, svenuto su una poltrona. Almeno si sarebbe divertita per qualcosa con lui.

    "Che c’è?" David lo stava osservando attentamente ora e Killian pensò con un sordo senso di orrore di aver detto l'ultima parte ad alta voce "È questo il problema? Le hai detto che l'amavi e lei non ha risposto?".

    Killian trovò la domanda di David divertente per qualche motivo e rise "Ripetilo" mormorò tra le risate, le dita strette attorno alla bottiglia mentre cercava di calmarsi "Certo che non l'ha detto. Non avrei nemmeno dovuto dirlo in primo luogo” guardò accigliato l'acqua della piscina, incontaminata e di un blu intenso sotto il cielo limpido.

    Non sapeva nemmeno cosa l’avesse spinto a dirlo. Oh, era innamorato di lei – lo era da mesi. Diavolo, era mezzo innamorato di lei dalla prima notte che avevano passato nella sua casa, i capelli disordinati e la luce del fuoco che avevano ammorbidito i suoi zigomi. Ma lui lo sapeva – sapeva che Emma si spaventava facilmente e aveva comunque aperto quella sua dannata bocca e...

    "Non avresti dovuto dirle che la ami?".

    "Non avrei dovuto fare molte cose che ho fatto" non avrebbe dovuto baciarla dopo che Graham lo aveva reso così geloso che non era riuscito a pensare ad altro; non avrebbe dovuto dire quello che aveva detto a Regina senza parlarle prima "Un uomo vuole quello che vuole, amico, che dovrebbe o meno”.

    Da qualche parte nelle profondità del suo cervello intriso di rum, gli venne in mente che avrebbe dovuto stare zitto. Aveva già detto troppo - ma era David. David, che lo aveva visto durante molti giorni bui.

    "Stai farneticando".

    "Bevi dell'altro rum, Dave" Killian gli porse la bottiglia, il suo umore che si oscurava ulteriormente. Parlare del problema significava solo soffermarsi su di esso, su vecchi ricordi che si intrecciavano con quelli recenti che gli laceravano l’anima "Ha molto più senso con il rum. Beh, non è del tutto vero. Ma il rum migliora la capacità di non preoccuparsi del buon senso".

    David sospirò mentre prendeva il rum offerto "Non gliel'hai detto prima di dirlo a tutto il mondo o qualcosa del genere?”.

    Killian si limitò a scrollare le spalle, la belligeranza del liquore che si affermava ancora una volta. Allungò una mano, notando l'esitazione di David a restituire la bottiglia "Dammi qui. Abbiamo superato da molto la parte in cui mi istruisci sulla viltà del bere”.

    David alzò gli occhi al cielo, ma gli restituì la bottiglia. Killian sprofondò nella sua sedia, il bruciore del liquore lo registrò a malapena mentre beveva a occhi chiusi. Era la stessa tortura ogni volta - dietro le sue palpebre, Emma lo aspettava, le labbra gonfie dai loro baci, gli occhi scintillanti di lussuria.

    "Come vi siete conosciuti tu ed Emma?".

    Killian si sforzò di riaprire gli occhi, accigliandosi per quella strana domanda "Inizi a dare i primi segni di senilità, amico. Abbiamo raccontato questa storia cento volte. Regina ci ha presentati" era la verità, in un certo senso.

    "La tua manager ti ha fatto conoscere una ragazza fuori dal settore che era solita scovare criminali? Come l'ha incontrata Regina?”.

    "Non lo so. Ha suggerito che io e Emma saremmo potuti andare d'accordo e aveva ragione. La maggior parte delle volte” aggiunse cupo, guardando da sopra la spalla la casa silenziosa. Avrebbe voluto poterla raggiungere, avrebbe voluto poter trovare un modo per tornare dove erano su quel tappeto rosso, quando Emma aveva appena distolto gli occhi da lui, quando lo aveva baciato senza avere nessun altro motivo per farlo, ma solo perché lo aveva voluto.

    Quando sembrava che potesse resistere ancora un po', quando Emma sarebbe stata sua - per davvero.

    "Non avresti dovuto dirle che la ami perché non dovresti avere alcun reale sentimento per lei?”.

    Killian non rispose subito, fissando la piscina come se magicamente potesse dargli una soluzione. Il rum aveva annebbiato i suoi pensieri, ma temeva che David sospettasse la verità dietro il suo rapporto con Emma. Poteva confermarlo, rivelando non solo il suo segreto, ma anche quello di Emma, magari tradendo ulteriormente la sua fiducia - oppure poteva mentire al suo migliore amico.

    David afferrò la bottiglia di rum e Killian non lo fermo. Fissò semplicemente l'uomo, volendogli far capire che non c'era nessuna risposta possibile che Killian potesse offrirgli.

    "Non importa come sia iniziata" disse alla fine David e il sollievo travolse Killian - non avrebbe dovuto mentire "La situazione è cambiata. Sei un idiota se pensi che a quella donna non importi di voi. Dimentichi che ti conosco da molto tempo, Killian - ho visto come la guardi. E come lei guarda te. Devi sistemare la cosa" appoggiò la testa contro la poltrona, come se fosse in qualche modo così semplice.

    "E come pensi che possa farlo?" Killian ignorò il resto, il bagliore della speranza che si faceva spazio attraverso il suo dolore al petto. Sapeva che Emma lo aveva a cuore – l’aveva visto nei suoi occhi - ma era un uomo avido.

    Non voleva solo che lo avesse a cuore; voleva che ricambiasse il suo sentimento. Anche se non era sicuro di meritare il suo amore.

    David alzò le spalle, voltando il viso verso il sole "La conosci meglio di me, ma suppongo che tu debba iniziare con il rimetterti in carreggiata. Non sembrava particolarmente entusiasta del rum, quindi magari prova una conversazione sobria”.

    "Sei un vero bastardo, Dave" per vero bastardo, Killian intendeva che aveva ragione, ma non aveva molta voglia di ammetterlo quando aveva già detto più del dovuto. Fece un altro sorso di rum dando un'occhiataccia a David "Il tuo consiglio non è tempestivo”.

    "Ehi, ho provato a fermarti ore fa".

    David rimase per un'altra ora prima di tornare a casa, lasciando Killian da solo nel patio a contemplare la sua prossima mossa.

    Aveva detto ad Emma che le avrebbe dimostrato il suo valore, per farle credere che non l'avrebbe rovinata, ma tutto sembrava peggiorare le cose. Era già abbastanza brutto che l’avesse fatta sentire sgradita a casa sua quando ci viveva. Avrebbe dovuto evitare di ubriacarsi, ma il rum era un conforto familiare, anche se il suo gradito intorpidimento non era riuscito a cancellare completamente il suo senso di colpa.

    Gli ultimi giorni avevano solo acuito la sua realizzazione di quanto fosse disperatamente innamorato di lei. Gli mancava lei nel loro letto, il che la diceva lunga visto che non era successo niente tra loro se non dormire. Gli mancava il suono dolce del suo respiro, il profumo dei suoi capelli sui cuscini. Gli mancava svegliarsi nel mezzo della notte per trovarla non a letto, ma in cucina, che risplendeva della sua energia mentre zucchero, farina e burro si trasformavano in dolci che rivelavano una piccola parte della sua anima.

    Voleva tornare a quel momento della premiazione, subito prima di dire che l'amava, quando lei era felice e gli sorrideva - quando si era addolcita verso di lui, affettuosa, e si era messa a raccontare a un giornalista della loro routine di mezzanotte con un affetto così genuino che si era fatto violenza per non baciarla lì.

    Eppure, in qualche modo, aveva rovinato tutto.

    David aveva ragione. Aveva bisogno di sistemare le cose.

    Un'ispezione della casa e del vialetto gli rivelò che lei era sicuramente fuggita di nuovo e sospirò, stendendosi sul divano ad aspettarla. Sarebbe stato più facile sentirla entrare da lì che dal patio, ma mentre aspettava, il potere del liquore lo trascinò in un sonno profondo.


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    Capitolo 12 (2° parte)


    La casa era immersa nelle lunghe ombre del sole calante quando si svegliò, la testa pulsante e la bocca secca, ma apparentemente sobrio.

    Prese un'aspirina con un bicchiere d'acqua e controllò il vialetto.

    Emma non era tornata.

    Imprecando contro se stesso, tirò fuori il telefonino e cercò di chiamarla, ma gli rispose subito la segreteria prima ancora che iniziasse a squillare. Perplesso, riattaccò e fissò il telefono che aveva in mano.

    Non era da Emma spegnere il telefono e non c’erano molti luoghi in zona senza ricezione buona... anche se in mente gliene venne uno.

    Pregando di avere ragione, afferrò le chiavi della macchina e uscì. Seguì le strade tortuose dell'autostrada, finché non raggiunge il belvedere, dove l’aveva portata la loro prima notte da soli insieme. Era un azzardo, ma pregò che la sua intuizione fosse giusta mentre svoltava l'ultima curva.

    La vide sul cofano della macchina, le ginocchia al petto e il mento appoggiato sulle braccia, gli occhi all'orizzonte mentre il sole tramontava sempre più in basso nel cielo. C'era una brezza lassù e doveva avere freddo con solo la sua canottiera, ma si muoveva a malapena, solo i suoi capelli che le fluttuavano intorno nel vento.

    "Come facevi a sapere che ero qui?" gli chiese quando lui scese dall'auto, senza voltarsi a guardarlo.

    Non indossava gli occhiali da sole e un altro pezzo del cuore di lui si spezzò nel vedere i suoi occhi rossi di pianto. La sua voce era piatta, priva di emozioni, ma riuscì comunque a sentire la tensione delle lacrime.

    Alzò le spalle, mettendosi accanto a lei "So essere abbastanza perspicace”.

    "Spero che tu non sia ancora ubriaco" c'era un pizzico di irritazione nelle sue parole, ma più di ogni altra cosa, sembrava stanza come se non avesse dormito da giorni.

    "Non lo sono" disse piano, infilando le mani in tasca mentre le si avvicinava.

    Stettero in silenzio, ma lei non protestò quando lui scivolò sul cofano della macchina con lei dopo un minuto. Esitò un altro lungo momento prima di avvolgerla con un braccio sulle spalle, tirandola più vicino finché la sua testa non si poggiò sulla sua spalla "Mi dispiace" Killian disse dolcemente, il pollice che le accarezzava la pelle esposta del braccio "Per tutto”.

    "Anche a me”.

    Dopodiché non parlarono più, guardando il sole che tramontava nel suo riposo notturno, tingendo il cielo di arancione e rosa. Era la calma prima della tempesta - non era così sciocco da pensare che quello fosse la fine del problema. Ma Emma si rannicchiò più vicino e lui assaporò il suo profumo, il calore del suo braccio intorno alla sua pelle gelata.

    Non importava se glielo stesse permettendo solo perché erano in pubblico, o qualunque fosse la ragione per cui avesse deciso di essere affettuosa per quei pochi preziosi minuti. Non aveva intenzione di metterlo in dubbio.

    Quando calò l'oscurità, lui fu restio a muoversi, ma stava facendo più freddo e poteva sentire Emma rabbrividire. Avrebbe voluto rimanere in quello spazio di tempo per sempre, lei rannicchiata contro di lui, stretta tra le sue braccia e una tranquilla pace tra loro - ma non poteva "Andiamo a casa, tesoro" disse dolcemente, appena un sussurro nel suo orecchio "Dovremmo parlare”.

    Scese dalla macchina, trascinandola con sé, ma non riuscì a lasciarla andare subito. Invece, la prese tra le sue braccia, abbracciandola stretta mentre appoggiava una guancia contro i suoi capelli. Non si aspetta che glielo avrebbe permesso, ma lei non disse nulla, i suoi palmi scivolarono sul suo petto.

    Per un breve secondo, pensò che lo avrebbe baciato, il suo corpo premuto vicino al suo, ma quando si spostò indietro per guardarla, il suo sguardo era concentrato da qualche parte dietro di lui.

    "Ci vediamo a casa?" non voleva suonare come una domanda mentre la rilasciava, nervosamente, facendo roteare la chiave della macchina nel palmo della mano.

    Lei annuì, tornando alla sua macchina senza dire una parola. La seguì a casa, ma una volta che la porta d'ingresso si chiuse alle loro spalle, non sapeva da dove cominciare.

    "Accendo il caminetto?" disse per tergiversare e lei lo sapeva. Ma non protestò nemmeno allora, lo seguì solo in soggiorno e si mise comoda sul divano mentre lui si occupava del camino.

    Non potè fare a meno di guardarlo. C'era una grazia in lui - era stata una delle cose da cui era sempre stata attratta. Ma mentre lui si raddrizzava e i loro occhi si incontravano, vide una fiammata di frustrazione che rispecchiava la sua.

    "Ho bisogno di chiarire una cosa, Swan. In precedenza, quando ho detto che mi dispiaceva per tutto questo, non era tutta la verità della questione. Non mi dispiace di amarti. Devi capirlo, qualunque cosa succeda dopo" le parole furono feroci e basse, praticamente un ringhio, ed Emma voleva davvero credergli, ma era ancora così frustrata che avesse rovinato ciò che avevano - ciò che era buono.

    Era una delle tante bugie che si era detta quel giorno riguardo ai suoi sentimenti per Killian.

    "Non puoi amarmi. Non... Killian, tu non mi conosci. Non proprio. Conosci una versione di me che sono stata pagata per mettere insieme”.

    "Lo so. Capisco benissimo che non mi hai detto tutto, ma mi hai detto abbastanza. Non sei così abile a prendermi in giro come credi, tesoro. A volte, sei un po' un libro aperto”.

    Qualunque fosse la pace che esisteva tra loro, era andata in cenere. La rabbia di Emma aumentò mentre la stanza diventava emotivamente carica, le spalle di Killian si irrigidirono. Come osava provare a dirle come si sentisse - solo perché lei gli aveva detto alcuni piccoli pezzi di sé, non significava che in qualche modo capisse come era stata la sua vita, che lui la conoscesse. Non importava che lui avesse cambiato le regole senza preavviso, facendo dichiarazioni con cui non vedeva ancora alcun problema.

    Killian non si mosse dal suo posto vicino al fuoco e nemmeno lei sul divano, ma nessuno dei due fece un passo verso l'altro.

    "Bene" Emma disse, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi allo schienale "Allora dimmelo tu, visto che sono un libro così aperto. Dimmi tu chi sono”.

    I suoi occhi si restrinsero, ma non esitò "Sei terrorizzata. Venivi da una vita che ha raschiato di spezzarti, ma sei rimasta in piedi e non ti fidi di nessuno, soprattutto dopo che l'ultimo bastardo ti ha spezzato il cuore. Di certo non hai mai pensato di fidarti di me. Hai accettato l'offerta di Regina perché volevi smetterla di dover lottare per sopravvivere, ma proprio come me, molto più di quanto mi aspettassi con te, hai ottenuto più di quanto ti aspettassi con me. Ti sono entrato dentro e non puoi sopportarlo. Quindi, piuttosto che accettare ciò che c'è tra noi come una cosa buona, mi stai voltando le spalle prima che possa farlo io, soprattutto quando le cose hanno cominciata a sembrarti un po' troppo reali” disse con una intensità tranquilla e gli occhi di lui non lasciarono mai i suoi.

    Il battito di Emma accelerò, crescendo più velocemente più a lungo che lui parlava, le parole che non voleva sentire uscire dalla sua bocca perché erano tutte vere. Non voleva credere che potesse conoscerla così bene, poteva leggerla facilmente come diceva, ma vederlo davvero cobn le sue parole era uno shock.

    "Non sono nemmeno più la mia persona" ribattè con amarezza piuttosto che affrontare qualsiasi cosa le avesse detto "Appartengo a te e Regina, ricordi? Non ho lavoro se non farti sembrare bello. Sono una fidanzata solidale. È il mio lavoro. Vado a yoga. Vado in spiaggia. Esisto per renderti felice. È estenuante e non è una relazione e sicuramente non è amore. L'amore è un'arma e una maledizione e una debolezza. Questo?" alzò le mani, facendo un gesto per la stanza “Questo è un accordo d'affari”.

    "Credo che abbiamo già trattato l'argomento degli accordi d’affari. Non accettiamo bugie, Swan”.

    "Hai ragione. È più di un accordo d'affari, o lo era. Eravamo amici. E poi tu sei salito su quel palco e hai rovinato tutto, dicendo...”.

    "Dicendo che ti amo" la interruppe, la sua voce che si alzava mentre il suo temperamento divampava "Maledizione, Emma. Cosa vuoi da me? Costringerò Regina a strappare quel fottuto contratto, se ti può servire, se ti farà credere che ho smesso da tempo di pensare a te come a un mezzo per un fine”.

    "Voglio che le cose tornino come erano prima!" Emma ignorò l'ondata di speranza che la sua offerta portava, la tentazione di cedere alle sue promesse e alle sue parole era più alta che mai. Sarebbe così facile dirgli di sì, dirgli di dimostrarglielo, di chiamare subito Regina, ma lei ancora non gli credeva.

    "Come erano prima? Intendi quando eravamo felici e ti dicevi che eravamo immobili, fingendo, ma in realtà non era così? Io non sono stupido. Ho imparato la differenza tra quando agisci come pensi che dovresti e quando sei solo te stessa. Sono tuo tanto quanto tu sei mia da tempo".

    "Appartengo a me stessa!".

    "Per l'amor del cielo, Emma! Perché deve essere sempre una battaglia con te?" si strofinò i palmi sulla faccia e lei non voleva preoccuparsi così tanto delle sue emozioni, avvolte nelle sue frustrazioni e nelle paure, ma quella vista faceva male, perché ancora una volta gli stava facendo questo.

    "Sono esausta" disse infine, massaggiandosi le tempie con la punta delle dita "É estenuante, evitarti, cercare di starti lontano. Non voglio più farlo. Quindi voglio fermarmi. Ma ho bisogno che tu la smetta di far passare questa cose più di quello che è”.

    "Ho bisogno che tu la smetta di renderla meno di quello che è" Killian sospirò, finalmente attraversando la stanza e sedendosi accanto a lei sul divano "Smetterò di dirlo, se ti mette a disagio, ma non cambierà quello che provo per te” poteva sentire il peso del suo sguardo, ma nascosta in un angolo del divano com'era, le braccia avvolte in modo protettivo intorno alle ginocchia, si rifiutava di alzare lo sguardo.

    Il dolore e il desiderio nella sua voce erano già abbastanza gravi senza vederli riflessi nei suoi occhi "Non cambierà nemmeno i tuoi sentimenti per me" lui aggiunse dolcemente, guardandola mentre lo diceva.

    "Lo so" Emma sussurrò, i suoi occhi che si alzarono per fissare la luce del fuoco. Non poteva guardarlo, ma non si oppose mentre lui si avvicinava. I suoi occhi si chiusero mentre lui la prendeva tra le braccia, facendo scorrere le sue dita lungo la sua schiena con movimenti rilassanti. Si disse che non era sollievo ciò che le fece rilassare le spalle, che essere avvolta in lui in quel modo non era come tornare a casa, ma non si mosse, la sua guancia premuta contro il suo petto.

    Non passò molto tempo prima che Emma si addormentasse, il battito del suo cuore profondo nel suo orecchio.


    Continua…
     
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    Capitolo 13 (1° Parte)



    "Emma?" Killian sussurrò il suo nome nel silenzio della stanza, spostando il suo peso abbastanza da toccarla leggermente, ma lei non rispose. Non si aspettava in realtà che lo facesse - era passato del tempo da quando il suo corpo si era abbandonato contro di lui, addormentandosi rapidamente.

    Sospirò, appoggiandosi allo schienale del divano, attento a non disturbarla. Quella Emma, addormentata tra le sue braccia, pacifica nonostante le ombre scure sotto i suoi occhi, quella era la donna che desiderava vedere più spesso. Aveva le sue ragioni, e lui lo sapeva benissimo, ma lei insisteva nell’indossare quella maschera insiste perché nascondesse al mondo quel calore che sapeva esserci nel suo cuore.

    I suoi capelli le cadevano sulla schiena in un groviglio di riccioli, le sue dita si attorcigliarono nelle ciocche setose. Non riusciva a smettere di toccarla, avendo bisogno di sentire la scossa della connessione tra loro. Le aveva detto di amarla - ancora una volta – le aveva detto che la sua testardaggine e la sua paura non ler permettevano di ricambiare i suoi sentimenti.

    Lei aveva detto che lo sapeva maledettamente bene.

    Non era proprio quello che avrebbe voluto sentire. Ma lei non aveva resistito quando l’aveva spinta contro di sè. Non era sicuro da quanto tempo fossero lì sul divano, ma le azioni di Emma dicevano molto di più di quanto potesse mai permettersi di dire a parole.

    Quando il sonno iniziò a reclamarlo, si costrinse a tenere gli occhi aperti. Per quanto desiderasse stare lì con lei, non potevano rimanere a dormire così sul divano - e non c'era motivo per non continuare in un letto perfettamente comodo in fondo al corridoio.

    Le sue sopracciglia si aggrottarono mentre pensava alla sua prossima mossa, abbassando lo sguardo sulla donna tra le sue braccia. Emma non aveva detto nulla sul ritornare a letto, ma non sopportava il pensiero di vederla passare un'altra notte lontano da lui. Forse era egoista, ma quella notte aveva bisogno di lei. E vista con quanta facilità si era addormentata tra le sue braccia, sospettava che anche lei potesse aver bisogno di lui - anche se era dannatamente testarda a dirlo.

    Aveva detto che era stanca di litigare, Killian pensò, avvolgendole un braccio intorno alla schiena. Emma borbottò qualcosa di inintelligibile nel sonno, poi si strofinò contro il suo petto mentre lui la prendeva in braccio, ma lei non si svegliò.

    Voleva rimettere a posto i cuscini. Conosceva le regole di Emma e stava provando a darle tutto lo spazio di cui aveva bisogno per sentirsi a suo agio. Ma quando la poggiò sul letto, lei allungò una mano verso di lui e lui non potè dirle di no.

    Non importava se stesse dormendo, o se fosse anche mezza addormentata. Non poteva resistere a quella sua richiesta. Così, invece di innalzare un altro muro tra di loro, si prese solo del tempo per togliersi la camicia e cambiarsi i jeans prima di raggiungerla a letto.

    Si disse che quello era abbastanza, il calore di lei sotto le lenzuola senza la barriera di cuscini, che non aveva bisogno di averla tra le braccia, non importava quanto ardentemente lo desiderasse. Ma quando lei lo cercò, allungando la mano sul letto nel sonno, quando si rilassò sotto il suo tocco incerto, sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza.




    Emma era semicosciente quando si accorse del braccio di Killian pesante sulla sua vita, il suo petto premuti contro la schiena. Nonostante le coperte che le si erano attorcigliate sui fianchi, non aveva freddo sotto l'aria condizionata - Killian era come una fornace accanto a lei, il petto nudo che bruciava attraverso la sua canotta sottile. Non aprì subito gli occhi, la sua mente ancora confusa dal sonno, la sua vicinanza quasi travolgente.

    Non ricordava di essere andata a letto la scorsa notte.

    ’Devo essermi addormentata’.

    E in qualche modo erano finiti... lì.

    Quando sbatte le palpebre, vide la pila di cuscini sul pavimento, la solita armatura contro di lui messa da parte. Era tornata nel suo letto, il che non avrebbe dovuto sorprenderla di trovarlo avvolto intorno a lei, ma sembrava come se fossero passate settimane da quando era stata lì - e non gli aveva dato il permesso di riportarla indietro. E voleva essere arrabbiata – lui sapeva come lei la pensava su quello - ma sembrava come se non riuscisse a evocare quell'emozione.

    C’erano troppe altre cose in ballo. L'abbraccio di Killian era accogliente, tenero e sicuro. Le piaceva essere di nuovo nel suo letto. Non riusciva a ricordare l'ultima volta che qualcuno le avesse dato quel senso di sicurezza che offriva il suo tocco sotto le coperte.

    Solo che non era del tutto vero: Killian lo faceva da mesi.

    Aveva avuto ragione la sera prima. Ignorare l'attrazione tra di loro non avrebbe scacciato via le emozioni che stava provando così faticosamente di zittire - non glielo facevano desiderare di meno. Se avesse lasciato carta bianca al suo cuore, sarebbe rimasta lì per sempre.

    Emma aveva passato gli ultimi vent'anni a imparare che seguire il proprio cuore era un modo sicuro per finire più a pezzi di quanto avesse iniziato. Quella mattina - questa mattina, la sera prima, gli ultimi sei mesi – non avrebbe cambiato nulla.

    Il mormorio assonnato che gli sfuggì dalle labbra mentre lei si allontanava, fu quasi sufficiente per farle cambiare idea. Si bloccò, ma la sua mano era ancora un peso morto sulla sua schiena, quindi riprese a scivolare via dal letto.




    Un'ora dopo, Killian entrò in cucina, spalancando gli occhi davanti alla varietà di frittelle, pancetta, patatine fritte e uova fatte in casa che Emma aveva preparato. Se si era fatto un'opinione sul motivo per cui Emma avesse scelto quel giorno tra tutti i giorni per fare una colazione stravagante, la tenne per sé.

    Lei gli mise una tazza di caffè tra le mani, supplicandolo silenziosamente con gli occhi di sedersi e fare colazione senza parlare di quello che era successo nelle ultime ventiquattr'ore. E se era perché riusciva davvero a capirla così bene, o perchè l'universo era dalla sua parte per una volta, fu esattamente ciò che lui fece.

    Emma tirò un sospiro di sollievo e cercò di mantenere al minimo le tensioni persistenti. Finse di non notare il peso dello sguardo di lui mentre si muoveva per la cucina, le domande per cui era troppo gentile per chiederle evidenti nei suoi occhi.

    Fu una giornata tranquilla. Non uscirono di casa e parlarono a malapena, ma non ci fu il silenzio pesante degli ultimi giorni. Quello era un silenzio facile, dove poteva sedersi accanto a lei mentre sfogliava le notizie del settimanale “Variety” e alzare lo sguardo con un sorriso dolce quando lei lo guardava.

    Si disse che non le sarebbe mancato quando sarebbe andato via, poco dopo le 18:00, per un servizio fotografico in centro.

    Ne avevano parlato poche settimane prima – un servizio su un tetto per la promozione della macchina di Regina. Lui sembrava riluttante ad andarsene, bighellonando in cucina con lei, ma lei si sforzò di sorridere e gli disse che avrebbe fatto tardi.

    Si disse che il suo cuore non aveva battuto più forte quando lui le sfiorò i capelli con un bacio, dicendole di non aspettarlo perché le riprese probabilmente sarebbero terminate a tarda notte.

    Disse a se stessa che non stava perdendo tempo fino a tarda ora, aggirandosi vicino al fuoco sul patio, cercando di sentire il rumore della sua macchina nel vialetto. Ma alla fine, quasi all’alba, Emma andò a letto.

    Si disse che era troppo stanca per impilare i cuscini, che lo avrebbe fatto prima della sua venuta a letto, ma iniziò a svegliarsi appena prima dell'alba per trovare il ginocchio di lui incastrato tra le sue gambe.

    Era rannicchiato intorno a lei, il suo respiro caldo sulla sua spalla, ma lei non feve altro che rannicchiarsi più vicino prima che il sonno la reclamasse ancora una volta.

    Era abbastanza sicura che stesse fingendo di dormire quando si svegliò poche ore dopo, i suoi respiri un po' troppo irregolari per essere naturali. Si irrigidì quando si rese conto di quanto fossero vicini, l'intera linea del suo corpo premuta contro la sua e lei tese le spalle per creare un po' di spazio tra loro. Non servì a molto, il calore della sua pelle ancora troppo vicino.

    Perché quell’uomo non poteva indossare una maglietta a letto per una volta nella sua vita?

    Ma la distrazione della pelle di Killian contro la sua dove la maglia si era alzata non cambiò il peso di quel momento, aggrovigliati l'uno nell'altro - di nuovo. Per qualcuno che non voleva dare a quell'uomo falsa speranza o segnali contrastanti, stava facendo un lavoro terribilmente schifoso per mantenere le distanze. Eppure, nello spazio tra l'addormentarsi tra le sue braccia sul divano e quella mattina, lei non aveva voglia di mantenere le distanze. Era davvero così brutto cedere al conforto del suo tocco? Dormire in quel modo non doveva significare che era pronta a donarsi a lui. Stavano a malapena dormendo. Giusto?

    Giusto.

    Lui restò a letto mentre Emma si alzava, andava a fare una nuotata e si metteva a preparare le focaccine. Non poteva cucinare cupcakes per sempre e nonostante le sue assicurazioni che i cupcakes costituissero un'ottima colazione, lei non gli credeva. Inoltre, non faceva da tempo le focaccine e quel compito le dava qualcosa su cui concentrarsi rispetto a tutti i suoi pensieri su Killian.

    Di certo non stava sorridendo tra sè mentre faceva cadere delle gocce di cioccolato nella pastella. I suoi occhi non si trascinarono verso la camera da letto per quello stesso strano calore che si insinuava nel suo petto quando pensava a lui.

    Non fu fino a quando non si mise a sonnecchiare mentre guardava la tv quella sera e lui le suggerì di andare a letto che realizzò la scelta che doveva fare. La prima notte l’aveva riportata a letto, Killian aveva decise di non mettere i cuscini, non che lei avesse protestato la mattina dopo. Fu davvero una sorpresa che avesse fatto la stessa scelta la seconda notte, quando lei non era del tutto propensa all'idea di riprendendo il loro accordo preliminare? Non che lei si fosse presa la briga di mettere i cuscini sul letto - e non poteva negare che il suo primo pensiero di trovarlo così vicino ancora una volta era stato positivo.

    Quella notte era troppo sveglia per nascondersi dietro qualsiasi apparenza di dimenticanza o scelta non intenzionale. Poteva impilare di nuovo quei dannati cuscini tra di loro, oppure poteva accettare quel cambiamento nella loro relazione. Il suo punto di vista era chiaro: lui aveva scelto lei. Lei non gli fece la guerra per questo, nemmeno gliene aveva parlato. Forse quando era andata a letto la scorsa notte, con i cuscini sul pavimento, quello era stato il punto di svolta, la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Quella sera... quella sera l’avrebbe suggellato.

    Quando annuì per andare a letto, vide la speranza brillare negli occhi di Killian. Lui provò a mascherarla, distogliendo lo sguardo e prendendola in giro per i suoi continui sbadigli, ma la sua mascella era serrata e la sua espressione guardinga mentre entravano in camera da letto.

    Lo stomaco di Emma si strinse mentre andava verso l'armadio, prendendosi il tempo per cambiarsi prima di tuffarsi in bagno per lavarsi la faccia e i denti. Si rese conto con un sussulto di essere davvero nervosa.

    Trovò Killian seduto sul bordo del letto, vestito solo con i pantaloni del pigiama deliziosamente, giocherellando con uno dei cuscini. L’aveva visto senza maglietta un sacco di volte prima d’ora, ma quella notte, sapendo cosa sarebbe accaduto dopo, le fece arrossire le guance. Dovette combattere contro la voglia di distogliere lo sguardo prima che lui la beccasse, costringendola a fissarlo in faccia.

    I suoi occhi si fissarono su quelli di lei quando la sentì entrare e il tentativo di lui di nascondere le sue emozioni fu per lei troppo. Ogni speranza e desiderio bruciava luminosa nei suoi occhi e avrebbe dovuto mantenere quella linea tra di loro, ma non poteva - una piccola parte di lei aveva già accettato tutto quello: lo voleva.

    Prese un respiro profondo, attraversando la stanza per mettersi di fronte a lui "Pronto per il letto?" fu tutto ciò che lei disse, togliendogli delicatamente il cuscino dalle mani.

    "Sì. Mi sono lavato mentre ti stavi cambiando" i suoi occhi seguirono il cuscino mentre lei si avvicinava al suo lato del letto, lasciandolo cadere nel mucchio insieme agli altri. Non si guardò indietro dopo quel gesto, costringendosi ad andare avanti. Non fu fino a quando non si mise a letto e si è girò per spegnere la lampada che lui disse qualcosa.

    "Emma, sei..." la sua voce era piena di esitazione, ma le lenzuola frusciarono mentre si avvicinava.

    "Sì".

    Killian sospirò, ma Emma trattenne ancora il fiato. Aveva intenzione di abbracciarla stretta di nuovo? Si sarebbe solo messo a dormire? Avrebbe provato a baciarla?

    Lei non voleva che lo facesse. Sicuramente non voleva che la baciasse.

    Se lo ripetè abbastanza a lungo fino a quasi convincersene.

    Era troppo vicino, il suo palmo scivolò sulla sua vita finché il suo braccio non si avvolse liberamente su di lei. Emma cercò di rilassarsi, di non irrigidirsi sotto il suo tocco mentre un brivido le correva lungo la schiena.

    "È ok questo?" fu un sussurro nell'oscurità, ma c'era così tanto nascosto nelle sue parole - questo significava qualcosa per lui, qualcosa di molto più di quanto lei avrebbe dovuto permettere, ma non voleva altra alternativa.

    Non voleva guardarlo negli occhi e vedere un dolore appena celato - non voleva spingerlo via.

    Non più.

    "Sì" quella parola le uscì più senza fiato di quanto avesse voluto e sussultò, perché lui aveva dovuto notarlo. Lo stava incoraggiando? Ma fu solo un pensiero fugace – rilassarsi contro di lui era facile come respirare e si addormentò prima di rendersene conto.

    E fu così che la terza mattina di fila si svegliò tra le sue braccia.

    Emma prese un respiro profondo, lasciando uscire l'aria lentamente attraverso le labbra appena aperte. Quel giorno era diverso: le loro gambe erano aggrovigliate, il suo viso premuto contro il suo petto nudo e il braccio di lui attorno alla sua vita. Ci sarebbero voluti solo i minimi movimenti per sfiorare le labbra contro la sua pelle, una leggera spinta sulla sua spalla per spingerlo sulla schiena e stendersi su di lui. Dubitava che Killian avrebbe obiettato, la prova del suo desiderio forte contro il suo fianco.

    Per un secondo, quasi si arrese al desiderio mentre lui stava ancora dormendo. Una fastidiosa curiosità la avvolse, un bisogno quasi disperato di sapere come sarebbe stato se tutto quello fosse stato reale - se un bacio tra loro non fosse solo un'esplosione di emozioni o un atto artificioso, ma dolce e reale.

    Ma la realtà di ciò era terrificante, quindi non si mosse. Era ancora presto. Si beò ancora un po’ di quei momenti rannicchiata contro di lui, respirando il profumo della sua pelle e ascoltando il battito regolaredel suo cuore.

    Ma fu tutto ciò che si potè permettere prima di districarsi delicatamente e lasciare la stanza.

    Aveva paura di quello che avrebbe potuto fare se fosse rimasta. Aveva già abbastanza sensi di colpa per il loro nuovo accordo per la notte. Lo sguardo nei suoi occhi la notte precedente aveva mostrato uno tsunami emotivo in attesa di abbattersi su entrambi.

    Rabbrividì nella sua canotta per l'aria fresca del mattino una volta che fu lontana dal calore del letto e rubò una delle sue Henley dall'armadio. Non dovrebbe - dovrebbe prendere uno felpa delle sue - ma la sua era più morbida... e profumava di lui.

    Andando in cucina, si tirò su le maniche troppo lunghe, sbadigliando. I suoi pensieri tornarono a Killian addormentato nel letto, al suo calore... alla sua solidità. Le guance le si arrossarono al ricordo. Non c'era un centimetro dei loro corpi che non si fosse toccato quella mattina e lei aveva sentito tutto.

    "Smettila" mormorò a se stessa, chiudendo gli occhi e lottando per dirigere i suoi pensieri altrove nonostante fosse ancora mezza addormentata. Preparò il caffè, strizzando gli occhi nella luce del primo mattino verso il minuscolo orologio digitale. Le piaceva l’aspetto semplice, vecchio stile della caffettiera invece di una Keurig o di una stravagante macchina per caffè espresso, non che lo avrebbe mai ammesso mai davanti a lui, dandogli nuove cartucce per prenderla in giro.

    Il giorno prima, Killian aveva menzionato i muffin ai mirtilli mentre divorava le sue focaccine, qualcosa riguardo al fatto che una di quelle mattine sarebbe andato a prendere la colazione in un panificio che gli piaceva. E lei non li stava ora preparando per lui - non era solo riuscita a smettere di pensare ai muffin ai mirtilli da allora.
    Non aveva ancora deciso se sarebbe a correre quella mattina o se avrebbe fatto solo un po' di yoga nel cortile, così guardò il caffè che usciva e continuò a stiracchiarsi nel bel mezzo della cucina, tirando fuori gli ingredienti per i muffin.

    Prese la sua seconda tazza di caffè nel patio, le gambe incrociate sotto di sè mentre assaporava la tranquillità e i muffin si raffreddavano sul bancone della cucina. Era notevole come una delle più grandi città del mondo si estendesse sotto di lei, gli unici suoni lassù erano il debole fruscio dell’erba oltre il prato ben curato di Killian e l'occasionale stridio di un uccellino di passaggio. La brezza era così leggera quella mattina che anche le fronde delle palme si muovevano appena.




    Killian si trascinò nel patio con la sua tazza di caffè mentre lei faceva yoga. Lei si prese il piede con la mano mentre il suo braccio si allungava in avanti nella posa della ballerina, uno dei suoi preferiti di recente. Le dava un senso di grazia che non aveva mai provato prima.

    Emma abbassò lentamente la gamba, roteando le spalle quando si accorse che lui la stava guardando "Buongiorno" lei disse dolcemente, indicando la cucina "Ho fatto i muffin".

    "Sì, muffin ai mirtilli. Ho visto" c’era una cadenza stuzzicante nelle sue parole, come se avesse ben notato le sue intenzioni, ma non disse altro. Invece, fece un cenno con la testa verso la sua stuoia nell'erba "Sei diventata brava in quella posizione".

    "Ho molto tempo per esercitarmi" fece del suo meglio per mantenere il suo tono leggero, tornando a terra per assumere un'altra posa "Ti sei alzato prima del solito".

    "Ha chiamato Dave. Andiamo a cavallo al ranch oggi" era vero, ma non è il vero motivo per cui era sveglio. Si svegliava ogni volta che lei usciva ogni mattina, il letto improvvisamente vuoto senza di lei, ma ogni volta si costringeva a non seguirla.

    Era ancora troppo agitata per essere seguita. E non aveva intenzione di fare nulla per disturbare il dono che gli stava facendo, arrendendosi finalmente al muro dei cuscini. Non avrebbe fatto nulla per mettere a repentaglio il profumo della pelle di Emma contro la sua sua, la sensazione del suo corpo contro il suo. Era un uomo paziente.

    "Il tuo allenatore è migliore?".

    "Sì. Almeno, così dice Dave" sorseggiò il suo caffè, notando la facilità con cui lei muoveva il suo corpo. Era un passatempo pericoloso: vederla piegarsi su quel materassino gli faceva solo pensare a tutti gli altri modi in cui avrebbero potuto godere della sua flessibilità insieme.

    "Va bene. Tornerai per cena?".

    La domanda allontanò i suoi pensieri dal suo corpo, una fitta che non si era aspettato nel petto all'idea di stare lontano da lei tutto il giorno. Le cose stavano cambiando tra loro - aveva visto la sua maglietta appallottolata sul bancone della cucina, proprio accanto ai muffin che sapeva che lei aveva preparato per lui, poteva ancora praticamente sentirla contro la sua pelle. Era terrorizzato a lasciarla sola quel giorno con i suoi pensieri, tornando a casa e scoprire che si era convinta a tenerlo ancora una volta a distanza.

    "Vieni con noi" le propose invece di risponderle, mettendo da parte il pensiero che vorticava nella sua mente "Esci un po’. È stata... è stata una settimana difficile. Il ranch è adorabile".

    "Devi sapere che non sono mai andata a cavallo in vita mia”.

    Killian alzò le spalle, cercando di non supplicarla perché aveva visto il piccolo sorriso sulle sue labbra, il modo in cui quella proposta le aveva fatto piacere e lui non voleva spaventarla.

    "Beh, puoi guardarci metterci in ridicolo. Puoi venire a fare un giro e leggere uno dei tuoi libri sotto un albero".

    Lo fissò e lui vide la sua mente lavorare, l'esitazione nei suoi occhi mentre considerava la sua offerta. Si preoccupò di aver spinto troppo e troppo in fretta e praticamente sospirò di sollievo quando vide un piccolo sorriso sulle sue labbra.

    "Va bene" Emma concordò, appoggiandosi all'indietro sui talloni "Quando dobbiamo andare?".

    "Adesso".

    "Ma tu non sei nemmeno vestito!" lei protestò, alzandosi all'istante e arrotolando frettolosamente la stuoia. Aveva ciuffi d'erba tra i capelli e attaccate ai pantaloni e lui non potè fare a meno di sorridere a quella vista.

    "Forza”.

    Lo rimproverò - scherzosamente - per tutto il percorso di ritorno alla loro camera da letto, schiaffeggiandogli via la mano dal piatto dei muffin freschi con un luccichio negli occhi mentre passavano "Puoi averne uno in macchina" gli disse, spingendolo verso la doccia.

    Lui chiuse la porta del bagno, appoggiandosi contro il legno mentre chiudeva gli occhi, prendendosi alcuni secondi preziosi per assaporare quella mattina. Emma tra le sue braccia, il suo respiro caldo sul suo petto. Emma che rubava i suoi vestiti con un armadio pieno dei suoi a portata di mano. Quei maledetti muffin ai mirtilli di cui le aveva parlato il giorno prima, ora sul bancone della cucina. Gli occhi di Emma che danzavano pieni di malizia e affetto mentre lo prendeva in giro.

    Forse conquistare il suo cuore non era così tanto impossibile come aveva temuto.

    Il suo sorriso si allargò mentre armeggiava con la temperatura dell'acqua, voltando lo sguardo verso la porta come se in qualche modo potesse vederla attraverso di essa. Era stato un buongiorno, sperava in un pomeriggio anche migliore.




    Emma uscì dall'auto di Killian con un contenitore di muffin in una mano e una tazza di caffè nell'altra, la borsa a tracolla. Il calore la colpì come un forno aperto, i suoi jeans che si attaccarono istantaneamente alle cosce. Li aveva indossati nella strana possibilità che si ritrovasse su un cavallo, ma forse i pantaloncini sarebbero stati un'idea migliore. Perché doveva avvicinarsi ad un cavallo, a proposito?

    Lo sguardo negli occhi di Killian quando aveva acconsentito a venire le ritornò in mente e, all'improvviso, il calore non sembrò così brutto.

    David li stava aspettando, uno sguardo turbato sul suo volto, ma si illuminò notevolmente quando vide Emma "È davvero gentile da parte tua unirti a me, Jones. Anche se vedo che hai portato con te qualcosa di più gentile, oggi".

    "Piacere di rivederti, David" Emma mandò gli occhi al cielo mentre i due iniziavano a discutere, tirando fuori il cibo "Ho portato dei muffin".

    "Killian non li ha mangiati tutti in macchina?".

    "Non per mancanza di sforzo" disse Emma ironicamente mentre i due uomini afferravano ciascuno un muffin, briciole ovunque nella loro ansia di consumarli "Allora, dov'è l'allenatore?".

    David indicò verso la stalla, inghiottendo il muffin "Probabilmente sta sellando i cavalli. Le ho detto che avrei aspettato Killian qui fuori".

    "Il vostro allenatore è una donna?" chiese Emma con un sopracciglio inarcato a Killian. La scintilla di gelosia era una sensazione strana, ma la cosa più strana era che lei la riconobbe per quello che era quasi subito. La cosa più strana ancora era che non voleva metterla a tacere. Per quanto riguardava il mondo doveva fare la preoccupata, Killian le apparteneva - aveva tutto il diritto di essere un po' gelosa.

    Lo sguardo che Killian le rivolse in risposta fu stranamente soddisfatto, come se potesse leggere i suoi pensieri "Sì, Swan. É una donna. E soprattutto, le piacciono le altre donne, quindi non è necessario preoccuparsi".

    "Non ero...".

    Lui le avvolse un braccio attorno alle spalle, si chinò e le sussurrò all'orecchio "Sì, donna, lo eri" ma non sembrava infastidito o arrabbiato - sembrava decisamente compiaciuto. Le baciò la guancia ed Emma si rese conto della presenza di David.

    "Ragazzi, divertitevi. Io ho il mio libro" alzò lo sguardo su Killian, lottando per interpretare il suo ruolo ed essere solo se stessa - non che fosse del tutto sicura che ci fosse più un confine tra le due cose "Venite a trovarmi per pranzo?".

    "Ovviamente" Killian si chinò, sfiorandole un altro bacio sulla guancia e afferrò altri due muffin, prima di avviarsi verso la stalla con David, lasciandola con il contenitore.

    Emma non potè fare a meno di fermare il piccolo sospiro che le sfuggì mentre lo guardava allontanarsi. I suoi jeans e la T-shirt aderente lasciavano poco all'immaginazione dopo come si erano svegliati quella mattina, la sensazione del suo corpo contro il suo. Aveva desiderato il suo tocco da quando era scivolata fuori dal letto.

    ’Lo vuoi. Ammettilo’.

    Il calore salì nelle sue guance e non aveva nulla a che fare con il clima della giornata mentre si allontanava da lui, tirando fuori il suo libro. Forse non sarebbe dovuta venire - essere lì le sembrava molto simile ad un gioco con il fuoco.

    O forse aveva solo voglia di scottarsi.




    "Quindi non le hai detto che so di voi due" David disse quando furono abbastanza distanti, quasi alla stalla, la sua voce era uno strano miscuglio di divertimento e accusa.

    "Sai una cosa? Sono abbastanza certo di non averti detto nulla della nostra relazione che tu non sapessi già" Killian sorrise al suo amico con falsa innocenza, guardandosi alle spalle per vedere Emma sistemarsi all'ombra con il suo libro, il sole che rifletteva sui suoi capelli.

    "Sicuro che non lo stai usando come scusa per continuare a recitare?" questa volta fu un'accusa.

    "Ci sono molte altre persone in giro, Dave" Killian lo guardò fulminandolo, gesticolando alle poche persone intorno "Non si tratta solo di te”.

    "Sei uno stronzo. Andiamo a prendere i cavalli" David gli diede una spinta verso la stalla, ma ridendo.

    Continua…
     
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    Capitolo 13 (2° parte)



    Passarono la mattinata praticando salti in un ring all'aperto. Emma non lontana, leggendo sotto un albero, ma Killian continuava a guardarla mentre la mattina passava, notando come sembrasse prestare molta meno attenzione al suo libro rispetto a loro due.

    A metà mattinata, smise di fingere di leggere e si mise a sedere sulla ringhiera che circondava il ring, guardando attentamente mentre lui e David facevano a turno per far correre i cavalli verso un ostacolo o un altro, la loro istruttrice che alternava un incoraggiamento a ordini duri. Killian era accaldato e sudato e ricoperto dalla terra sabbiosa che i cavalli sollevavano, ma non avrebbe potuto essere più felice. Va bene muoversi - era diventato bravo in quello - ma avere Emma guardalo con un orgoglio stupito era la ciliegina sulla torta.

    Non vedeva l'ora che arrivasse pomeriggio. Dopo pranzo, avevano in programma di uscire in uno dei campi per esercitarsi nei movimenti ad alta velocità, nei galoppi e nelle virate improvvise, tutto per dargli un aspetto di spontaneità quando finalmente avrebbero iniziato a girare.

    Se fosse arrivato a girare, ricordò a se stesso con una smorfia mentale. Il ruolo non era ancora suo, non importava quanti promettenti incontri Regina affermava di aver avuto.

    ’Aveva comunque importanza ancora? Hai avuto Emma, no?’.

    I suoi occhi tornarono alla ringhiera, catturando lo sguardo di Emma. Sorrise in risposta, felice, un vero sorriso che non potè fare a meno di rispondere.

    Emma sapeva che era lì per uno scopo: quel film era importante per Killian. Ma pensava anche segretamente che a lui piacesse - da quello che aveva visto quella mattina, né David né Killian avevano particolarmente bisogno di fare pratica.

    Ma Killian non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

    "Ti va di unirti a noi?" le offrì Killian mentre risaliva in sella dopo un semplice pranzo all’ombra, tendendole la mano "Puoi cavalcare con me là fuori e poi guardarci. Porta il tuo libro se non saremo abbastanza di intrattenimento".

    Lei lo fissò con un impeto di desiderio inaspettato. I suoi occhi erano così vivi quel giorno, brillanti e felici, e interamente concentrati su di lei. La breve pausa non aveva fatto molto per migliorare la sua maglia inzuppata di sudore o i capelli mossi dal vento e quella mattina aveva evitato di radersi. Gli dava un tocco più selvaggio del solito. Era molto meno attore di Hollywood quel giorno, c’era qualcosa di primordiale nei suoi occhi, e lei ne era attratta.

    Ma Emma guardò l'enorme cavallo con occhio diffidente, ancora esitante "Non lo so…".

    "Prova qualcosa di nuovo, tesoro. Si chiama fiducia" le parole furono gentili, la sua lingua si arricciò attorno alle lettere come una carezza. Gli occhi di Emma si spostarono dal cavallo ai suoi grandi occhi azzurri pieni di speranza, e prese subito una decisione. Afferrò semplicemente la mano offerta, infilando un piede nella staffa e lasciando che la trascinasse davanti a sé.

    L'improvvisa vicinanza fu uno shock per il suo sistema. Stavano raggiungendo la parte più calda della giornata e la pelle di Killian era umida di sudore. La sua canotta sottile non era in condizioni molto migliori, i suoi jeans attaccati alle cosce. Anche la sella non offriva loro molto spazio, il suo caldo corpo era premuto contro quello di lei.

    Lui ridacchiò a bassa voce mentre lei si agitava, il suo braccio libero che le circondò la vita "Va tutto bene, tesoro" le disse dolcemente, tirandola contro il suo petto “Prendi solo un respiro profondo. Capirà se sei nervosa e si arrabbierà" Killian si sporse oltre, accarezzando delicatamente il collo del cavallo mentre sistemava meglio la posizione di Emma. Le premette il petto contro la schiena in modo ancora più avvolgente, il profumo di lui – di sudore e muschio e Killian – la inondò.

    Alla fine, le loro cosce si strinsero l'una contro l'altra, le sue braccia su entrambi i lati di lei mentre Emma teneva con una mano le redini e con l'altra il braccio di lui.

    Mentre il cavallo iniziava a camminare, le mormorò istruzioni nell'orecchio, il suo respiro sulla sua pelle le mandava un brivido lungo la schiena "Non stringere troppo forte con le tue cosce. Ci sono io, tesoro. Rilassati e basta" iniziarono ad oscillare con i movimenti del cavallo, facili e sciolti, e lei chiuse gli occhi e si appoggiò a lui, cercando di imitare i suoi movimenti.

    All'inizio fu sconcertante essere così in alto con un animale potente e imprevedibile sotto di sè, ma la fermezza di Killian la mise a suo agio. Dimenticando il caldo della giornata, permise al suo corpo di riposa contro il suo, di muoversi con il suo. Il viaggio verso i campi aperti passò più velocemente di quanto Emma avrebbe voluto.

    Era troppo facile pensare a come i loro corpi avessero trovato quel ritmo naturale insieme - e quali altri ritmi potevano imparare altrettanto facilmente?

    Di tanto in tanto, il suo respiro vacillava, il braccio sui fianchi la attirava più vicino. Sembrava come se si riprendesse, si sedesse un po' più dritto, respirasse un po' più uniformemente, ma poi ritornava alla posizione di prima, il suo naso che le sfiorava l'orecchio finché lei non rabbrividì nonostante il caldo.

    Avrebbe dovuto dirgli basta.

    Ma non lo fece.

    David lanciò loro uno sguardo strano quando finalmente raggiunsero il campo ed Emma scivolò giù dalla sella. Fare una passeggiata fino a lì con Killian era stato abbastanza - non aveva voglia di mettersi al galoppo per il campo come avrebbero fatto loro a breve.

    Ma era comunque uno spettacolo da guardare.

    Emma rimase a bocca aperta e sbalordita nel profondo. Era incredibile vedere come Killian fosse bravo con i cavalli. Cavalcava come se fosse una sua seconda natura, con grazia e naturale capacità, come se fosse un tutt'uno con l'animale. Il cavallo andava da una parte all'altra e lei non aveva idea di come lui controllasse la bestia così facilmente, ma si muoveva come se fosse nato per quello.

    Sorrise per la pura gioia di ciò, il suo cuore pieno di calore. Le risate e le urla di Killian si sentivano per tutto il campo e non aveva bisogno di vedere la sua faccia per sapere quanta felicità ci fosse nei suoi occhi.

    Quando i due uomini tornarono vicino a lei, cavalli e cavalieri ansanti per lo sforzo, si sorrisero apertamente mentre si scambiavano il cinque.

    "Sei sicuro di non voler provare, Swan?" chiese Killian mentre scendeva. Era più fradicio di sudore che mai, sporco su jeans e sulla faccia, e non avrebbe dovuto essere attraente in un tale disastro, ma lei poteva pensare solo al sapore che dovevano avere le sue labbra, salate e morbide.
    "No, sto bene così" la sua voce non fu così ferma come avrebbe voluto che fosse e, accidenti a lui, Killian se ne accorse. La risposta fu un unico sopracciglio alzato, ma lei conosceva quel sopracciglio e doveva mettere fine a tutto.

    David si unì a loro ed Emma deglutì a fatica, costringendosi a sorridere di nuovo e ignorando il calore ribollente nel suo ventre. Portarono i cavalli verso un piccolo ruscello dall'altra parte del fiume, indugiando nel sole caldo e nell'erba alta.

    Tutto quello a cui Emma riusciva a pensare era il dover tornare a cavallo con Killian, il suo corpo stretto contro il suo, dondolando insieme al ritmo dei passi del cavallo. Stava iniziando ad impazzire, a malapena ascoltò una parola che i due dissero, fissando il cielo e cercando disperatamente di pensare a qualcos'altro prima che il suo viso la tradisse.

    Il viaggio di ritorno alla stalla fu una tortura dolcissima. Si spostò contro di lui inconsciamente e lui trattenne il fiato, le sue dita si strinsero sul suo fianco mentre le ringhiava in un orecchio "Attenta, Swan" c'era una nota di avvertimento nelle sue parole, ma ne fu solo vagamente consapevole. Lo stava provocando e non avrebbe dovuto. Era un gioco peccaminoso quello che stavano giocando l'uno con l'altro quel giorno e lei era colpevole quando lui, ma a un certo punto, uno dei due avrebbe dovuto fermarsi prima di andare troppo oltre.

    Non sarebbe stato lui.

    Era sempre più certa che non sarebbe stata nemmeno lei.

    Killian si alzò dalla sella dietro di lei e tornò indietro per aiutarla a scendere una volta raggiunto il fienile. Le sue mani sulla sua vita erano forti e salde, ma la sua presa le fece salire la maglietta e il suo pollice sfiorò la pelle scoperta più a lungo di quanto avrebbe dovuto - non che le dispiacesse. Le sue gambe erano deboli e tremanti e non sapeva dire se fosse per la novità di andare a cavallo o da lui.
    "Emma..." la sua voce fu un mormorio basso, la sua schiena contro il cavallo la intrappolava efficacemente dove si trovava mentre il suo respiro le riscaldava la guancia "Io…".

    "Ehi, sai dove sono finite le spazzole? Era proprio..." la voce di David si spense mentre si avvicinava, un sorrisetto sulle sue labbra "Non importa. Vado a controllare dentro".

    Emma arrossì profondamente, anche se non ce n’era motivo. Per quanto ne sapesse David, erano una coppia. Perché non avrebbero dovuto essere stretti insieme in quel modo? Ma lei sapeva la verità e quello fu abbastanza per scivolare fuori dalla portata di Killian.

    "Emma..." lui la chiamò di nuovo, ma prima di poter dire qualsiasi altra cosa, David tornò con le spazzole. Ne lanciò una a Killian con un altro sorrisetto prima di scomparire per prendersi cura del suo cavallo.

    "Vuoi aiutare?" chiese Killian, porgendole la spazzola. La sua voce era completamente sotto controllo e bassa e fece salire la temperatura di Emma di una tacca. Prese la spazzola esitante, passando le dita sulle setole rigide mentre lui lavorava per togliere la sella.

    "Non ho mai…".

    "Non è difficile" c’era un po' di divertimento nel suo sguardo, ma lei non lo guardò negli occhi quando alzò la sella e si mosse per metterla via, i muscoli delle braccia e della schiena si flettevano con lo sforzo. Lui catturò il suo sguardo e lei si aspettò che lui dicesse qualcosa, qualche allusione o altro, ma non fu così. Poi annuì, avvicinando con esitazione la spazzola al cavallo e accarezzandolo.

    "Non devi essere così gentile” disse Killian da dietro le sue spalle, il suo corpo vicino mentre la sua mano copriva la sua, premendo leggermente più forte. Le si mozzò il fiato, il suo petto ancora una volta contro la sua schiena, invadendo completamente il suo spazio.

    "A loro piace che gliela passi molte volte. Immagino sia un po' come avere qualcuno che ti passa le dita tra i capelli".

    "Non saprei" le parole le uscirono senza che lei se ne rendesse conto, anche se non era del tutto vero, perché Killian l’aveva fatto un paio di volte, quando era quasi addormentata. L'unica volta che glielo aveva permesso.

    "Dovremo rimediare" la sua voce di nuovo bassa, densa per la crescente tensione tra loro, le sue braccia intorno a lei mentre continuavano a spazzolare il cavallo.

    "Killian, io...".

    "Ehi, ragazzi, avete finito?" l'interruzione di David portò di nuovo un impeto di colpa e mise subito un po' di spazio tra di loro. Probabilmente era meglio che fosse arrivato David, impedendole di dire le parole che aveva sulla punta della lingua, l'ammissione che era pronta a liberare.

    Lo voleva. Non c'era più modo di combatterlo.

    "Sì. Vado a cercare un bagno prima di tornare in città. Lungo viaggio e tutto il resto" Emma sorrise, ma sapeva che era il sorriso forzato e troppo luminoso che odiava, quello che Killian riusciva a distinguere in un istante. Ma comunque si affrettò ad allontanarsi. Aveva bisogno di mettere più di pochi metri tra di loro prima del lungo viaggio in macchina, prima che fossero tornati a casa sua dove avrebbero condiviso un letto - dove non c'era David a interromperli.

    Killian la guardò allontanarsi, il sangue che scorreva impetuoso nelle sue vene. I suoi pensieri già sulla sera che li aspettava da soli a casa. Dopo una giornata come quella, una giornata in cui era stato sull'orlo di esplodere più volte, forse lei era finalmente pronta a cedere alla connessione tra di loro. C'era stato qualcosa di diverso in lei quel giorno, qualcosa di libero e tutt'altro che innocente da come aveva modellato il suo corpo contro il suo…

    Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse di David finché la sua mano non gli diede una pacca sulla spalla, prendendolo di sorpresa. Killian guardò accigliato il suo amico, scuotendosi di dosso la sua mano mentre tornava indietro per finire con il suo cavallo prima di partire. Qualunque cosa stesse per dire, Killian non era dell'umore giusto per un’altra lezione di vita di David.

    "Non so chi pensi di star prendendo in giro" David disse, appoggiandosi al muro mentre osservava Killian con attenzione. Il tono chiaramente sarcastico.

    "Sai, non ho idea di cosa stai parlando" Killian sapeva esattamente cosa voleva dirgli - era tutto quello a cui aveva pensato quel giorno, specialmente dopo il giro sul cavallo con Emma. Aveva fatto molto di più che interpretare una parte quel giorno, ma osare sperare lo aveva messo nei guai prima d'ora.

    David mandò gli occhi al cielo "Tu ed Emma. Tutto il giorno, siete stati... mettiamola così. Se vedessi Mary Margaret comportarsi con un uomo come ha fatto Emma con te oggi, lo vorrei morto".

    "Lei non sa che tu sai".

    "É una scusa penosa e lo sai".

    Killian sospirò, portando il cavallo nella stalla prima di voltarsi verso David, asciugandosi le mani sui jeans sporchi "Non è pronta" disse semplicemente, gli occhi fissi sulle porte della stalla, il sole del tardo pomeriggio che coloriva l'aria.

    "A me è sembrata abbastanza pronta" David gli diede una pacca sulla spalla prima di dirigersi verso la propria auto "Saluta Emma da parte mia. Torno a casa".

    Killian annuì, seguendo lentamente l'amico fuori dalla stalla e andando in cerca di Emma, i suoi pensieri confusi dalla possibilità dell'impossibile.


    Continua…

    Edited by sweetest thing - 20/3/2021, 17:47
     
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